6 gennaio 2019

LO SBANDAMENTO IN CURVA

I disordini dopo Inter-Napoli


190106_Telesca-01Premessa. Presso il Ministero degli Interni è istituito l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive. Questo, con cadenza periodica, fornisce report dettagliati circa l’andamento dei campionati calcistici professionistici. Nell’ultimo elaborato, relativo alla stagione 2017/2018, si evidenziavano due profili di criticità: l’aumento delle condotte delinquenziali e incivili lungo le vie di trasporto verso gli stadi da parte dei tifosi; la pressoché nulla casistica di incidenti sia all’interno degli impianti sportivi sia nelle loro immediate vicinanze, cui fa da contraltare l’aumento di episodi a sfondo razziale nei confronti innanzitutto dei giocatori (come rilevato anche dall’Associazione Italiana Calciatori).

Talvolta è la semplicità schematica di un tema scolastico il metro attraverso il quale dipanare le matasse aggrovigliate della nostra attualità. Tentare con ciò che è accaduto prima, durante e dopo la partita Inter-Napoli può valere lo sforzo.

Svolgimento. Le reazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini ai fatti di sangue nel giorno di Santo Stefano verificatisi all’esterno dello Stadio Meazza non paiono convinte né convincenti. La promessa di lavorare affinché negli stadi torni “pulizia, tranquillità e sorriso” assume la forma del rito istituzionale più che del dovere politico realmente avvertito. Come se delle rilevazioni dell’Osservatorio non avesse alcuna contezza. D’altronde le premesse non garantivano niente di diverso.

(MARCO BERTORELLO/AFP/Getty Images)

È storia recente: lo scorso 16 dicembre il leader leghista si presentò all’Arena Civica di Milano, sciarpa rossonera legata al collo, alla festa dei cinquant’anni della Curva Sud. Strette di mano, selfie, abbracci con gli ultras. Un riconoscimento pubblico mica da ridere. “Ringrazio i tifosi della Curva del Milan perché sono una delle realtà più belle del calcio europeo” fu il suo commento ai cronisti, quasi a voler giustificare la sua presenza a quella manifestazione. Né mancò di rispondere, con la consueta protervia, a chi gli ricordava delle pendenze con la giustizia di taluni esponenti della tifoseria milanista: “Io sono per il tifo corretto, colorato e colorito. Episodi di violenza non mi appartengono e non appartengono a nessuno sportivo. Questi tifosi sono persone per bene, pacifiche, tranquille. Loro portano colore con un coro, un tamburo, una bandiera. La violenza è un’altra cosa. Ci sono diversi indagati nella Curva del Milan? Io stesso sono indagato. Sono un indagato in mezzo ad altri indagati”.

Dieci giorni dopo, nel tanto acclamato primo boxing day della nostra Serie A, si registrano i noti fatti violenti che hanno coinvolto l’altra sponda del calcio meneghino. Un centinaio di supporters interisti, varesini e nizzardi assaltano i tifosi napoletani a poche centinaia di metri dal catino di San Siro, la Scala del calcio. In una vera e propria aggressione squadrista (termine appropriato vista la loro comune appartenenza politica di estrema destra) bloccano i mezzi lungo via Novara, arteria che collega le tangenziali allo stadio. L’attacco registra numerosi feriti e una vittima: Daniele Belardinelli, 39 anni, investito da un Suv che tentava di sfuggire dalla morsa dell’assedio. Alle violenze del pre-partita fanno seguito gli ululati razzisti rivolti al difensore degli azzurri Kalidou Koulibaly, nonché i cori contro Napoli e i suoi abitanti che hanno scandito l’intero match.

Le polemiche e il dibattito scaturiti sono prontamente cavalcati dal ministro Salvini. Da un lato minimizza sui canti della curva nei confronti del capoluogo campano, derubricati a “sano sfottò tra tifoserie, d’altronde lo scherno verso meridionali e terroni gli è valso una carriera politica. Glissa poi sul trattamento becero riservato al giocatore senegalese (“Lo vorrei vedere con la maglia del Milan, è fortissimo”). Infine brandisce la sua ricetta d’ordine e disciplina annunciando che «certe partite non si giocheranno più in notturna, quelle più a rischio si devono giocare alla luce del sole e con elicotteri che possano controllare i delinquenti» ma, soprattutto, di voler convocare al ministero dell’Interno le società sportive, le tifoserie e gli arbitri”.

Quest’ultima affermazione ha una valenza enorme nel contesto di uno sport che in Italia muove circa quattro miliardi di euro, coinvolgendo direttamente e indirettamente centinaia di migliaia di persone (dal calciatore professionista, allo steward al semplice appassionato), che rappresenta sovente una manifestazione di potere e radicamento sul territorio. Considerare le tifoserie organizzate attori del gioco pallonaro alla stregua delle squadre e della categoria arbitrale rischia di divenire un pericoloso precedente. Senza voler arrischiarsi in paragoni azzardati, si tratterebbe di un cedimento che richiama alla memoria la trattativa Stato – mafia.

Come allora le istituzioni decisero di negoziare la tregua con l’organizzazione criminale, ora si chiederebbe alle tifoserie organizzate (organizzate da chi? Si tratta di associazioni registrate? Esistono dei responsabili legalmente riconosciuti che possano parlare e rappresentare questi gruppi?) di placare gli animi delle frange più violente ed estreme della curva. Ciò sdoganando, elevandole al rango di verità acclarate, talune chiacchiere da bar sport. Ad esempio che la condotta sopra le righe dei supporters, se non addirittura la loro piega delinquenziale, sia influenzata dalle dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa da dirigenti e presidenti, oppure dagli errori e le sviste arbitrali. Come può spiegarsi, altrimenti, il senso d’individuare nelle giacchette nere uno degli interlocutori necessari per riportare la pace egli stadi?

190106_Telesca-02

Conclusione. Invece che sbandierare proclami vacui, si potrebbe partire dai dati dell’Osservatorio e scindere il fenomeno in due elementi. Uno di pubblica sicurezza: è necessario ampliare il raggio d’azione e di controllo da parte delle forze dell’ordine nel corso delle manifestazioni sportive, così da impedire che a poche centinaia di metri dagli stadi prendano vita vere e proprie arene gladiatorie.

A che serve impedire l’accesso allo stadio con una bottiglietta d’acqua di plastica (ricomprata all’interno a un prezzo fuori mercato) se si possono sfogare gli istinti più brutali e violenti in qualche parcheggio o svincolo poco distante? Uno di responsabilità delle società: non basta più delimitare le esternazioni razziste dei tifosi alla cerchia delle poche mele marce. Bisogna che queste avvertano e vivano simili episodi come un grave danno d’immagine, impegnandosi attivamente per debellarli; recidendo i rapporti pericolosi e promiscui con una certa parte del tifo organizzato; riprendendo a gestire a tutto tondo l’evento sportivo e le sue diramazioni, senza inconsapevoli deleghe in bianco.

Così, forse, il gioco più bello del mondo potrà riacquistare una parvenza linda, tranquilla e sorridente. Una cortesia: astenersi perditempo.

Emanuele Telesca



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