2 ottobre 2019

UN ZIMERMAN ESUBERANTE

La nuova stagione alla Società del Quartetto


Apertura di stagione folgorante per la Società del Quartetto, martedì scorso, con il pubblico invitato a un aperitivo nel chiostro prima di affollare la grande sala Verdi del Conservatorio – gremita come raramente capita di vedere – per il concerto inaugurale. Concerto preceduto da una sobria introduzione del nuovo presidente Ilaria Buitoni Borletti che, dopo aver espresso grande ottimismo e fiducia nel valore sociale della musica, ha rivolto un caldo encomio allo staff – in primis per il direttore musicale Paolo Arcà – che ha organizzato questa ricchissima 155a stagione della Società.

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Quando la Borletti, nel ringraziare alcune autorevoli persone presenti in platea, ha nominato Liliana Segre, è successo qualcosa di analogo a quanto accadde il 7 dicembre scorso all’inaugurazione dell’ultima stagione della Scala con quella lunghissima ovazione tributata a Sergio Mattarella; anche questa volta poco a poco si sono alzati tutti in piedi ed hanno indirizzato un applauso lunghissimo all’indirizzo della imbarazzata Senatrice a vita. Ci siamo chiesti in tanti quale potesse essere il significato di questo gesto palesemente clamoroso, e credo sia stata l’affermazione dei valori di serietà, di integrità, di impegno, che la Segre rappresenta oggi a fronte della cialtronaggine dilagante; come dire “siamo fieri della nostra milanese a Roma”, oppure come voler rievocare la memoria di quel “resistere, resistere, resistere” che un amato Presidente del Conservatorio ebbe a scandire in tutt’altra occasione.

Venendo al concerto, il programma prevedeva due quartetti con pianoforte di Brahms, il numero 3 in do minore opera 60 e il numero 2 in la maggiore opera 26 (giustamente nell’ordine di inizio delle relative composizioni anziché in quello di pubblicazione), mentre è stato fatto saltare all’ultimo momento il Quartettensatz di Mahler (scritto quando era ancora sedicenne) che avrebbe avuto ben poco a che fare con i due lavori brahmsiani. Al pianoforte c’era una grande celebrità, il polacco Krystian Zimerman, agli archi due sue connazionali Marysia Novak (violino), Katarzyna Budnik (viola) e il giapponese Yuya Okmoto (violoncello), tutti molto più giovani di lui.

Il Quartetto in do minore opera 60 è un’opera singolare, abbozzata nel 1855 (Brahms aveva 22 anni ed era appena entrato nella vita di Robert e Clara Schumann) e terminata nel 1875 (quindi nel pieno della sua maturità artistica), risente molto dei reiterati rimaneggiamenti tanto da risultare poco incisivo e ancor meno compatto, direi quasi eccessivamente “costruito”. Inizia con un movimento particolarmente tenebroso, cui segue uno Scherzo quasi violento; poi, dopo un Andante decisamente lirico (forse la parte più genuina dell’intera composizione), conclude con un movimento veloce che, ancorché indicato come “Allegro comodo”, corre verso la fine quasi á-bout-de-souffle. Dei tre quartetti per pianoforte ed archi (il terzo è l’opera 25 in sol minore, coevo dell’opera 26) è il meno eseguito, anche perché mette a dura prova l’intesa e la sincronia fra i diversi strumenti; ed anche questa palpabile difficoltà esecutiva finisce per farlo percepire come poco spontaneo.

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Di tutt’altro genere il celeberrimo Quartetto in la maggiore opera 26, un grande capolavoro pieno di poesia, raccolto, introspettivo, persino leggiadro (Poggi & Vallora), che – nonostante Brahms in quegli anni (1861/62) non si fosse ancora trasferito a Vienna, e dunque non avesse respirato quella particolarissima atmosfera – sembra discendere direttamente dagli umori schubertiani. A Vienna venne eseguito per la prima volta in pubblico, e il pubblico lo accolse con grande entusiasmo mentre – come speso accade (!) – non fu altrettanto apprezzato dalla critica. Ci fu chi disse addirittura (Bruyr) “troviamo Schubert nel primo tempo, Haydn nello Scherzo, Schumann nel Poco adagio e l’Ungheria nel finale”. Oggi è uno dei quartetti più amati di tutta l’epoca romantica. Povera critica.

Infine due parole sull’esecuzione. Tutti bravi, molto bravi, e ovviamente sopra tutti il grande Zimerman che ha fatto cantare il pianoforte come solo pochi sanno fare, e bravissimo il venticinquenne violoncellista giapponese che lo assecondato con devozione; la violinista (un po’ meno incisiva) e la violista (più sicura di sé) assolutamente decorose nei loro ruoli anche se non travolgenti. Innegabile nell’insieme un’ottima esecuzione. Ma si può parlare di un vero Quartetto, cioè di quel miracoloso “insieme” che sembra – e suona come se fosse – un solo strumento e che esprime una personalità ed ha un carattere che trascende il singolo esecutore? Si è avuta invece la sensazione che si trattasse di un concerto per pianoforte e trio d’archi, anche molto interessante per il diverso gioco delle parti e per l’insolita analisi che questo dualismo consentiva; si è perduta però parte della espressività che siamo abituati ad amare in Brahms. In altre parole lo abbiamo più ammirato che goduto.

***

Curiosamente due giorni dopo, nella suggestiva atmosfera dell’abbazia di Santa Maria in Morimondo, un altro ensemble composto da Alice Baccalini (pianoforte), Clara Franziska Schötensack (violino), Enrico Carraro (Viola) e Giorgio Casati (violoncello), dopo aver eseguito in maniera esemplare due quartetti, rispettivamente di Mozart e di Schumann, hanno offerto in bis l’Andante del Quartetto opera 60 di Brahms e il confronto è stato molto significativo. Il perfetto equilibrio fra il pianoforte e gli archi, la capacità di ascoltarsi, il piacere di suonare “insieme” e di sentirsi fra eguali, ha fatto premio ed ha reso il movimento di Brahms assai più godibile di quello ascoltato due giorni prima.

Paolo Viola



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