12 novembre 2019
HABEMUS SALA
Aspettando il giugno 2021
Cosa ci ha detto Beppe Sala negli ultimi giorni? Alcune cose importanti che riguardano lui, la città e le sue idee al riguardo. La prima è che, a meno di qualche improvviso cambiamento dello scenario politico, lui intenda ricandidarsi a Sindaco. Perché questo sia un bene l’ho scritto nel precedente editoriale e dunque è inutile ripetersi: anche solo questioni di strategia di sinistra.
Le altre cose le ha dette prima all’assemblea di Assolombarda il 3 ottobre, poi al convegno organizzato da Linkiesta l’8 successivo al teatro Parenti.
Comincerei col citarlo: “Vorrei vicino a me persone nuove e giovani e con una visione che si affianchino a persone esperte. Ci sto lavorando per capire se ci sono giovani milanesi in grado”.
Ci sono tre parole che m’inquietano e sono: visione, giovani e nuovo.
Sull’espressione “persone nuove” vorrei fare una sola domanda, sperando in una risposta: ossia?
La parola visione è ambigua e quando si parla di “visione della città” non si sa se chi lo dica abbia in mente la città futura che sta sognando, il futuro della sua città o pensi a visione come capacità di percepire la città per quello che è.
In entrambi i casi nel dibattito corrente c’è un prevalere nella visione degli aspetti urbanistici in senso lato, dovuto all’impatto su di noi dei fenomeni direttamente percepibili sensorialmente: le architetture dei pieni e dei vuoti, il traffico, il rumore, i colori, il verde e per i più attenti l’arredo urbano, gli odori e, perché no, i profumi e le irregolarità delle pavimentazioni.
Forse val la pena di mettere la sordina alla visione sensoriale per far emergere altre visioni che riguardino gli aspetti sociali, economici e politici e, della massima importanza, quelli demografici. Insomma una visione “olistica”.
Strategicamente bisogna prima mettere la visione della città com’è, cosa non facile perché prevede un lavoro di analisi e di raccolta di dati e informazioni, poi quella della città futura, legata alle proprie aspettative personali e a ciò che si ritiene siano le aspettative della maggioranza dei propri concittadini. Un percorso che porta a individuare gli obbiettivi della pubblica amministrazione.
Strettamente legata alla parola visione c’è giovani. La visione che interessa è certamente quella dei giovani, anzi forse dei giovanissimi, quelli che oggi hanno 17-25 anni con un futuro più lungo davanti a loro: chi interpella questi 100 mila? Con quali strumenti? Con quale osservatorio? Andiamo a cercarli sui social? Su Facebook? Su Instagram? Sappiamo interpellarli? Tra la loro visione e le altre, quelle di chi è più avanti nella vita chi farà la sintesi? Chi medierà? Dovrebbe farlo la politica perché questo è il suo ruolo.
Ma più in generale quali sono gli strumenti che si possono mettere in campo, volendo fare un lavoro serio, per conoscere le opinioni dei milanesi, le loro aspettative, le loro soddisfazioni e le critiche?
Ma la domanda conclusiva del sindaco è: ”Ci sono giovani in grado?”. Certamente sì. Disponibili? Sicuramente ma a certe condizioni: vanno trovati, e non è poco, vanno ascoltati e va data dimostrazione che le loro opinioni contino. Fino ad oggi le operazioni fatte in quella direzione hanno avuto troppo spesso l’aspetto di mera ingegneria del consenso. Invece i saperi dei milanesi, giovani e vecchi, sono un patrimonio poco sfruttato.
Ci sono ancora due parole del lessico politico che ricorrono con insistenza: disuguaglianze e partecipazione.
Il problema delle disuguaglianze emerge chiaramente anche dalla ricerca fatta da Assolombarda in occasione della sua ultima assemblea: la concentrazione della ricchezza milanese in poche mani e la crescente distanza tra ricchi e poveri ossia esattamente quello che succede in tutto il mondo e che si trasforma in disagio sociale diffuso, la sterminata pianura nella quale scorrazza il populismo.
Alla base delle disuguaglianze troviamo il reddito insufficiente in una larga fascia della popolazione, particolarmente in quella giovane.
Che cosa può fare un’amministrazione locale di fronte a questo problema? Poco, forse una cosa sola: offrire maggior assistenza e servizi alle fasce deboli della popolazione ma per farlo ci vanno risorse economiche. Dove trovarle? Come far sì che questa “nuova” ricchezza milanese, della quale tanto ci si fa vanto, si distribuisca meglio? Ecco uno degli interrogativi da proporre ai portatori dei saperi milanesi dei quali ho parlato in un mio editoriale.
Sulla partecipazione, per finire, si possono dire e si sono dette infinite cose: quel che si è fatto ha funzionato poco e male tanto che sembra il momento di affrontare il tema nel suo complesso. Il dibattito pubblico e gli altri strumenti di partecipazione debbono rispondere, tra gli altri, a tre requisiti essenziali: gli interpellati dovranno essere realmente rappresentativi della popolazione coinvolta, tutta l’operazione va gestita da un mediatore “realmente” indipendente, le conclusioni della consultazione debbono avere carattere vincolante per chi le promuove.
Luca Beltrami Gadola
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