1 settembre 2020
PISTE CICLABILI, UNA QUESTIONE IRRILEVANTE
Sono solo una sorta di distrazione di massa
1 settembre 2020
Sono solo una sorta di distrazione di massa
Tempo fa un amico economista, mentre scorrevamo insieme dati statistici, mi fermò dicendo: “Ti devo raccontare una storiella.”. Eccola: ” Due economisti stanno andando insieme al cinema e davanti all’ingresso c’è un poveraccio che vende briaccialettini intrecciati e che va dicendo «Me ne compri uno che non ho venduto niente». Ne compra uno. Uscendo c’è ancora il venditore e incuriosito gli domanda «Quanti ne hai venduti?». «Due» risponde il venditore. «Sono contento per te, hai raddoppiato il fatturato!». Che realtà c’è dietro le statistiche?
Questa storiella mi è venuta in mente leggendo in una dichiarazione dell’assessore Maran a proposito dei ciclisti in Corso Buenos Aires: “Sono aumentati di sette volte.”. Forse il virgolettato del giornale era troppo breve, comunque la mia curiosità andava oltre: vorrei sapere i numeri assoluti.
La stessa curiosità l’ho avuta per una dichiarazione di Carlo Monguzzi: “ Siamo al 5% dobbiamo arrivare al 30%”. Immagino si trattasse dei cittadini che dovrebbero muoversi in bicicletta ma anche qui avere i numeri assoluti sarebbe meglio.
Immagino che Monguzzi come confronto abbia preso le percentuali di Amsterdam e Copenhagen, rispettivamente 32% e 35% secondo la Federazione europea dei ciclisti, forse un traguardo troppo ambizioso per Milano: Amsterdam e Copenhagen hanno una tradizione cinquantennale. Tutto partì ad Amsterdam nel 1972 con il movimento Stop de Kindermoord contro le morti di bambini travolti dalle automobili. Allora di problemi d’inquinamento non si parlava ancora.
Oggi l’inquinamento da gas di scarico è una minaccia reale e quindi va combattuto riducendo il numero delle auto in circolazione ma anche quest’aspetto va inserito in un quadro generale della mobilità urbana e periurbana. L’avvento delle auto elettriche risolverà solo in parte il problema delle auto in città perché se sostituissero prepotentemente la maggior parte di quelle a combustione interna, ci resterebbe la congestione del traffico e l’inquinamento visivo: le auto stravolgono il paesaggio urbano e occupano troppo suolo pubblico.
Torniamo alle piste ciclabili.
Prima di cominciare una nota di “colore”. Ho letto in un commento sulle piste ciclabili che questo sarà il più importante tema di scontro tra destra e sinistra nella prossima campagna elettorale milanese.
Se sarà così io, che ho sempre votato, farò campagna per l’astensionismo, perché una classe politica che con tutti i problemi gravissimi che dovremo affrontare spenda anche solo una parola sulle piste ciclabili non merita alcun rispetto e nemmeno lo sforzo di un voto.
Lo scenario milanese da prendere in considerazione vede questi attori al proscenio: i cittadini residenti 1.378.000 (dati comunali); 1.333.000 cittadini potenziali pedoni dai 5 ai 70 anni (dati comunali); 958.000 cittadini in età da usare la bicicletta (5-65 anni); 940.000 vetture immatricolate a Milano (ACI); 1.000.000 di auto in entrata giornaliera ossia almeno 1.000.000 di pendolari (Sindaco Sala intervista 14 aprile 2019); 2.176.000 passeggeri MM + Atm, ossia 1.088.000 utenti considerando andate e ritorni. Un po’ meno di 100.000 utenti della bicicletta, tenendo conto che percorrere più di 5 chilometri in città è difficile, e prendiamo un dato antecedente al Covid-19, da un’indagine del Collegio Ingegneri e Architetti, dove i ciclisti rappresentavano il 7% del traffico veicolare in città.
Non ho contato gli arrivi da Ferrovie Nord Milano perché in pratica si riversano sui mezzi pubblici.
I dati sui veicoli in uscita recenti non li ho trovati ma una ricerca del 2011 del Politecnico di Milano dava una quasi equivalenza tra veicoli in entrata e in uscita nel 2001 ma questa equivalenza penso non regga col dato in ingresso di 1.000.000 di veicoli dichiarati da sindaco nel 2019.
Qualche considerazione generale. La prima questione riguarda dunque i numeri della mobilità e come si preveda che cambieranno nell’era post Covid, tenendo presente due fattori: il lavoro da remoto potrà ridurre anche in maniera notevole i flussi in ingresso e l’uso dell’automobile da parte di residenti milanesi (con una ricaduta pesante sul commercio e sulle attività di ristorazione.).
Un altro settore da tenere sotto osservazione è la mobilità legata agli studenti fuori sede. Quanti opteranno definitivamente per l’attività di studio da remoto? Gli operatori immobiliari sono in allarme e così i proprietari di case destinate alla locazione studentesca, calo della domanda.
Quanto vale questa decrescita della mobilità? Difficile rispondere prima che i nuovi costumi delle persone si siano stabilizzati: un anno almeno e in funzione dell’andamento del Covid.
Un’amministrazione attenta ai più deboli dovrebbe occuparsi prima di tutto dei pedoni, potenzialmente i più presenti sulle strade che oggi contendono il loro spazio sui marciapiedi con i ciclisti, i monopattini di recente fortemente promossi senza un adeguato regolamento e le auto in sosta sui marciapiedi e nei parterre dei viali alberati. I pedoni non sono rappresentati da un’associazione come ad esempio i ciclisti o gli automobilisti. C’è bisogno dell’ennesima associazione per far sentire la propria voce?
Veniamo ai pendolari, questione spinosa. Secondo il sindaco sarebbero un milione. Ricordo a tutti che lo stesso sindaco improvvidamente disse tempo fa “bisogna tornare a lavorare”. Lo disse constatando che anche l’assenza dei pendolari aveva penalizzato chi viveva sulla pausa pranzo.
I pendolari sono una risorsa insostituibile per Milano sia per il loro lavoro sia per i loro consumi. Forse nel dopo Covid non saranno più così numerosi avendo scelto il lavoro da remoto ma soprattutto facendo, purtroppo, per il momento parte dell’esercito di nuovi senza lavoro (80.000 secondo stime recenti).
Detto tutto ciò, la mobilità a Milano riguarda almeno 2.500.000 persone delle quali oggi, secondo le stime accennate più sopra, 100.000 potrebbero essere i ciclisti, ossia il 4%, per accontentare i quali in alcune parti delle città si stanno riducendo i calibri delle strade penalizzando gli automobilisti e in particolare i pendolari e riducendo la sosta stradale.
Dichiarazione di fede: non amo le automobili, sono assolutamente favorevole alle piste ciclabili ma assegnare alle stesse il valore di importante contributo alla mobilità urbana è una pia illusione, cullata oggi soprattutto per motivi di immagine e per la visibilità che dà a chi le promuove. Ingegneria del consenso.
Comunque le piste ciclabili non devono essere valutate solo per la loro lunghezza ma per il numero reale di utenti.
Mi domando poi quale sia, e quale sia stato, il criterio nella scelta dei percorsi perché non ho notizia di un’indagine origine/destinazione dei ciclisti.
Ho sotto gli occhi quasi quotidianamente il tratto di Viale Monterosa, una delle più vecchie piste ciclabili milanesi oggi ampliata con la divisione di senso di marcia, operazione costosissima. Già anni fa avevo notato che i ciclisti erano pochissimi e ne ho chiesto conferma al fioraio e ai negozianti che si affacciano sulla ciclabile. Eppure dovrebbe essere frequentata perché verso la fine ci sono importanti edifici destinati a uffici, compresa la sede de Il Sole 24ore. Non è così perché c’è la linea rossa della MM che percorre tutto Monterosa.
E’ invece vero che l’aver strozzato Monterosa l’ha trasformato in una camera a gas perché le auto sono sempre in coda.
Ha senso fare piste ciclabili che hanno lo stesso percorso di una linea della metropolitana?
Una considerazione a carattere generale sulle attività del Comune e sugli investimenti relativi: oggi come non mai ogni investimento deve essere collocato in una scala di priorità in funzione dell’utilità sociale, sempre mirata alla tutela dei più deboli e in un giusto equilibrio tra costi ed efficacia. Le piste ciclabili non sono in cima alla graduatoria.
Siamo dunque in attesa di un Piano della Mobilità Sostenibile (PUMS) che rispecchi complessivamente le esigenze dei cittadini in un incerto ma in parte prevedibile futuro.
La fretta pur di dimostrarsi attivi è dunque una sciocchezza.
Luca Beltrami Gadola
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