19 gennaio 2019

IL MAHLER DI CHAILLY

Una buona esecuzione e un finale strepitoso


Nell’ultimo mio intervento, la settimana scorsa, a proposito delle Variazioni di Brahms su un tema di Schumann, scrivevo che “Raramente le vicende biografiche dell’autore si sono riflesse con tanta intensità come in quest’opera”. Neanche a farlo apposta, pochi giorni dopo è arrivata una clamorosa conferma/smentita dalla Scala dove la Filarmonica, in una sala gremita come per le grandi occasioni, ha eseguito la Sesta Sinfonia di Mahler, una delle opere più “raccontate” sotto il profilo della sua relazione con la vita dell’autore. Di quest’opera si è scritto di tutto, a partire dalle confidenze dello stesso Mahler e dai racconti di Alma che l’ha vista nascere, e sempre o quasi sempre in riferimento alle tragiche e dolorose vicende che hanno afflitto l’autore in quei primi anni del novecento (è stata scritta fra il 1903 e il 1907 e ritoccata fino al 1910).

190118_Viola-02I racconti o le leggende che aleggiano intorno alla sinfonia – che è stata inopportunamente definita “Tragica” – nascono in gran parte dall’autobiografia di Alma, riguardano principalmente la vita coniugale e sono spesso contraddittori: la descrizione del carattere di Alma è quella dell’impetuoso primo tema o del sorridente secondo tema del movimento iniziale? E fra i bambini che giocano, che sarebbero descritti nella prima parte dello Scherzo, vi è anche la piccola figlia Maria la cui prematura morte sembra descritta nel finale del movimento? E ancora il presentimento di morte, che domina l’Allegro finale ma che è sempre presente in Mahler, riguarda la sua persona o l’enigmatico Eroe che lotta per non soccombere, di cui lui stesso accenna ad Alma? E infine i due o tre colpi di “martello” (prima due, poi tre, poi ancora due, ripensamenti a non finire) poco prima delle ultime battute rappresentano la morte della figlia, la cupa diagnosi del cardiologo, e il “licenziamento” dalla direzione del Teatro viennese? Ma le date non tornano mai e ci si deve domandare se sono profezie o narrazioni. Insomma troppo. Se la si vuol capire profondamente – e dunque godere – questa Sesta bisogna ascoltarla come musica pura, senza riferimenti biografici e senza chiedersi cosa significhi. Basterà osservare il volto di Abbado che la dirige a Lucerna (https://www.youtube.com/watch?v=YsEo1PsSmb) e si avrà un’idea esatta del “senso” di ciò che si sta ascoltando.

L’altra sera la Sesta era diretta da Chailly. Una esecuzione impegnativa e ben preparata, con scelte interpretative molto pensate sulle quali val la pena fare alcune considerazioni. Esaminiamo i quattro movimenti.

  1. Il primo è un “Allegro energico ma non troppo” (Mahler aggiunge anche “heftig aber markig”, “veemente ma conciso”) che Chailly affronta con una muscolarità eccessiva, come se avesse dimenticato il “ma non troppo”: “energico” non è necessariamente “aggressivo” e “veemente” non vuol dire “violento”. Peraltro subito dopo quel tema ne segue uno pieno di passione e, nella parte centrale del movimento, si apre una “zona timbrica profondamente suggestiva per l’uso di strumenti dal suono dolcissimo e irreale” (G. Manzoni); sapendo come Mahler sia e voglia essere sempre misterioso, l’introduzione a un movimento così articolato dovrebbe anticiparne la complessità e non perdere di vista quel velo di nostalgia che pervade tutto il melos mahleriano. Chailly l’ha preso molto di petto facendogli perdere l’enigmaticità di cui scrive lo stesso Mahler: “la mia sesta proporrà enigmi con i quali potrà cimentarsi solo una generazione che abbia accolto in sé e assimilato le prime cinque”.
  2. Molto bene invece l’Andante moderato, che Chailly interpreta evocando la magica atmosfera del celeberrimo Adagietto della Quinta (la Morte a Venezia di Visconti) portandosi più verso il Largo che sull’Andante, ancorché moderato. Osservo en passant che mentre Giacomo Manzoni attribuisce alla Sesta la durata complessiva di 80 minuti, Chailly (ma lo faceva anche Abbado) la fa durare 90 minuti. E non si può non concordare con lui.
  3. Non male lo Scherzo (wuchtig, massiccio), un movimento variabilissimo nelle indicazioni dinamiche e di tempo, con scarti continui di ritmo in cui si alternano temi eroici, gioiosi, di danza, con altri di taglio diverso, nostalgici, intimistici (ricorda le forme poetiche dei Dumky evocati da Dvoràk); forse era un po’ slegato, poteva essere più compatto o massiccio, come chiede Mahler.
  4. Benissimo invece il Finale, un Allegro moderato travolgente e sconvolgente, di cui l’amico Eduardo Szego mi scrive “qui c’è stato il grande riscatto, di Chailly e dell’Orchestra, è emersa tutta la disperazione con e senza rassegnazione, come un moscone chiuso tra pareti di vetro contro cui continua a sbattere, fino a cadere tramortito. E se anche Chailly ha omesso il terzo colpo di martello, quello della morte, quest’ultima ha pervaso tutto il finale in una crescente angosciosa marcia di avvicinamento. Anche solo per questo finale è valsa la pena la serata alla Scala più che per il resto della sinfonia”. Concordo pienamente con lui e concordo anche, in conclusione, con il pubblico della Scala che si è prudentemente limitato a 5 minuti di applausi.

Non voglio chiudere, però, senza aver espresso un grande e sentito apprezzamento alla orchestra della Filarmonica apparsa particolarmente concentrata, attenta e disciplinata. Lo spettacolo offerto dall’orchestra era imponente: 114 elementi di cui 61 archi (violini, viole, violoncelli e contrabbassi), 20 ottoni (corni, trombe, tromboni e basso tuba), 22 legni (flauti, oboi, clarinetti, corno inglese e fagotti), 2 arpe, 2 timpani e ben 7 percussionisti (glockenspiel, campanacci, tamtam, campane, martello, xilofono, grancassa, piatti, triangolo, tamburo militare, tamburello, frusta, nacchere, celesta…), una massa grandiosa di musicisti, guidati con mano ferma da Chailly che, destreggiandosi con grande professionalità sui complessi piani sonori di Mahler, ci hanno regalato quanto meno quel magnifico finale.

Paolo Viola



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