27 novembre 2018

LA CITTÀ. MASCARA SU ORBITE VUOTE

Le serrande abbassate e il maquillage urbano


Milano sta cambiando con molta rapidità e mette a dura prova la sua capacità di resilienza. L’osservazione più banale è che la quantità di serrande che si vedono abbassate continua a crescere. I perché sono tanti: l’e-commerce continua a sottrarre clientela ai negozi tradizionali, i gestori familiari invecchiano e se hanno figli questi non amano la vita di bottega, i padroni degli immobili vogliono ristrutturare e cercano di liberarsi degli inquilini, insomma molte ragioni tutte valide.

I negozi sono gli occhi della città: quando la loro luce non brilla più la città ne soffre, diventa buia e anche insicura perché meno animata, mano attrattiva.

Il 17 novembre scorso l’assessore Maran ha varato le linee guida per valorizzare il patrimonio artistico e culturale del centro storico, migliorarne la vivibilità promuovendo le attività commerciali attraverso la riqualificazione del contesto urbano e il miglioramento del passaggio pedonale: l’ambito di intervento sarà quello di piazza Duomo, corso Vittorio Emanuele II e vie limitrofe. Dichiara l’assessore: “Preserviamo la vivibilità e la qualità dello spazio pubblico di un ambito monumentale”.

Operazione interessante, forse anche opportuna ma che riguarda un’area troppo ristretta. Non parliamo delle periferie e del loro arredo urbano, che non sarebbe male, ma anche solo limitandoci al Municipio 1: il problema del promuovere le attività commerciali non si limita soltanto a un’operazione di “maquillage” urbano: il mascara su orbite vuote non ha molto senso.

Come impedire che le serrande si abbassino è un problema molto serio e molto se ne parla: ci sono aspetti economici, sociali, di paesaggio urbano, di urbanistica e di attrattività diffusa della città. Francamente non saprei proprio personalmente cosa suggerire ma di proposte non ne vedo: varrebbe la pena di parlarne, di aprire un dibattito.

181127_BeltramiGadola-03Restringendo l’orizzonte al problema del solo arredo urbano, ArcipelagoMilano ne fece oggetto di un convegno nel 2014 e ci sono due condizioni essenziali per il successo di queste operazioni di riassetto: il rispetto delle regole e la buona e accurata esecuzione dei manufatti.

Quanto al rispetto attuale delle regole, cito tra tutti la vicenda dehor di via Dante: ottenuta la concessione ci si allarga, si invade altro spazio pubblico con disprezzo delle norme e concorrenza sleale verso chi le norme le rispetta.

Quanto all’esecuzione, alla posa e alla manutenzione cito un piccolo dettaglio che mi è caro: la palina della sosta taxi in piazza del Duomo. Ho una serie storica di immagini, da ultimo sono arrivate le palme ma quella palina è sempre lì, storta.

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Di pali storti è piena Milano, di pali inutili anche, nonostante una grida manzoniana di De Corato, assessore ai suoi bei dì: ”Depalificheremo!”. Per chi avesse curiosità, ho un’intera collezione di immagini di pali storti, di semafori pencolanti, marciapiedi dall’asfalto “percolato”, di confusione nell’arredo urbano: basta chiedere.

181127_BeltramiGadola-04Nel “rassettare” la città, quando si sceglie un ambito, bisogna guardare a tutto, all’insiem, perché si tratta di un “progetto” di arredo che non può lasciare indietro nessun dettaglio, malgrado la polverizzazione delle competenze degli uffici comunali. Un clamoroso esempio negativo recente è la nuova “pavimentazione” di Piazza V Giornate.

Un altro fattore di cambiamento rapidissimo urbano è l’arrivo delle nuove tecnologie di comunicazione e di produzione basate sulle reti.

Carlo Ratti, architetto e urbanista, il grande vate e affabulatore di queste innovazioni ne fa oggetto del suo recente libro La città di domani. Come le reti stanno cambiando il futuro urbano. Lo ha commentato diffusamente Corinna Morandi, urbanista pure lei, in un intervento recente alla Casa della Cultura che vale la pena di leggere. Sollecita molte riflessioni.

Nuove tecnologie per la città del futuro? Per città in espansione? Per nuovi spazi e nuovi edifici? Perché non parliamo in maniera meno utopica della città esistente che non sembra destinata a crescere? Lentissima nel sostituire l’edificato? Stretta.

Sarà la tecnologia a piegare la città o la città esistente a piegare la tecnologia?

Luca Beltrami Gadola

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  1. vito antonio ayroldiAnche da Roma dove vivo, ora, leggerla offre sempre spunti di indagine e riflessione molto interessanti. Grazie tante.
    28 novembre 2018 • 08:38Rispondi
  2. Oreste PivettaLuca Beltrami Gadola ha ragione. Se si cominciasse a eliminare pali storti, cavalletti abbandonati, nastri biancorossi lasciati marcire la città ne guadagnerebbe... Senza troppa spesa. Ma aggiungo, senza troppa spesa, senza grandi strategie pubblico-privato, anche una attenzione ai piccoli cambiamenti aiuterebbe: basterebbero un marciapiede ridisegnato o una strada ripavimentata o un giardinetto allargato (gli esempi sarebbero tanti: ieri l'ho pensato costeggiando il parco nord lato Fulvio Testi, un bel parco e un bordo diroccato e inselvatichito ai limiti dell'abbandono).
    28 novembre 2018 • 19:39Rispondi
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