15 ottobre 2019

I SAPERI DI MILANO: TUTTO NEL CASSONETTO DELL’INDIFFERENZIATA?

Difficile che qualcosa arrivi ai decisori


Chiunque abbia un profilo Facebook con molti follower, che sia su Twitter o in qualche mailing-list di ente pubblico milanese, riceve una quantità quotidiana di annunci: convegni, tavole rotonde, aperture di tavoli tematici, appelli a sottoscrivere petizioni, riunioni di gruppi sociali, manifestazioni di ogni genere. Milano anche in questo manifesta una vivacità forse senza paragoni rispetto ad altre città italiane: è uno dei suoi fascini.

editoriale

Tra queste attività molte, forse la maggior parte, riguardano la vita politica, sociale e amministrativa della città: si interpella, si riflette sul presente e sul futuro, si osservano i cambiamenti sociali, economici e di assetto territoriale, si chiede a studiosi ed esperti, anche di altri Paesi, di portare le loro conoscenze e le loro esperienze. In una parola si fa “cultura della città” intesa in maniera assolutamente olistica.

Quanto sapere, quanti saperi! Ma a che servono?

In una recente intervista televisiva, Emanuele Macaluso – un riferimento per chiunque voglia parlare e sapere di Sinistra – ha detto che negli ultimi tempi, soprattutto quelli recenti, il ruolo degli “intellettuali” è venuto meno e, se non ricordo male, ha citato il pensiero di Gramsci sugli intellettuali nei suoi Quaderni dal carcere.

Che gli intellettuali si siano molto defilati e che la loro azione sia meno incisiva lo abbiamo capito da tempo ma qualche ragione c’è: la politica fatta di slogan non ha bisogno degli intellettuali; la politica che parla alla pancia idem; la politica vuole degli yes man e fortunatamente la maggioranza degli intellettuali non lo sono; i politici non amano chi “disturba il manovratore intento alla manovra” soprattutto se intralcia le loro piccole manovre personali e di palazzo.

Per finire non dimentichiamoci mai che anche nel nostro “libero” Paese qualche purga di intellettuali l’abbiamo vista: ricordiamo l’editto bulgaro di Berlusconi nel 2002 che fece fuori Biagi e Santoro e l’attacco recente ai giornalisti da parte di alcuni leader. Gli intellettuali spesso non sono eroi per definizione, semplicemente tacciono.

In Italia i “poteri” sono arroganti e placano la loro ignoranza con la vendetta.

I saperi finiscono allora nella spazzatura e la prova migliore la troviamo esaminando attentamente le decisioni e gli atti amministrativi rispetto ai saperi disponibili: quanto di questi saperi si è trasformato in atti amministrativi? Quanto in decisioni politiche? Poco o nulla.

Molti “seminari”, molti convegni, se tutto va bene, suscitano qualche eco sulla stampa e qualche benevolo commento. Molti convegni, anche su temi interessanti, raccolgono poco pubblico e tra il pubblico raramente qualcuno della categoria dei decisori che potrebbe far tesoro di quel che si sente.

Quanti “tavoli” si son fatti, accuratamente suddivisi per temi ma quanti sono andati di là da una semplice propaganda elettorale o oltre una banale ingegneria del consenso?

Sembra che la classe politica per mera convenienza si dedichi all’ascolto, dichiarandolo a ogni piè sospinto, ma abbi deciso di non “sentire” ma soprattutto vive nel timore che opinioni diverse dalla sua prendano corpo e divengano popolari.

In questo scenario per la politica l’irruzione di internet costituisce contemporaneamente una utilità e un pericolo: utile nelle gestione del consenso e nelle varie pantomime di “partecipazione” o referendum online ma un pericolo per la facilità con la quale il dissenso si coagula e si diffonde a cominciare dall’impatto delle operazioni di flash mob.

In questo scenario “Intellettuali ma dove siete finiti?” è la domanda che si è posto Roberto Cotroneo su la Repubblica del 6 aprile scorso. E’ una domanda alla quale è difficile rispondere e essere totalmente d’accordo con Cotroneo.

Il rapporto tra cultura e politica sembra spezzato e di conseguenza spezzato tra saperi e politica: dunque anche nell’effervescente Milano i “saperi” fanno molta fatica a salire le scale di Palazzo Marino, lo si vede anche nelle recenti vicende di approvazione del nuovo Piano di Governo del Territorio.

Luca Beltrami Gadola



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  1. Elio...mi spiace niente di nuovo...la solita ramanzina...'radical scic'...
    16 ottobre 2019 • 08:04Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaMi diverte sempre chi continua a criticare un'opinione definendola radical "chic"(non "scic")senza conoscerne l'autore. Comunque se anche lo fossi non me ne vergognerei. Comunque certo sono un "radicale" in quanto su certe questioni ritengo che l'atteggiamento debba essere "radicale" e non riformista.
      16 ottobre 2019 • 11:50
  2. Andrea PassarellaSul ruolo degli intellettuali e la loro presenza e incisività nel contesto italiano si è parlato molto e sostanzialmente è tutto vero, aggiungerei che i veri intellettuali sono pochi a prescindere e che molti sedicenti intellettuali lo sono di facciata e per convenienza. Calandolo nel caso del PGT non trovo tuttavia questo disprezzo verso l'opinione pubblica né verso quanto pensato dagli intellettuali. Il confine è labile, se si decide di confrontarsi con la 'base' i tempi si allungano spesso arrivando all'immobilismo non potendo accontentare tutti (il cammello è un cavallo uscito da un comitato), se si procede non considerando alcune richieste per spezzare l'inerzia si è tacciati di decisionismo. Alla fine è dovere di un amministratore decidere dettando una linea, ci vuole una sintesi che racchiuda un'idea in cui immancabilmente qualcuno verrà scontentato. L'alternativa è agire come un istituto sondaggi, ciò che vuole il popolo in quel momento viene realizzato a prescindere dalla correttezza e lungimiranza della decisione.
    16 ottobre 2019 • 10:36Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaQuanto al PGT il prossimo editoriale del 23.10 chiarirà spero la mia posizione ed ospiteremo molti interventi al riguardo. Quanto ai sondaggi in genere anche senza malafede cercano di dare ragione a chi li ha commissionati salvo le agenzie più serie, almeno questo è quanto mi dice un amico espertissimo della materia e che si occupa proprio anche di attendibilità dei sondaggi.
      16 ottobre 2019 • 11:38
  3. Oreste PivettaA proposito di intellettuali, mi viene sempre spontaneo chiedere dove siano finiti gli intellettuali. Sia chiaro: gli intellettuali esistono ancora (persino quelli che Gramsci, severissimo, avrebbe definito tali), ma chi li conosce, dove stanno, come possono farsi sentire, quali sono i luoghi (pubblici) nei quali possono confrontarsi (tanto di cappello a Arcipelago), quanto possono operare (qui si dovrebbe aggiungere qualcosa sugli intellettuali del “fare”, ma si andrebbe per le lunghe e mi accontento di citare, a mo’ di esempio, gente del passato: don Milani, Basaglia, Maccacaro...) ? Chi li ascolta, poi ? Non è solo colpa della politica (che pretende yes men). Adesso la patente e, soprattutto, la faccia di “intellettuale” te le danno l’esercizio dello strepito e il conformismo, la televisione e le pagine culturali del Corriere più qualche premio letterario stracotto.
    19 ottobre 2019 • 12:36Rispondi
  4. Miro CapitaneoMa scusate, un ciabattino, un pasticcere, un prete, una maestra d'asilo non possono essere intellettuali? Il sapere diffuso e' sterminato...il problema e' come organizzarlo? Forse Intelligenza artificiale potrebbe farlo portando a sintesi idee e sensibilita'? Io so che il famoso "intellettuale collettivo" di cui si parlava in politica non e' mai nato.... Non ci servono i Soloni...
    19 ottobre 2019 • 19:01Rispondi
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