15 febbraio 2019
PAESAGGI FRAGILI? BANDO ALLA RETORICA
Il conflitto tra uomo e natura
Sono stati recentemente pubblicati i risultati di un progetto di ricerca di interesse nazionale documentati nel bel volume Paesaggi fragili a cura di Guya Bertelli, di oltre 400 pagine riccamente illustrate e documentate, che raccoglie tutti i contributi delle migliori scuole di architettura italiane, dai politecnici di Torino, Milano e Bari a quelle di Venezia, Genova, Roma, Napoli, Palermo, Trento, Camerino, Pescara e Reggio Calabria.
1 – Paesaggi Fragili, a cura di Guya Bertelli, Aracne Editrice, 2018
La ricerca ha affrontato un tema che non è solo di grande interesse ma anche di assoluta attualità, considerando quanto accaduto recentemente ai nostri territori a causa degli eventi climatici: le nuove periferie, le risposte della città e del territorio alle sfide globali e la progettazione intesa come processo di adattamento al cambiamento, anziché come mezzo per governarne le trasformazioni. Quest’ultima è l’articolazione tematica alla quale più mi interessa riferirmi, anche se è impossibile commentare in poche righe la vasta gamma di contenuti trattati dai vari autori. Anch’io vi ho contribuito, riprendendo un saggio scritto in occasione di un convegno organizzato anni fa a Reggio Calabria, che avevo allora intitolato in modo provocatorio Il paesaggio non esiste, riproposto in modo più argomentato all’interno di questa ricerca con il quesito: Ma il paesaggio esiste veramente? Saggio con il quale cerco di ricondurre il concetto alla sua 2.realtà politico sociale e soprattutto alla sua essenza spazio temporale e alle complesse relazioni che presiedono al suo controllo.
2. Elementi e relazioni fondamentali di controllo delle decisioni
Con questa ulteriore riflessione, che espongo in questo breve articolo, spero di poter contribuire a superare la retorica di cui anch’io ho abusato nei confronti del termine paesaggio, ponendo una questione che appare discriminante rispetto al concetto di fragilità che a mio parere riguarda, per definizione, ogni paesaggio antropizzato. Infatti, solo ed esclusivamente il paesaggio naturale non è fragile e non richiede alcuna azione per controllarne le trasformazioni. Mentre ogni paesaggio che abbia subito le azioni di adattamento alle esigenze del genere umano richiede una cura permanente per mantenerne la funzionalità, oltre a interventi straordinari nel momento in cui gli elementi naturali entrano in azione per cercare un nuovo equilibrio. C’è un caso, estremamente significativo, che dimostra il modo in cui l’equilibrio tra i fattori naturali può essere ristabilito. Ma non riguarda l’uomo. Riguarda come i lupi hanno ridato vita e provocato la trasformazione perfino del corso dei fiumi del Parco di Yellowstone dove sono stati nuovamente introdotti nel 1995 dopo 70 anni di assenza.
3. I lupi sono stati reintrodotti nel parco di Yellowstone dopo 70 anni di assenza.
E’ l’esempio di un processo di rinaturalizzazione al quale il genere umano non è più in grado di partecipare. Infatti, fin da quando la nostra specie ha smesso di cacciare e raccogliere e ha iniziato ad allevare e coltivare, il rapporto con la natura si è rovesciato, passando da un fenomeno di adattamento all’ambiente da parte dell’uomo a un processo di adeguamento dell’ambiente alle sue esigenze. Da quel momento è iniziato il progresso umano e l’uomo ha smesso di far parte del mondo naturale e di contribuire al suo equilibrio. Pongo la questione così seccamente perché, in questa situazione di perenne emergenza, più che fare dei bei ragionamenti mi sembra utile cercare di comprendere se siamo sull’orlo del baratro, oppure se stiamo già precipitando senza alcuna possibilità di ritorno, come Alberto Clò ha dimostrato con il suo documentatissimo Energia e Clima, l’altra faccia delle medaglia.
4. Alberto Clô, Energia e clima. L’altra faccia della medaglia, Il Mulino, Saggi, 2017
Alla mia riflessione torna utile anche il confronto con il testo di Giuseppe Longhi dedicato alla visita alla Biennale di Architettura di Rotterdam che aveva proposto il tema Urban by nature. “Si tratta di una lettura mirata di quella Biennale, che ha lo scopo di ricostruire il ragionamento esposto alla mostra, cioè un palinsesto teorico e operativo … per l’organizzazione della città dell’Antropocene, basandosi sulle regole del metabolismo urbano”.
Il suggestivo termine antropocene non lo assumerei solo come indicativo di una fase della storia del pianeta in cui la specie umana determina le sue trasformazioni di maggior impatto, ma soprattutto come quella in cui si compirà la sua estinzione, come è accaduto per molte altre specie, anche per effetto dell’azione che esercita sui fattori materiali e immateriali dell’ambiente.
5. Giuseppe Longhi e altri, Svegliarsi nell’antropocene, edizione fuori commercio, 2014
Mi si potrebbe accusare di catastrofismo ma non credo che riceverei la medesima accusa se dovessi semplicemente affermare che certamente io morirò.Analogamente, con totale consapevolezza e naturalezza si può affermare che la specie umana si estinguerà. Ciò che non è dato ancora sapere è come e quando avverrà. Ma da poco più di un anno, 15364 scienziati hanno sottoscritto una documentatissima ricerca con la quale dimostrano che ci restano non più di due generazioni per evitarlo. Ma più che evitarlo sarà semmai possibile procrastinarne la scadenza e forse tentare di controllarne le modalità. Detto questo, mi sento di poter affermare che nel momento in cui ci si interessa di paesaggio come progettisti, dovremmo avere sempre presenti alcuni riferimenti concettuali, con evidenti implicazioni etiche:
– che ogni trasformazione della realtà materiale operata dall’uomo, indipendentemente dalle cautele che si possono assumere nel realizzarla, è distruttiva e altera l’equilibrio in atto degli elementi naturali;
– che ogni intervento umano è intrinsecamente debole e conseguentemente lo è ogni paesaggio antropizzato per il fatto stesso di richiedere un’opera permanente di manutenzione, in assenza della quale il manufatto, qualunque esso sia, si distrugge e, proprio la sua distruzione, tende a ristabilire l’equilibrio tra le componenti naturali dell’ambiente;
– pensare che il genere umano, con la cultura architettonica e urbana, possa evitare gli effetti nefasti dell’adattamento dell’ambiente alle proprie esigenze è una grave mistificazione che contribuisce a perpetuare il fattore fondamentale di degrado. Proprio quel processo che Longhi definisce come Metabolismo urbano che è invece la causa di una vera e propria metastasi.
6. Metabolismo urbano dell’Antropocene – rappresentazione dei flussi
Più di cinquant’anni fa, quando mi ero da poco laureato, Vittorio Gregotti pubblicò il numero monografico di Edilizia moderna dedicato alla Forma del Territorio nel quale pubblicai, insieme a Sergio Crotti, un articolo in cui, declinando il concetto di Paesaggio antropogeografico, assegnavo un ruolo fondamentale all’uomo nel suo rapporto con la natura. Considerato che il genere umano non può essere riportare alla sua condizione originaria naturale, è venuto il tempo di prendere piena coscienza dell’insanabile contraddizione che il rapporto tra uomo e natura comporta, farsene carico con piena responsabilità e senza infingimenti. E poiché il nostro paese è arrivato a una fase cronica di regresso demografico, che andrà aggravandosi sempre di più, dovremmo avviare una politica che, utilizzando l’immigrazione come compensazione insieme ad un processo di sviluppo senza crescita, si impegni soprattutto al miglioramento dell’ambiente, attraverso la messa in sicurezza del territorio, il contenimento degli effetti del rischio sismico, idrogeologico e delle variazioni climatiche. Per tentare di ridurre, per quanto possibile, il conflitto tra uomo e natura.
Emilio Battisti
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