13 giugno 2019

UN’OPERA STRAORDINARIA ALLA SCALA

La straordinaria edizione de “Die Tote Stadt”


Mi dispiace scriverne quando ormai sono finite le repliche e non vi si potrà più assistere; ora non c’è che da sperare in una ripresa nei cartelloni dei prossimi anni. L’evento è stato straordinario – e non mi pento di usare questa abusato aggettivo – per tante ragioni: la qualità musicale dell’opera e la sua storia, il suo autore, la scena e la regia, ma soprattutto la sua principale interprete Asmik Grigorian. Sto parlando dell’opera di Erich Wolfgang Korngold “Die Tote Stadt” (“La Città morta”) andata in scena in questi ultimi giorni alla Scala diretta d Alan Gilbert con la regia di Graham Wick.

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La storia è molto conosciuta grazie al film “Vertigo” (in italiano La donna che visse due volte) di Alfred Hitchcock, tratta dal romanzo Bruges-la-Morte del belga Georges Rodenbach, e racconta le tragiche contraddizioni del giovane vedovo Paul, innamoratissimo della moglie scomparsa, Marie, fino a rasentare la necrofilìa, e contemporaneamente attratto dalla vitalità e dalla bellezza della dolcissima e piccante ballerina Mariette. Siccome siamo in piena epoca simbolista, alla fine dell’opera scopriremo che il tormentato incontro fra Paul e Mariette si è svolto in sogno, ed il risveglio sulle ultime note riserverà considerazioni di grande poesia.

Ma tutto il libretto è un testo di altissima poesia, tanto che – benché garbatamente tradotto dalla compianta Annamaria Morazzoni per la Fenice di Venezia ed ora a beneficio dei display della Scala, ed ancorché il romanzo originale fosse scritto in francese – andrebbe letto in tedesco che, come si sa, è per antonomasia la lingua del romanticismo; la sua stesura è dovuta al padre-padrone di Erich Wolfgang, Julius Korngold che, per non mettere in imbarazzo il figlio musicista lo firma con uno pseudonimo. Era, questo padre, un notissimo critico musicale che si considerava – e in certo senso lo era – erede di Eduard Hanslick e che, agli inizi del novecento, dominava la scena musicale di Vienna osteggiando duramente la nuova scuola di Arnold Schönberg e compagni.

Ciò non basta a spiegare come questo ragazzo appena ventitreenne – che già quattro anni prima aveva mandato in scena due atti unici, a Monaco di Baviera, con la direzione di Bruno Walter e i complimenti di Gustav Mahler (“è un genio!”) – possa avere scritto un’opera così complessa e di tale fascino: tre ore di musica che passano senza il minimo sentore di noia o di banalità, in perfetta sintonia con il testo, in cui si stenta a capire se l’elemento dominante è l’orchestra o sono le voci, mentre si resta rapiti da una scena essenziale ma potentemente evocativa di un’epoca e rappresentativa di una situazione di grande emozionalità.

La musica è sublime. Non ricordo altra opera che meglio di questa rappresenti l’epilogo della musica romantica ottocentesca e l’alba della musica nuova, non ancora rivoluzionaria ma inquieta ed aperta al futuro; ci sono Mahler e Strauss, Puccini e Busoni, Débussy e Ravel, persino Gershwin e Bernstein. Ma ci sono anche il Musical e le musiche da film (di cui Korngold, emigrato in America perché perseguitato in quanto ebreo, diventerà un ricercatissimo autore).

Indimenticabili nel primo atto la canzone cantata da Marietta accompagnata dal liuto che fu di Marie (che dalla platea sembrava piuttosto un mandolino napoletano); nel secondo atto il balletto orgiastico della compagnia di ballo di Mariette (eseguito magistralmente dai solisti dell’Accademia); ed infine, nel terzo atto, la processione religiosa (siamo a Bruges, la città del Béguinage) accompagnata dal coro di voci bianche, sempre dell’Accademia, che inspiegabilmente si trasforma in una tradotta militare di derelitti (una premonizione dell’olocausto?). Tre momenti clou dell’opera che segnano altrettanti stati d’animo di Paul e gli incubi freudiani della sua tormentata coscienza. Compresa una non larvata critica alle ossessioni religiose, alla connessa repressione sessuale, all’insipiente culto dei morti.

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In conclusione un’opera di grande godibilità ed altrettanto grande spessore. Inspiegabile che sia stata data per la prima volta alla Scala, a cent’anni dalla prima rappresentazione assoluta dello Stadttheater di Amburgo (4 dicembre 1920), e – occorre dirlo – grande merito a Pereira che ne ha intuito il potenziale successo. Successo che non è mancato a giudicare dall’inverosimile numero di chiamate al direttore, al regista, a tutti gli artisti.

Ma non spiegherei per nulla questo successo se non raccontassi dello straordinario soprano che citavo all’inizio, e cioè quella superba, bellissima Asmik Grigorian che con quest’opera si è affacciata per la prima volta sul palcoscenico della Scala. Padre tenore armeno e madre soprano lituana (i due genitori si conobbero sul palcoscenico della Scala!), Asmik nasce a Vilnius trentotto anni fa e studia pianoforte e direzione d’orchestra prima ancora di cominciare a cantare. Due mariti, due figli, un’antidiva che più diva di così è difficile immaginare. Se ne capisce la serietà e la professionalità da ogni nota e da ogni gesto. E’ una Marietta tanto dolce ed affettuosa quanto glaciale e provocante, tanto disinvolta quanto poco vestita e tuttavia sempre con raffinata eleganza. La sua voce fa impazzire per il nitore, la potenza, la flessibilità. Oscura tutti le altre, persino quella del pur ottimo protagonista, il tenore Klaus Florian Vogt. E molto onore va anche riconosciuto al direttore d’orchestra e al regista che l’hanno assecondata, valorizzata, accompagnata in modo esemplare.

Per favore, Teatro alla Scala, qualsiasi cosa accada del vostro futuro management, ridateci questa Città Morta un’altra volta, non facciamocela scappare e celebriamone il vero centenario l’anno prossimo!

Paolo Viola



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  1. CristinaNon si può che associarsi alla richiesta del travolgente Paolo Viola, che mi fa rimpia ngere di essermi persa tanta bellezza!
    19 giugno 2019 • 01:32Rispondi
  2. Vittoria MoloneLa recensione, come al solito dotta e stimolante, dà l’idea di che cosa si sia perso a non assistere a questa rappresentazione. Speriamo davvero che venga ripresa. Penso che sarebbe utile darne notizia prima, soprattutto quando si tratta di opere sconosciute ai più. Un cordiale saluto. Vittoria Molone
    19 giugno 2019 • 08:51Rispondi
  3. Cristina JuckerCondivido in toto questa recensione di un’opera inattesa e davvero bellissima e messa in scena in modo magistrale!!
    19 giugno 2019 • 08:56Rispondi
  4. Stefano Paveri-FontanaBoh! Non sono un esperto, ma ho trovato l'opera molto noiosa e mi e' dispiaciuto che la regia non abbia seguito le indicazioni dell'autore, del resto riportate sul libretto esplicativo
    19 giugno 2019 • 10:05Rispondi
  5. Sergio DelmastroCondivido il giudizio dell' ottimo Viola. Una produzione esemplare!
    19 giugno 2019 • 11:40Rispondi
  6. biancaSono daccordissimo! Marietta mi ha lasciata strabiliata. E ricorderei anche la scenografia: bellissima.
    19 giugno 2019 • 12:59Rispondi
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