10 dicembre 2018

CHI “FATICA” OGGI A MILANO

Il lavoro che c'è. E domani?


Di quale “materia” è fatta Milano? Quali sono la sua essenza e il suo orizzonte? Il lavoro è ancora uno degli asset più importanti?  Dare risposte – non facili – a questi interrogativi non è un esercizio di stile; piuttosto, il tentativo di capire dove andrà la città nei prossimi decenni, quali sono le sue tendenze, le sue direttrici.  Lanciare la suggestione su come sarà Milano nel 2030, come ha fatto di recente l’amministrazione comunale, senza avere un quadro del mercato del lavoro tra 12 anni potrebbe essere fuorviante. Milano è il lavoro che offre. Lo è da secoli. Ma, come vedremo, bastano pochi anni per cambiare radicalmente lo scenario di domanda e offerta. E con lo scenario cambia inevitabilmente anche la forma della città, la sua “destinazione d’uso”.

Abbiamo provato a “fotografare” la situazione, quasi addetto per addetto, settore per settore, grazie ai numeri incrociati forniti da Camera di Commercio, Assolombarda, Confcommercio: un quadro che racconta la situazione attuale e, grazie al confronto con le realtà degli ultimi anni, può aiutare a capire quale potrebbe essere la direzione verso cui ci muoveremo.

Prendiamo ad esempio le agenzie di pompe funebri, che sono davvero poco rappresentate rispetto alle decine di categorie merceologiche censite. Sono circa un centinaio, danno lavoro anche indirettamente a migliaia di persone. Un benchmark particolare per le sue caratteristiche, limitato, ma comunque indicativo. Nel 2011 erano 61 in tutto. Difficile dire che cosa abbia giustificato un balzo del 73 virgola qualcosa per cento in soli 7 anni e l’annuario statistico del Comune non aiuta a risolvere il mistero visto che non risultano clamorosi picchi di decessi nel periodo. Nel 2016, i registri ci dicono che il numero era salito a quota 109, contro le 107 di un anno prima. Piccoli numeri, si dirà, ma utili per capire quanto sia importante il numero delle imprese e la loro dislocazione per disegnare la “mobilità” di una metropoli ed evidenziare le tendenze di accentramento o decentramento.

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Poche migliaia, o anche solo poche centinaia di addetti che ogni giorno si spostano per raggiungere il posto di lavoro, vanno inevitabilmente a incrementare il numero di coloro che ogni giorno “consumano” la città: chi si muove nel traffico privato, chi sui mezzi pubblici di superficie o sotterranei, chi usa il taxi, chi il car-bike-moto sharing, chi frequenta i bar, chi i ristoranti, chi le mense. I city users, appunto.

Se guardiamo all’interno dei confini cittadini, rileviamo che esistono quasi 270 mila addetti ad attività di ricerca, selezione e fornitura di personale che nel 2013 non arrivavano a 160 mila e hanno avuto un incremento del 69,9 per cento negli ultimi cinque anni. Per restare nelle primissime posizioni, troviamo 92 mila addetti del settore “servizi finanziari” (escluse assicurazioni), che dal 2013 sono aumentati del 151 per cento a quota 92 mila, e gli addetti al commercio al dettaglio che arrivano a 170 mila con un balzo del 17 per cento nello stesso periodo. Non ci sono soltanto segni più ovviamente. Le telecomunicazioni ad esempio, tra il 2017 e il 2018 hanno perso qualche centinaio di addetti, assestandosi a quota 51.927. Peggio, molto peggio, il settore edilizio che nel 2013 contava su oltre 20 mila addetti e oggi fa registrare un decremento del 13 per cento. Oppure gli addetti al trasporto aereo che erano 1.088 nel 2017 e al 30 settembre di quest’anno sono scesi a 318: meno 70,8 per cento.

In totale, si parla di un milione e 600 mila dipendenti del settore privato che dal lunedì al venerdì – e spesso anche nel fine settimana – lavorano a Milano (nel 2017 erano un milione e 470 mila e nel 2013 poco più di un milione e 300 mila con un incremento del 22 per cento nel quinquennio). Cifra che comprende anche 828 addetti che, secondo gli annuari statistici e le loro dettagliate classificazioni, lavorano nel settore “estrazione di minerali da cave e miniere”: una curiosità statistica. Il tutto al netto del Decreto Dignità, ovviamente, ma questo è un altro discorso.

Ci sono poi gli iscritti agli albi professionali: i medici sono 23 mila, gli avvocati circa 20 mila, gli architetti meno di 20 mila, i giornalisti professionisti 5.500.

Numeri su numeri, tabelle, colonne di cifre per capire le dimensioni quantitative della voce “lavoro” declinata secondo le Milanomics, leggi fondamentali dell’economia milanese, le uniche linee guida reali e concrete che possono dirci come si svilupperanno l’hardware e il software di Milano. Il resto sono spesso soltanto suggestioni, sogni, qualche polemica legata al consenso. Quell’insieme di informazioni che non aiuta quasi mai a capire per tempo se un progetto nel medio-lungo periodo può funzionare. Oppure non funziona e rimane così uno dei tanti wishful thinking di cui è lastricata la strada della comunicazione politico-amministrativa.

Ugo Savoia

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