11 novembre 2018

UN QUARTETTO DELUDENTE

Scontentare gli appassionati


Viziati come siamo da quella bellissima serie di formazioni quartettistiche, composte quasi sempre da giovani musicisti italiani, che ci vengono proposte a ritmo incessante dalle “Dimore del Quartetto” (ne abbiamo parlato più volte in questa rubrica), tutte di livello ottimo quando non eccezionale, non abbiamo purtroppo potuto apprezzare, la settimana scorsa, l’esordio milanese al Conservatorio di una formazione proveniente dai Paesi Bassi e cioè il “Dudok Quartet Amsterdam” che ha eseguito due composizioni per quartetto d’archi e – con la partecipazione della belga Annelien Van Wauwe – due quintetti con il clarinetto. Il Dudok Quartet – che prende il nome da un noto ingegnere ed architetto (sic!) olandese, scomparso novantenne più di quarant’anni fa – ha studiato con il mitico Alban Berg Quartetti a Colonia ed ha ottenuto diversi premi fra cui, insieme alla Van Wauwe, il «Borletti Buitoni Trust Award» di quest’anno. Da qui, si suppone, l’invito alla Società del Quartetto di cui Ilaria Borletti Buitoni è autorevole componente del consiglio direttivo.

181111_Viola-01Il programma prendeva inizio con un’opera giovanile di György Ligeti, “Métamorphoses nocturnes” o Quartetto numero 1, del 1953/54, tanto immatura e così poco attraente da non potersi spiegare perché sia stata scelta per questo concerto; non è un Quartetto in senso formale ma una serie di 17 piccoli pezzi da eseguire uno dopo l’altro senza soluzione di continuità, un susseguirsi di pianissimi, fortissimi e glissando che procedono per oltre venti minuti senza costrutto, privi di fascino e di idee musicali, al limite della sopportazione.

Subito dopo il famoso quartetto numero 6 opera 80 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, scritto fra il maggio ed il novembre del 1847 e cioè fra la dolorosissima ed improvvisa perdita della sorella Fanny, di quattro anni più vecchia di lui, e la scomparsa dello stesso Felix a soli trentotto. E’ ben noto il reciproco attaccamento fra Felix e Fanny, e come quei sei mesi intercorsi fra i due ictus cerebrali che hanno ucciso prima l’una poi l’altro, siano stati per Felix tanto tragici e dolorosi ed in drammatico contrasto con la felicità che lo aveva sostanzialmente accompagnato per tutta la vita. Di questo dramma e di questo dolore i ragazzi del Dudok non hanno ritenuto dover prendere atto, offrendoci invece una lettura graziosa e garbata, purtroppo anche un po’ esangue e priva di sentimento e di forza, tanto da rivelarsi alquanto noiosa. Peccato.

181111_Viola-02La stessa cosa è accaduta poi con il Quintetto per clarinetto e archi in la maggiore K. 581 di Mozart, uno dei grandi capolavori della musica da camera di tutti i tempi. Siamo nel 1789, il Quintetto sarà pronto a fine settembre e cioè due mesi dopo che Mozart – che ha da poco compiuto trentatré anni e che morirà due anni dopo – scrive al ricco commerciante Michael Puchberg, amico e come lui massone, una celeberrima lettera in cui testualmente dice: «Sono in condizioni che non augurerei al mio peggior nemico e se voi, ottimo amico e fratello, m’abbandonate, sarò purtroppo, e senza alcuna colpa da parte mia, perduto con la mia povera moglie ammalata e i bambini. L’ultima volta che mi trovai con voi fui sul punto di aprirvi il cuore… ma il cuore mi mancò. E ancora mi mancherebbe se non vi sapessi informato delle mie condizioni e perfettamente convinto dell’assoluta mancanza di colpa da parte mia in questo tristissimo stato di cose. Oh Dio! Invece di ringraziarvi avanzo nuove richieste. Se conoscete a fondo il mio cuore, sentirete tutto il dolore che ciò mi procura. Il destino mi è purtroppo così avverso … da non consentirmi di guadagnare nulla, con tutta la migliore volontà. Se almeno non fosse venuta quella malattia … non sarei ora costretto a mostrarmi così sfrontato verso il mio unico amico. Perdonatemi, per l’amor di Dio, perdonatemi soltanto».

Anche qui dunque siamo in un momento doloroso e difficilissimo della vita di Mozart – e lo struggente “Larghetto” del secondo movimento ne è la grandiosa testimonianza – ma i nostri quartettisti ancora una volta scivolano nel lezioso e nell’understatement. A dire il vero le iniziali vigorose battute del clarinetto, nella esposizione del primo tema dell’Allegro (il primo movimento), avevano lasciato sperare in una esecuzione pregnante e consapevole della drammaticità dell’opera, ma presto anche la brava Van Wauwe è stata costretta ad adeguarsi all’andamento molle e sommesso dei quattro archi.

(Siccome non tutti i presenti al concerto saranno disponibili ad accogliere un giudizio così severo nei confronti del Dudok Quartet Amsterdam, azzardo una dimostrazione – inusuale ma efficace – di quanto l’esecuzione sia stata sottotono e senza nerbo: alla conclusione di ogni movimento gli esecutori indugiavano non poco prima di riprendere in mano gli strumenti, sicché tutti gli intervalli fra un movimento e l’altro diventavano esasperatamente lunghi, andando molto al di là sia del normale “respiro” richiesto dal cambio di ritmo e di tonalità, sia del tempo necessario per ri-intonare gli strumenti. Così ad ogni intervallo, fra un movimento e l’altro, si verificava un fortissimo calo di tensione che nuoceva gravemente sia alla capacità di lettura che alla capacità di ascolto dell’opera).

Per fortuna il concerto si è concluso con un pezzo tanto brioso in sé da sconfiggere ogni ipotesi di diversa lettura, vale a dire con il rossiniano «Rondò» – allegro giocoso – del Quintetto per clarinetto e archi in si bemolle maggiore op. 34 di Carl Maria von Weber. Una vera e liberatoria esplosione di gioia.

Paolo Viola



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