27 gennaio 2021

LA PARTECIPAZIONE ATTESA

Quel che si è fatto sino ad oggi è un’operazione incompleta


Così come è gestita oggi la partecipazione resta uno strumento ambiguo, una sorta di ingegneria del consenso. Manca il vero dibattito che vede di fronte cittadini e amministrazione. La domanda è: i cittadini sono informati correttamente? Hanno una competenza necessaria a dare risposte utili?

gennai2

In ogni occasione di dibattito, la città si percepisce partecipata nelle varie declinazioni, anche grazie a un assessorato alla partecipazione, ma parlare di partecipazione non è cosa facile e se volessimo pensarci meglio, il rischio è di confonderla con altre espressioni comunicative poiché la partecipazione non è semplicemente un mezzo da utilizzare ma è ancora un fine e presuppone che non vi siano interpretazioni.

Recentemente, con gli “Open Data” e svariate applicazioni web, si potrebbe escludere che ci siano dei limiti nella comunicazione tra cittadini e Istituzioni a tal punto che la quantità di cittadini raggiunti potrebbe assumere livelli molto alti, ma non si può sostenere che questa sia partecipazione. La partecipazione sarebbe, nella sua forma più nobile, il momento in cui il cittadino e il governo di una città, si confrontano sui temi e sulle scelte da fare, non solo quelle d’impatto minore ma anche e soprattutto le gradi opere, le importanti trasformazioni. Oramai ogni comitato, ogni associazione, ogni organizzazione utilizza gli incontri web sulle varie piattaforme disponibili, ma non si ha la sezione che questa forma dia i frutti sperati. Allora mi viene da pensare che ci sia ancora qualcosa sicuramente da capire e da rivedere, da migliorare.

Durante un percorso partecipativo a Campagnano di Roma, una cittadina a nord della capitale in cui si sta cercando di impostare una partecipazione dei cittadini sullo stile francese, si è parlato di partecipazione e trasparenza con il Prof. Gnan docente dell’Università Tor Vergata e opinionista. In quel contesto mi sono reso conto che i miei dubbi non erano solo miei ma di chiunque intenti un percorso partecipativo concretamente.

Sembrerebbe un principio cardine del rapporto tra cittadino e istituzioni avere una ragionevole certezza che chi riceve un’informazione ne comprenda i contenuti. Allora si dovrebbe ripercorrere la strada fino all’origine del pensare alla partecipazione, vagliando la conoscenza e la capacità come elementi indispensabili di una comunicazione corretta tra chi da un’informazione e chi la riceve. Secondo il prof. Gnan, c’è un passaggio fondamentale che va verificato, le conoscenze degli interlocutori, dunque la loro capacità di comprendersi vicendevolmente.

Le competenze, certamente una condizione di base non da poco.

Partiamo da qui, c’è partecipazione se c’è trasparenza e questo è il primo punto da verificare anche a Milano. Ma la trasparenza, non può essere efficace senza la competenza, difficile pensare che un incompetente possa dare informazioni corrette anche se rispetta la trasparenza, sarebbe fuorviante se non dannoso per chi le riceve.

Mi viene da dire che la partecipazione sia una chimera, un esercizio che faticosamente cerchiamo d’imporre come strumento di crescita della società in cui viviamo, ma se non stabiliamo delle regole ferme, non c’è alcuna possibilità che si realizzi concretamente, resta un termine che neanche sappiamo bene come declinare se non su principi individuali, una de-regulation che lascia spazi molto ampi a chi potrebbe usarla in modo tattico, per ottenere consensi, per convincere, fino anche al plagio.

Il prof. Gnan stabilisce poi delle regole soprattutto sul piano delle cariche governative, dando per necessaria la competenza dei funzionari ma anche quella delle cariche politiche elette dai cittadini per governare. “Bisognerebbe accertare sempre le competenze di chi ci amministra” dice, e questo è possibile se esiste una forma di controllo possibile,” il prof. Gnan definisce bene quest’organismo come una sorta di cabina di regia, una specie di algoritmo con cui verificare sia la parte dirigenziale (funzionari) che tecnica (i dipendenti), ma anche la carica politica e non ultima quella del cittadino che chiede una documentazione, che domanda la partecipazione come diritto anche quando non sa che cosa farne. Si ripresenta dunque anche la questione dell’educazione civica nelle scuole, abolita qualche anno fa.

Un dilemma: i cittadini devono partecipare sempre e comunque alle decisioni di un governo della città indipendentemente dalle loro capacità di capire?

Una questione non di poco conto, poiché il dire che si ha diritto alle carte, è “sacrosanto” ma non andrebbe bene se si chiedessero le carte solo perché si pensino dovute anche nel caso non si sappia cosa farne. Ecco la responsabilità civica, il senso critico delle proprie azioni che dovrebbero essere sempre costruttive se ci si dichiara aventi diritto e partecipanti a un certo processo decisionale.

Poi c’è anche dell’altro, quanto interesse ha una giunta a svelare al cittadino progetti e programmi spesso strategici o quantomeno frutto di accordi particolari? C’è il rischio che ciò riduca l’efficacia di un’azione o di un progetto magari sinergico al programma politico.

Mancando una regola nazionale e senza alcun riferimento o documento d’intenti da parte dei comuni, non c’è regola, e il cittadino difficilmente può vantare un diritto. Abbiamo assistito più volte ai lanci dell’assessorato e c’è da dire che molti cittadini hanno risposto, dunque ci sarebbe del terreno fertile ma come si fa a educare il cittadino a una buona pratica senza una formazione di base dunque scolastica, e quale strumento anche legislativo applicare? Come gestire il processo partecipativo in modo efficace e non solo didattico?

Sullo sfondo resta il “debat public “ma per applicarlo correttamente ci vorrebbe troppo tempo formativo e educativo, siamo troppo lontani, dunque si prospetta un transitorio, una specie di laboratorio civico di partecipazione attiva, in cui imparare a partecipare e affinare l’argomento trasparenza che a Milano è ancora lontano dall’essere attuato correttamente, pur essendo molto avanti rispetto ad altre realtà in Italia.

Tuttavia siamo lanciati sulla questione “partecipazione” e ci ritroviamo comunque nelle varie piattaforme partecipative, dove lasciamo le nostre idee, dove facciamo domande e attendiamo risposte, ma quanto tutto questo ha la forza di divenire una vera azione partecipata?

Allora la partecipazione ci chiede di più, serve fare nuovi passi, l’unico modo per cercare di essere efficaci è forse scendere nei meandri della politica, ma in quale modo possibile tenendo come obiettivo principale, la partecipazione civica e cercando di non cadere negli stessi errori degli altri?

Come fare politica restando scevri dalle solite derive di potere e spesso di ambizioni lontane dagli interessi dei cittadini? Un esempio di negazione della partecipazione c’è dato proprio dal Comune di Milano. Diversi autorevoli Cittadini milanesi, anche Accademici, su invito dello stesso comune, provarono a partecipare ai tavoli tecnici imbastiti in occasione della consultazione per gli Scali Ferroviari proprio in nome della partecipazione, anche con conferimenti ufficiali, ma senza poi una convergenza costruttiva, senza andare oltre, soprattutto quando insistono pareri distanti dagli obiettivi dal proponente.

Sembra invece che per la vicenda di San Siro, il Comune abbia intenzione di dare maggiori spazi di azione ai comitati di quartiere, ma anche in questo caso, lo farebbe con la formula della “concessione di parola” quasi in regime di vassallaggio e non perché ci sia una regola da rispettare (probabilmente anche per la campagna elettorale).

L’unico modo di proporsi seriamente nel ventaglio politico milanese, è quello di essere concreti e pragmatici senza compromessi, una terza via già intentata da molti, molto faticosa ma ancora da perseguire, avendo la convinzione che occorra essere seduti allo stesso tavolo della politica classica, della poltrona e degli interessi personali, dell’ambizioni individuali, dunque un lottare dall’interno sperando di non contaminarsi ed essere abbastanza supportati dai cittadini per cambiare quanto necessario, dare gli strumenti alla cittadinanza attiva e cercare una nuovo modo di governare questa città, dotandola di strumenti adeguati per compiere finalmente il passo decisivo, la svolta partecipativa attesa ma non ancora realizzata a pieno. Serve uno sforzo collettivo, non tanto per dire no a Sala, ma per dire sì ai cittadini stanchi di non essere ascoltati.

Gianluca Gennai



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


  1. CarlastellaDa semplice cittadina che si era attivata ai tempi di Pisapia, penso che le piattaforme di partecipazione non rispondano alle esigenze dei cittadini. Attraverso il web si esprimono idee e opinioni parcellizzate, non si possono affrontare in modo organico le questioni complesse che stanno dietro un intervento urbanistico o un progetto, è difficile arrivare a una sintesi. Sono convinta che soltanto attivando incontri pubblici si possa avere un reale confronto e una partecipazione fattiva, senza escludere una prima fase "orientativa" e di informazione attraverso il web
    4 febbraio 2021 • 02:38Rispondi
    • Gianluca GennaiConcordo. E' anche vero che oggi con quanto ci sta accadendo, il web è senz'altro una forma alla quale ci dovremo abituare anche per operazioni di confronto complesse. Importanti sono le regole e gli strumenti adeguati anche giuridici e legislativi oltre che informatici. Grazie del commento. Gennai.
      4 febbraio 2021 • 13:41
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Ultimi commenti