29 gennaio 2020

IL COMPLEANNO DI SCHUBERT

Schiff al Conservatorio per la Società del Quartetto


viola

Franz Schubert è nato il 31 gennaio del 1797 e la sera del 31 gennaio di quest’anno, a mo’ di celebrazione, András Schiff gli ha dedicato un concerto in Conservatorio per la Società del Quartetto. Schiff è uno specialista di Schubert e ricordo che molti anni fa s’impegnò in un memorabile ciclo di concerti eseguendo tutte le sue opere per pianoforte.

In questa occasione ha scelto Sonate molto particolari e cioè le penultime tre, scritte fra l’estate del 1825 e l’ottobre del 1826, le uniche pubblicate mentre era ancora in vita e che infatti posseggono un loro numero d’opera. Tutti conosciamo ed amiamo le successive, ultime tre Sonate – la D 958 in do minore, la D 959 in la maggiore e la D 960 in si bemolle maggiore – scritte (o meglio ultimate) il 26 settembre del 1828 ed eseguite il giorno dopo in una casa privata meno di due mesi prima della morte avvenuta il 19 novembre; sono tre indiscutibili capolavori spesso eseguiti insieme quasi a formare il corpo testamentario del povero Schubert.

Le penultime tre invece – e cioè la D 845 in la minore (opera 42), la D 850 in re maggiore (opera 53) e la D 894 in sol maggiore (opera 78) e di esse soprattutto le prime due – non possono a mio giudizio annoverarsi fra i capolavori schubertiani. La terza – dall’editore denominata “Fantasia”, un ammiccamento a Beethoven e alla sua “Sonata quasi un fantasia” volgarmente chiamata “Al chiaro di luna” – è sicuramente molto più godibile delle precedenti tanto che a proposito di essa Riccardo Risaliti osserva come “il colore morbido e profondo, dato da una timbrica non ancora usuale per l’epoca, legata alle possibilità dei nuovi pianoforti (eloquente la destinazione originaria: «für pianoforte allein»), conferisce – prima ancora di quanto non facciano le logiche tematiche e motiviche – quella unità che fece definire la sonata stessa da Schumann «la sua opera più perfetta di forma e di spirito». Nessuna composizione, nella ricca letteratura del pianoforte, riveste con tanto fascino coloristico la tonalità di sol maggiore, se non quel Lied, «Im Frühling», scritto da Schubert nella stessa epoca, in cui troviamo la chiave stessa di lettura della Sonata op. 78”.

Delle prime due, invece, nonostante il parere positivo che ne ha dato Schumann (che tuttavia non esitò a definire “celestiali lungaggini” le divagazioni schubertiane), ritengo che esse risentano pesantemente della sudditanza intellettuale del giovane Franz (Schubert) nei confronti dell’adorato Beethoven, di ventisette anni più vecchio di lui e già celeberrimo; ricordo che Beethoven morirà, nella stessa Vienna in cui abitava Schubert, lasciandolo peraltro costernato, il 26 marzo del 1827, e cioè esattamente nell’anno che intercorre fra la composizione della penultima triade di Sonate, quelle eseguite da Schiff, e la composizione delle ultime tre. Verrebbe da dire (è già stato detto da altri più autorevoli di me) che solo dopo la scomparsa di Beethoven, non sentendosi più giudicato da quel gigante, Schubert si sia sentito finalmente libero di esprimersi attraverso la forma della “Sonata per pianoforte” di cui il suo idolo era l’indiscusso protagonista.

Interessante l’interpretazione che ne ha dato Schiff: suonando sul suo ormai leggendario Bösendorfer ha dato alle Sonate schubertiane una lettura di grande morbidezza e soavità, evitando accuratamente ogni contrasto, escludendo ogni assertività, sempre un po’ sotto le righe, fino a sembrare talvolta persino esangue. Una lettura sicuramente corretta dal punto di vista filologico visto che Schubert – in una lettera del luglio 1825 citata da Carlo Cavalletti – dichiarandosi pienamente soddisfatto del proprio modo di suonare scriveva: «Alcune persone mi assicurano che i tasti diventavano voci cantanti sotto le mie dita, fatto che, se è vero, mi fa molto piacere perché non posso sopportare il maledetto martellamento a cui indulgono anche distinti pianisti e che non diletta né l’orecchio né la mente». Peccato però che le prime due Sonate, così eseguite, siano apparse quasi noiose.

Molto meglio invece si è rivelato Schiff nella Sonata-Fantasia, un testo sicuramente più adatto all’approccio intimo e minimale, in cui anche la morbidezza del pianoforte ha contribuito a scaldare i cuori. E magnifico, per non dire entusiasmante, è stato nel bis offerto alla fine del concerto all’osannante pubblico: l’«Improvviso» numero 3 dell’opera 90 – sempre di Schubert, nella impervia tonalità del sol bemolle maggiore (con 6 bemolle in chiave!) e nell’inusuale tempo di 4/2 – eseguito con una scioltezza ed una naturalezza encomiabili.

Bis ampiamente meritato dal pubblico del Conservatorio, tanto devoto a Schiff da perdonargli anche gli inopinati fervorini che ha preso l’abitudine di far precedere ad ogni esecuzione: un pubblico che si sente suo malgrado trasformato in docile scolaresca e tuttavia – complice l’incerto italiano ed il simpatico accento mitteleuropeo del suo beniamino – si lascia da lui entusiasmare e commuovere.

Paolo Viola



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  1. LucaCaro Paolo, vedo che i miei dubbi Schubertiani cominciano ad essere condivisi. Sarei anche più severo sulla D894 (ahimè nella mia adorata tonalità di sol maggiore) con un primo movimento che definire troppo lungo e persino un complimento. Sono d'accordo sull'incertezza compositiva che caratterizza tutte e tre queste sonate, con una forma sonata estesa fino a diventare quasi irriconoscibile. Nulla a che vedere, sono d'accordo, con la molto mozartiana D960 (anche l'ultimo concerto per pianoforte di Mozart e in Si bemolle con il quale il primo movimento della D960 ha molti punti in comuni). Ma anche la celeberrima D958 - con il suo continuo rieccheggiare del terzo concerto di Beethoven nella stessa tonalità - malgrado un maggior equilibrio tra i diversi movimenti soffre della stessa sudditanza di Beethoven che trovi per le 'penultime' sonate.
    5 febbraio 2020 • 15:01Rispondi
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