27 ottobre 2019

L’URBANITÀ: UNA QUESTIONE IGNORATA DALLA POLITICA

La qualità dell'abitare nella sua dimensione civile


Ci sono due questioni che il nuovo PGT, non meno del precedente, non affronta adeguatamente, quando non le ignora del tutto: il problema della casa e la qualità dell’abitare condiviso. Sulla prima questione – quella sollevata da Friedrich Engels nel 1872 – il quadro italiano non è confortante. Da una ricerca Nomisma-Ferdercasa di tre anni fa si apprende che solo un terzo del fabbisogno abitativo dei ceti poveri trova risposta nell’edilizia popolare.

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Più recentemente ne Il tempo dei bambini. Atlante dell’infanzia a rischio 2019 di Save the Children si rileva che «negli anni della crisi il 9% della popolazione italiana e il 14% dei minori ha patito condizioni di disagio abitativo grave; il 41% dei minorenni ha vissuto in situazioni di sovraffollamento; e il 25% in appartamenti umidi, con tracce di muffa alle pareti e soffitti che gocciolano (EuSILC 2017). Dati nettamente superiori a quelli che si registrano in Germania, Francia o Olanda, paesi che hanno saputo perseguire politiche abitative efficaci».

In Italia gli ultimi decenni registrano una rottura rispetto a una linea d’azione che dal socialismo municipale di inizio Novecento non si era mai interrotta, nemmeno negli anni del fascismo. E Milano, che in quella politica è sempre stata un passo avanti alle altre città italiane, non ha saputo invertire la tendenza affrontando di petto la questione. Né lo fa il nuovo PGT.

Non meno grave è la sottovalutazione, della seconda questione: la qualità dell’abitare nella sua dimensione civile. Un requisito che si misura nella qualità delle relazioni sociali e nella coesione del corpo sociale che gli assetti insediativi sono in grado di assicurare e che si può riassumere con il termine urbanità.

L’orientamento di fondo del PGT coincide con il ruolo che, nella programmazione del rinnovamento urbano, si sono ritagliati il sindaco e la Giunta che l’hanno promosso: quella di facilitatori delle trasformazioni immobiliari nel solco del vecchio refrain “Quand le bâtiment va, tout va”, ora rinfocolato dalla narrazione trionfalistica sulla Milano con il vento in poppa (una narrazione che ha tra i primi sostenitori i due maggiori quotidiani nelle cui pagine c’è ormai solo spazio per veline e peana).

Non basta il fatto che nel PGT per gli interventi maggiori (superiori ai 10.000 mq di superficie lorda di pavimento) siano previste quote di edilizia sociale, tanto più se viene lasciata la scappatoia della monetizzazione. Quello che manca è l’esplicita volontà di fermare un processo che nell’ultimo decennio è diventato prorompente: l’affacciarsi sulla scena urbana di forme più o meno camuffate, di gated communities.

L’urbanistica è un aspetto della politica: quello che più di ogni altro contribuisce alla definizione della convivenza civile. Le scelte urbanistiche sono infatti in grado di condizionare il modo di relazionarsi e di abitare delle generazioni attuali e future, da cui molto dipende la questione della sicurezza (strumentalizzata, ma non affrontata alla radice dai profittatori che sappiamo). Eppure il PGT appena approvato non mette a fuoco il ritorno in termini di urbanità delle trasformazioni urbane programmate. Né la politica della Giunta presidia adeguatamente la questione. In particolare ignora i guasti, quantunque ormai macroscopici, derivanti dal fatto che le definizioni concrete delle trasformazioni urbanistico-architettoniche sono oggi totalmente delegate agli operatori immobiliari.

Non sto proponendo che gli uffici comunali si facciano carico del disegno urbano (non ci sono le competenze; e, se si guarda al Novecento, si pensi al piano Albertini ma anche al PRG del 1953, il bilancio al riguardo è disastroso). Sto dicendo che nel PGT non sono enunciati criteri di verifica adeguati al problema dell’urbanità né sono previste misure per il suo governo. Di questo la Commissione per il Paesaggio – per come è concepita e composta – non è in grado di farsi carico. Non basta presidiare la questione del decoro urbano: occorre un organismo che sia in grado di valutare gli esiti degli interventi proposti sul terreno dell’urbanità.

Ma sul fronte del fare o disfare città urge un rinnovamento culturale non solo tra gli addetti ai lavori e tra i governanti: è necessaria una crescita collettiva. Solo così la politica potrà uscire dalla morta gora in cui è prigioniera.

Giancarlo Consonni



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  1. marco romanoCaro Giancarlo, forse noi speriamo di convincere i nostri concittadini ad adottare le nostre considerazioni; ma non devi rivolgerti a me, ma per esempio a Beppe Beppe Sala o Beppe Grillo? Marco
    30 ottobre 2019 • 16:36Rispondi
  2. Luca BergoCaro Consonni, tocchi un punto che dovebbe essere centale nell'attività di conmcezione ed elaborazione di uno stumento ubanistico, e poi della sua gestione (e delle decisioni successive, come nel caso del "nuovo stadio, nuove cubature"). Ma sembra che questa non sia la via che, a partire dai tecnici, per arrivare agli amministratori, interessa percorrrere. Altrimenti staremmo parlando, soprattutto cogli abitanti delle periferie, di qualità dell spazio urbano, qualità dell'offerta di servizi alla socialità e qualità dell'abitare, oltre che di costruire nuova edilizia residenziale pubblica in spazi non ghettizzati. Il che vorrebbe dire fornmire agli abitanti stessi gli strumenti da utiliuzare per formare le proprie proposte e farle valere. E questo, se proprio non darebbe fastidio assai, possiamo almeno dire che mi sembra non interessi a nessuno? Stammi bene Luca Bergo
    6 novembre 2019 • 11:31Rispondi
  3. Gabriella GrassoCondivisione. La sinistra non esiste e nemmeno niente che la sostituisca. Perché prima di ogni altra cosa è necessario formulare delle leggi che impediscano la formazione di ghetti e che impediscano alle classi privilegiate di fagocitare il centro urbano, che parlino di suolo abitativo attraverso percentuali da destinare alle differenti componenti sociali con regole diverse da quelle che applicherebbe il re sole.
    12 novembre 2019 • 11:05Rispondi
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