3 giugno 2020

LA SONATA DI UN COMPOSITORE INGLESE POCO CONOSCIUTO

Il rappresentante di un’epoca particolarmente significativa per la storia della musica


Viola DEFUna bravissima violoncellista, Maria Bocconi, dopo aver scoperto e ascoltato il nuovo Concerto per violoncello e orchestra di Fabio Vacchi – da me proposto su queste colonne la settimana scorsa – e averlo trovato molto interessante, mi ha scritto per suggerirmi l’ascolto alquanto raro di un altro lavoro per quel meraviglioso strumento. Si tratta di una Sonata per violoncello e pianoforte (“Cello Sonata”) del 1923 di un compositore inglese poco conosciuto, John Ireland (1879-1962), che si può ascoltare con questo link https://youtu.be/vHnCia25rCk in una registrazione del 1928. Sia la composizione sia l’esecuzione – con lo stesso autore al pianoforte che accompagna un violoncellista di origine italiana, Antoni Sala (1893-1945) – mi sembrano molto felici e raccomandabili.

Ireland, nato in un paesino fra Liverpool e Manchester e morto ottantaduenne nel Sussex, ha attraversato tutte e due le guerre mondiali facendo l’insegnante di pianoforte al Royal College of Music di Londra, dove ebbe fra i suoi allievi Benjamin Britten e dove si conquistò un momento di notorietà nel 1917 quando, con una “Sonata n. 2 per violino e pianoforte”, vinse un premio al concorso organizzato per aiutare i musicisti in tempo di guerra.

Ascoltando la Cello Sonata si rimane subito sorpresi dalla sua bellezza ma ci si interroga anche sul mistero per cui il suo autore sia rimasto pressoché sconosciuto mentre tanti altri della stessa epoca, che hanno operato nello stesso spazio culturale, abbiano raggiunto la celebrità. Se ascoltate questa Sonata e la confrontate con le musiche di Edward Elgar (di vent’anni più anziano di Ireland) o di William Turner Walton (di vent’anni più giovane) o anche di Benjamin Britten (poco più giovane ancora), tutti viventi e operanti nei primi decenni del XX° secolo, è facile rendersi conto che siamo di fronte a una scuola musicale dai caratteri molto pronunciati ed evidenti, all’interno della quale è assai difficile stabilire delle gerarchie. Ciononostante di John Ireland si sono quasi perse le tracce mentre degli altri tre, a distanza di un secolo, si eseguono ancora le opere più significative.

Sono perfettamente consapevole dell’ingenuità di questa considerazione: le ragioni e i percorsi del successo, specialmente nell’arte e ancora di più nella musica, sono stati indagati da molte discipline e a lungo ragionato anche del loro intreccio. La storia della musica è piena di questi misteri e, per fare un esempio arcinoto, ci si è interrogati all’infinito sul perché Bach sia scomparso dall’orizzonte musicale dal momento della morte, avvenuta nel 1750, fino alla riscoperta che ne ha fatto Mendelssohn nel 1829, quasi ottant’anni dopo, quando eseguì presso la Sing-Akademie di Berlino una versione abbreviata della Passione secondo Matteo”. Solo allora si riconobbe il genio di Bach e le sue opere cominciarono a essere eseguite e apprezzate in tutto il mondo. Eppure Mozart, Beethoven e generalmente i pianisti di quell’epoca, conoscevano assai bene i testi per tastiera del Kantor, ma li consideravano meri esercizi per lo studio della tecnica pianistica!

Tornando a questa Sonata di Ireland, si rimane molto colpiti dal suo mood, dall’atmosfera trasognata e onirica ma insieme appassionata – e in tal senso poco inglese – che recupera e rappresenta quella “terra di mezzo” che è stato il passaggio dall’ottocento al novecento europeo prima della definitiva ribellione alla tonalità. Il compositore inglese raccoglie sia le suggestioni del simbolismo di Debussy (1862-1918) che le lezioni di Satie (1866-1925) e di Ravel (1875-1937), in quegli anni dominatori assoluti della scena parigina; ma sembra anche far tesoro della musica italiana del primo novecento, lasciando intendere di conoscere bene sia Respighi (1879-1936) che Pizzetti (1880-1968) e di fuggire invece dalle avanguardie di Busoni (1866-1924) e di Casella (1983-1967). A dimostrazione della complessità della sua ispirazione, nella musica di Ireland si trovano anche gli echi della poetica dei Preraffaelliti inglesi, quella scuola pittorica che per un breve momento, nella seconda metà dell’ottocento, aveva cambiato il corso delle arti figurative dilatando la propria ideologia a tutte le altre arti, musica compresa, affermando di voler riportare in vita i costumi del passato, immaginario e nostalgico, e di unificare i concetti di vita, arte e bellezza.

Tocca molte corde insomma, questa Sonata, e tuttavia riesce a tenerle tutte molto bene insieme, sia sul piano armonico sia nel continuo gioco di rinvii fra i due strumenti, che si confrontano intendendosi e che fondono le loro voci senza mai appiattirle una sull’altra. Venti minuti di musica gradevole e godibile in cui non viene elusa l’aspra inquietudine dell’Inghilterra nel periodo fra le due guerre che hanno sconquassato l’Europa nella prima metà del novecento. Un periodo, quello degli anni venti e trenta, in cui al di là della Manica si respirava un’aria assai diversa da quella che in vari modi stava appestando il nostro continente. E che, almeno in parte, ha salvato gli inglesi dalla grande follia.

Paolo Viola



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