19 marzo 2019
I GIOVANI SALVERANNO IL MONDO? MA CHI SALVERÀ I GIOVANI?
Un ’68 nell’era di Internet
19 marzo 2019
Un ’68 nell’era di Internet
La mobilitazione dei ragazzi per salvare il pianeta ha scosso l’opinione pubblica e i media ne hanno data una grande copertura con seguito di talk show. Chi è sceso in piazza si rivolgeva alla classe politica, ai “potenti”, quelli che dalle loro segrete stanze governano il mondo, invisibili o quasi. Chi li ascolterà? Non i “potenti” le cui logiche non amano chi si mette di traverso. I politici? Sì, a patto che serva nel breve alle loro campagne elettorali. Questo è un probabile futuro.
Ma cosa salverà i giovani? Sapranno resistere all’attacco cinico e interessato di chi utilizza algoritmi e intelligenza artificiale? Al fascino illusorio delle “app” inutili, alla cessione delle loro “identità”, all’essere manipolati nelle loro opinioni? Sapranno inventare e dotarsi degli strumenti di autodifesa? Questa sì legittima più di qualunque altra. Solo così eviteranno la trappola in cui sono cadute le generazioni che li hanno preceduti.
Tra quelli che hanno espresso giudizi sprezzanti su questo sciopero – compresi i professori che hanno contrastato lo slancio dei loro allievi – e tra quelli che hanno alzato le spalle, c’è stato chi ha detto che i ragazzi erano stati “manipolati” per portarli verso l’antipolitica. Una lettura senz’altro distorta ma che contiene una parte di verità. Il dramma che viviamo in questo momento è la capacità racchiusa in poche mani di manipolazione delle opinioni, dunque in grado di determinare comportamenti personali e collettivi.
C’è dietro una vera regia? C’è un burattinaio mondiale? La dietrologia non serve, meglio guardare a quel che succede nel quotidiano e farsi qualche domanda.
Questa sorta di appannamento generale della capacità di elaborazione personale del pensiero, questa iperconnessione permanente, questo stordimento collettivo provocato da un eccesso di informazione spesso falsa sono il prezzo che dobbiamo pagare al progresso legato alle nuove tecnologie? Dobbiamo pagare senza discutere?
Il “progresso” nei suoi aspetti imperiali – oggi è così – mi ricorda la Guerra dell’oppio con la quale l’Impero Britannico impose all’impero cinese di subire l’importazione di oppio con il chiaro intento di corrompere e indebolire la popolazione e aprire la via ai commerci occidentali fino a quel momento preclusa. Alla fine scoppiò la cosiddetta Guerra dei Boxer, una rivolta popolare soprattutto giovanile, contro l’influenza dell’occidente nel Celeste Impero. Una memoria latente ma incancellabile persino nel DNA della Cina di oggi: da conquistati a conquistatori.
Cosa ci dobbiamo aspettare? Cosa ci dobbiamo augurare? Una guerra italiana dei Boxer che ricacci indietro le conquiste della tecnologia? Ci sarà un momento nel quale i giovani si accorgeranno che nel bilancio di sostenibilità un milione di loro atti virtuosi dettati da comportamenti consapevoli sono vanificati da una sola firma apposta in calce a qualche sciagurato provvedimento di legge o a un impresentabile accordo commerciale o finanziario. Si accorgeranno che non hanno armi democratiche a loro disposizione e forse arriverà qualcuno, cinico e opportunista, che li spingerà a indossare un “gilet verde”. Il seguito lo conosciamo.
Sul problema della Via della seta e della questione Scala abbiamo visto uno schieramento trasversale che si erge contro chi vuol cedere ad altri le chiavi di casa nostra. Le chiavi dell’intelligenza, delle opinioni e della cultura dei giovani le lasciamo appese al gancio, che se le prenda pure il primo che passa? Nessuna “difesa”?
La politica si rende conto della realtà? Non si riesce a capire cosa i partiti abbiano in mente nel loro ondivagare tra il non esserci del tutto o esserci troppo: forse sono loro stessi vittime dell’iperconnessione, dalla mania dei Tweet, di Instagram, di WhatsApp, vittime dell’impero tecnologico e dei suoi gnomi con le loro mille trappole.
Per il momento nessun segnale ancorché debole di correzione di rotta, molti invece i segnali preoccupanti tra i quali spicca l’assenza di vere voci critiche all’ambiziosa Milan Digital Week, dove “il cuore digitale di Milano che pulsa all’unisono”* mostra principalmente una sfilata di “app” abilitanti per renderci abili nella gestione della quotidianità minuta. La somma di tante “app” abilitanti non costruisce una città abilitante, abile cioè nel crescere e trasformarsi senza lasciare indietro nessuno, riducendo le disuguaglianze e senza vittime dell’invasione tecnologica. Questo sì sarebbe un vero obbiettivo da Smart City del terzo millennio.
Luca Beltrami Gadola
*Roberta Cocco – Assessore alla Trasformazione digitale.
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