30 aprile 2020

LA CASA DI FUORI: RIPENSARE LO SPAZIO URBANO POST COVID-19

Alcune proposte per Milano


Il Covid-19, insieme a morte e segregazione, ci sta lasciando un’eredità positiva: la riscoperta della città a misura d’uomo e di natura, di un ritmo diverso, basato più sulla qualità che sulla quantità. Bisogna non lasciarsi scappare questa consapevolezza e agire per consolidarla.

Lasciate perdere la maledetta auto e costruite le città per gli innamorati e gli amici” (Lewis Mumford, 1979). La frase di Mumford, tratta da “My works and days. A personal chronicle”, può apparire romantica e forse anche un po’ ingenua, ma racchiude in sé una visione della città che in questo momento storico diviene rivoluzionaria più di ogni altra.

In questi giorni le città ci appaiono come grandi scenografie immobili e silenziose. Metafisiche e vuote, proprio per questo suscitano una meraviglia alla quale non eravamo abituati. Piazza di Trevi a Roma, sede dell’omonima Fontana, accompagnata soltanto dallo scroscio delle fontanelle, Piazza del Duomo a Milano esclusivamente abitata dai piccioni, gli Champs Élysées fermi e slanciati verso l’arco di Trionfo, Times Square timida, circondata da luci intermittenti di fine festa.

Foto Ansa – Aprile 2020: un fenicottero attraversa la strada di una città sarda svuotata dal lockdown.

Foto Ansa – Aprile 2020: un fenicottero attraversa la strada di una città sarda svuotata dal lockdown.

Non c’è dubbio: non solo siamo stati portati ad una percezione più introspettiva di noi stessi ma anche ad un’analisi dello spazio urbano che ci circonda che, come una “casa di fuori”, riflette quello che siamo stati, quello che siamo e quello che forse potremo essere. Le città come gli uomini sanno ricordare e raccontare le esperienze del passato e le aspirazioni del futuro; ma se questa bellezza silenziosa ora ci sorprende, è nell’uso quotidiano che si esprime al meglio la loro anima, perché sono il luogo deputato alle umane faccende, alla manifestazione e attuazione della Storia.

Ed è proprio da qui che dobbiamo ripartire: dall’insegnamento, dall’adattamento, dalla resilienza che quanto accaduto ha provocato in noi. Cos’è che abbiamo sbagliato e su cosa ci siamo traditi? Se non lo facciamo, si sarà prodotta una doppia tragedia: quella dei morti e della segregazione e quella di non aver imparato nulla da tutto ciò.

In queste settimane dai balconi, tramite l’occhio di media e social network, abbiamo visto la manifestazione surreale di una natura che entrava in città. Proprio nello spazio urbano, la natura si è lentamente guadagnata terreno e forse si è proposta in una sorprendente postura di nuova convivenza con noi. A Milano uccelli selvatici passeggiano nelle vie, un’aquila reale vola sopra i caseggiati, gruppi di lepri nei giardini pubblici; a Cagliari i fenicotteri sono per strada e a Trieste i delfini nuotano nel porto. Anche le piante hanno incrementato la loro diffusione ricordandoci che quel meccanismo biologico, persino tra il cemento, non si ferma mai. Questo dimostra come esista una correlazione nel rapporto tra spazio antropico e naturale e come questo equilibrio sia fondamentale per la qualità della nostra vita.

La forestazione urbana quindi, proprio ora, dovrebbe da una parte compensare la pressione antropica (assorbimento di Co2, riduzione degli inquinanti, riduzione dell’effetto isola di calore, aumento del comfort acustico) e dall’altra fungere da diaframma tra l’ambiente naturale esterno e la città stessa (paesaggio, biodiversità, equilibrio ecologico).

A Milano esistono alcuni grandi “polmoni” naturali, interni al tessuto urbano consolidato, che per posizione e caratteristiche rappresentano delle vere e proprie “porte di transizione” tra la campagna e la metropoli: la Piazza d’Armi a Baggio, il Parco della Goccia in Bovisa e l’ambito di Porto di Mare. Questi luoghi, in modo prioritario, dovrebbero essere tutelati da qualsiasi forma di edificazione e ceduti come capitale fondamentale della nuova infrastruttura verde di Milano.

In questi giorni è stato persino dimostrato come sussista una correlazione tra l’inquinamento atmosferico e la diffusione/letalità del Covid-19. Si tratta di studi dell’università di Harvard, delle università di Siena e Aarhus e della Società Italiana di Medicina Ambientale con le Università di Bari, Bologna e Milano, che provano come il virus abbia avuto una maggiore letalità nelle regioni più inquinate e come il particolato atmosferico possa fungere da vettore per la diffusione del virus stesso o di altri agenti patogeni.

Chissà se, grazie alle immagini dei droni, ci siamo rivisti nelle piazze, sulle strade e nei giardini prima che accadesse tutto. Come nel film “Il cielo sopra Berlino” di W. Wenders, può essere che ci siamo scrutati laggiù nella fretta, nella frenesia, nella ressa di un tempo accelerato, brevissimo ed isterico? Abbiamo capito che il tempo è la più preziosa materia di questa epoca e che la sua qualità e il suo valore dovrebbero essere posti come priorità nella nostra vita sociale, pubblica e privata: occorre trovare ritmi nuovi, qualitativi, con diversi sistemi di mobilità e di utilizzo dello spazio pubblico per una nuova vivibilità urbana.

Ecco allora la necessità di utilizzare nuovi strumenti di gestione come il Piano Territoriale degli Orari (PTO): una sorta di piano regolatore del tempo, utile al coordinamento delle attività lavorative e commerciali. L’obiettivo è quello di diluire nella giornata il flusso del traffico veicolare privato e pubblico e scaglionare gli orari di inizio e fine delle attività di uffici, negozi, spazi commerciali, scuole, attività sportive e ricreative. Di “Piano regolatore del tempo” si parlava già negli anni ’90. Nel comune di Milano è stato avviato in fase preliminare e ad oggi ha riguardato soltanto piccoli interventi sperimentali in ambiti ristretti. Dovrebbe essere rivisto e rielaborato in vista delle misure di distanziamento che il protocollo sanitario post-Covid ci impone.

Certo le misure di sicurezza riguarderanno soprattutto i mezzi pubblici, il cui accesso sarà regolarizzato in gruppi limitati e proporzionati. Diventerà fondamentale il potenziamento di mezzi in condivisione quali car e bike sharing e car pooling. Ma sarà soprattutto la bicicletta, come mezzo pratico e ecologico ad assumere una valenza prioritaria a Milano, città con una distanza di circa 13 km tra un capo e l’altro dei propri confini. Sono numerosi gli appelli delle associazioni per la cultura ciclistica a ripensare un sistema di mobilità urbana post-Covid19, peraltro a Milano già realizzabile in una rete diffusa e ramificata.

Tutto il centro storico dovrebbe essere a priorità di circolazione pedonale e mobilità dolce, mentre la circonvallazione interna, quale spina dorsale di distribuzione, potrebbe essere interamente ciclabile mantenendo la corsia riservata già esistente per mezzi pubblici e taxi. Il tutto agevolato da direttrici a mobilità dolce verso i nodi di interscambio auto-metro.

L’introduzione di nuove isole pedonali e l’incremento di quelle esistenti darà poi un consistente contributo al traffico ciclabile e permetterà un maggiore utilizzo di dehors e tavoli esterni per i locali, favorendo così il distanziamento sociale e permettendo di accogliere un maggior numero di clienti. Il centro di Milano dovrà essere ripensato come una grande isola pedonale, attraversabile soltanto con una passeggiata.

L’incentivazione dello smart working, anche solo per alcuni giorni a settimana, andrebbe ad alleggerire la densità di utilizzo della città. La pandemia ha certamente dato un’impennata a tale modalità di lavoro, ma il sistema dovrà essere incrementato e finanziato da nuove strutture digitali urbane che possano ampliare il servizio e la velocità di scambio dati.

Per concludere, le linee guida per ripensare la città dovrebbero derivare fondamentalmente da una reinterpretazione dello spazio cittadino in modo qualitativo e non quantitativo. Assecondando una visione di forestazione e ri-naturalizzazione urbana che sia diffusa, orizzontale (piantata a terra) e pubblica.

La pandemia può essere, nella tragedia, una grande occasione di superamento definitivo e radicale di questo tipo di metropoli post-industriale caratterizzata da una crescita incontrollata e smisurata, da un’anima consumistica, frammentaria ed escludente.

Ora possiamo riempire quel palco vuoto con lo spettacolo della nostra civiltà, della nostra storia e della nostra evoluzione: l’augurio è che sia cosciente, sostenibile e umano. Ci riusciremo?

Diego Profili

 



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  1. STEFANO COZZAGLIOTutto bello , ma utopico . Tutto isola pedonale diventa come un grande zoo per umani
    6 maggio 2020 • 23:40Rispondi
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