6 luglio 2020
PIÙ STATO, MENO MERCATO?
Ecco la risposta: meno concorrenza e più corruzione
6 luglio 2020
Ecco la risposta: meno concorrenza e più corruzione
La parola “concorrenza” è da tempo uscita dal lessico politico: la concorrenza è faticosa, le imprese falliscono e si mangiano il capitale, i dipendenti perdono il posto, etc. Il monopolio, pubblico o privato, è molto più tranquillo, sembra che tutti siano contenti. Peccato che la concorrenza sia l’unico meccanismo che stimoli a innovare, cioè a far crescere l’economia, e anche l’unica dinamica che renda moralmente accettabile il capitalismo: se un mercato funziona, lima fortemente i profitti ed elimina le rendite.
Ora è in corso una vasta operazione per ridurre la concorrenza negli appalti pubblici, o addirittura cancellarla. Non ne conosciamo ancora l’esito (l’Autorità Anticorruzione, non a caso, si oppone con forza). Ma solo l’averlo proposto ha un forte significato politico: tutti sono contenti, imprese e lavoratori (il sindacato protesta solo per le minori garanzie sui subappalti), e anche Confindustria e la gran parte dei partiti politici. Si evita anche il rischio che arrivi qualche straniero, più efficiente e innovatore: prima gli italiani! Data le premesse, perché stupirsi? È la “cronaca di una morte annunciata”: con la scusa del virus, tutto è lecito.
La gravità di questa “riforma” non è tanto nella lettera del provvedimento (alcune semplificazioni potranno certo essere utili e sensate), quanto, come si è detto, nel suo messaggio politico. Viene meno uno dei fattori costitutivi dell’Unione Europea: un mercato più grande, in cui le imprese migliori possano prevalere per il bene di tutti, invece di quelle inefficienti politicamente protette.
Tra l’altro, come ha scritto su queste pagine Luca Beltrami Gadola, le gare sono solo uno dei molti fattori di rallentamento delle opere, e l’unico su cui non bisognava intervenire. Anzi, bisognava intervenire in senso esattamente contrario, con una riforma che cancellasse i molti trucchi che le istituzioni pubbliche appaltanti, a tutti i livelli, hanno escogitato per far vincere gli “amici”: dimensioni dei lotti di gara, specifiche tecniche, possibilità di revisioni prezzi incongrue, obblighi e vincoli “mirati”, spesso basati su debolissime motivazioni sociali. Se manca la volontà politica, i trucchi si trovano facilmente. In termini tecnici, il fenomeno è noto come “cattura”.
Si è detto: meno concorrenza piace anche alle imprese. Certo anche ai corrotti, ai corruttori, e alle mafie, come noto molto presenti nel settore delle opere civili, anche se oggi magari con imprese formalmente impeccabili (siamo molto mal messi nelle classifiche internazionali sulla corruzione). La concorrenza infatti crea un secondo poliziotto, accanto a quelli istituzionali: le imprese che perdono le gare, che hanno occhi spalancati per scrutare irregolarità nei bandi o nelle aggiudicazioni.
Non dimentichiamo che la corruzione tra pubblico e privati è molto più facile che tra privati e privati (dove pure esiste): il corrotto e il corruttore sono complici in entrambi i casi, ma tra privati il danneggiato è attentissimo a tutelare i propri interessi, mentre i danni che subisce la pubblica amministrazione se un’opera, o la gestione di un servizio, costano più del dovuto ricadono alla fine sui contribuenti, che niente sapranno, se non sotto forma di tasse più alte dopo anni. Questo fenomeno spiega anche perché è notoriamente molto difficile scoprire e punire questo reato, che si stima essere ancora più pervasivo di quanto appaia (spesso assume la forma di “scambio di favori”).
Sull’evitare la concorrenza nel settore delle opere pubbliche l’Italia ha un glorioso passato: il maggior progetto infrastrutturale italiano, la rete di Alta Velocità. Bene, questo enorme appalto è avvenuto senza gare, con affidamento diretto a imprese “amiche” poco tempo prima che scattassero gli obblighi europei delle gare. Si stima che i costi siano triplicati (cfr Il Sole-24 Ore, non proprio un giornale sovversivo). Adesso vogliono riprovarci, per opere definite “strategiche”.
Ma anche nei trasporti pubblici locali non si scherza: di gare serie ne sono state fatte pochissime, e nessuna nelle città maggiori, nonostante gli obblighi europei. Chi scrive, di fronte alla conclamata ma non credibile volontà del comune di Milano di fare una gara seria (cioè in cui davvero potrebbe vincere qualcun altro) per ATM, ha scommesso tempo fa con l’attuale assessore, durante un convegno, che o non ci sarebbe stata nessuna gara, o avrebbe vinto ATM. Non è successo ovviamente nulla, se non manovre societarie che hanno consentito rimandi. Vedremo finita l’emergenza virus, ma la scommessa è rinnovata.
Se non c’è volontà politica di fare le gare, l’ovvio messaggio anche in questo settore è che non interessa abbassare i costi, la mano pubblica (“residual claimant”) comunque pagherà. Inoltre una grande impresa come ATM non può fallire, come sarebbe perfettamente possibile invece se un bando di gara fosse per una molteplicità di soggetti, come si è fatto a Londra con gran successo.
Questo messaggio, che abbassare i costi di produzione non interessa molto, ovviamente arriva forte e chiaro anche ai funzionari disonesti, che senza una “minaccia credibile” da parte del padrone pubblico danneggiato tendono a prosperare. In fondo, anche gli amici devono lavorare, no? E magari poi votano anche…
Marco Ponti
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