22 maggio 2018

IL NUOVO PIANO DI GOVERNO DEL TERRITORIO

Incontro alla triennale di Milano del19 maggio 2018


Piccola premessa. Il direttore di ArcipelagoMilano ha sempre raccomandato agli autori degli articoli di rispettare una certa lunghezza nei testi proposti. Gli ho chiesto di fare un’eccezione per questo pezzo. Il ragionamento che faccio è complesso e la brevità lo penalizzerebbe. Mi ha lasciato derogare a questo vincolo e ringrazio lui e mi affido alla pazienza dei lettori.

03battisti19FBSabato scorso si è svolto alla Triennale di Milano il primo di tre incontri organizzati dal Comune per informare sullo stato di avanzamento della revisione del Piano di Governo del Territorio (PGT) scaduto lo scorso novembre al termine del primo quinquennio di esercizio ai sensi della L.R. 12/2005. Ci troviamo quindi in regime di proroga da sei mesi.

A questo primo incontro intitolato Milano 2030. Una città connessa, inclusiva e attrattiva ne seguiranno altri due, a stretto giro, il 25 intitolato Una città green, ecologica e resiliente dedicato ai temi della sostenibilità e il 29 intitolato Una città, 88 quartieri da chiamare per nome che affronterà questioni di identità e appartenenza.

Stefano Boeri nuovo presidente della Triennale nell’aprire il primo incontro ha detto che il PGT “è la carta d’identità della città futura” e che l’istituzione che lui da poco presiede intende dedicare maggior interesse ai temi dello sviluppo della nostra città a cui si darà particolare risalto anche per la decisione, condivisa con il Comune, di trasferire l’Urban Center all’interno della Triennale e che per allestire i nuovi spazi che lo ospiteranno sarà fatto un concorso riservato a giovani progettisti.

Oltre a Maran che ha fatto l’intervento introduttivo e a Sala che ha chiuso l’incontro ci sono stati altri dieci interventi dedicati a temi assai differenti che potete trovare elencati nel programma. Una prima sezione introdotta da Franco Sacchi, Direttore Centro Studi PIM che ha trattato di Milano come una Città connessa, metropolitana e globale a cui hanno fatto seguito Marco Granelli, Assessore a Mobilità e Ambiente, che ha parlato delle Nuove infrastrutture; Cino Zucchi che ha riferito di alcuni suoi progetti su nodi di interscambio all’estero e presentato alcuni schizzi per tre nostre situazioni. Demetrio Scopelliti ha poi riferito di come il Comune e FS stanno portando avanti scali ferroviari e Circle line mentre Federico Parolotto ha esposto le sue idee a proposito del recupero di nostre piazze –portando l’esempio concreto di piazzale Loreto – oggi totalmente subordinate al traffico veicolare e sottratte all’uso da parte di cittadini

La seconda sezione introdotta da Cristina Tajani Assessore a Politiche del lavoro, Attività produttive, Commercio e Risorse Umane, che ha trattato di Milano come Una città di opportunità, attrattiva e inclusiva a cui hanno fatto seguito  Cristina Messa, Rettore dell’Università degli Studi di Milano Bicocca sul Sistema universitario milanese; Antonio Calabrò, Vicepresidente di Assolombarda su Impresa e innovazione diffusa; Stefano Micelli, di Ca’ Foscari di Venezia su Nuove economie urbane e Ferruccio Resta, Rettore Politecnico di Milano su Bovisa e Città Studi.

Impossibile in questo testo, per quanto assai lungo, illustrare il contenuto di tutti gli interventi che ognuno può andare ad ascoltare ma mi preme almeno riferire cosa ho pensato e come ho reagito mentre seguivo alcuni passaggi del discorso dell’assessore Maran e delle conclusioni del sindaco Sala. Sarà poi certamente necessario assistere agli altri due incontri per tirare le somme ed esprimere dei giudizi circostanziati e complessivi.

Devo dire che ho reagito positivamente alla notizia del trasferimento in Triennale dell’Urban Center. La sede in Galleria mi è sempre sembrata inadeguata e il fatto che l’istituzione culturale presieduta da Boeri manifesti interesse allo sviluppo della città attraverso “l’ascolto, la partecipazione e l’interpretazione critica dei suoi progetti” mi sembra molto utile perché in passato l’interpretazione critica dei progetti recenti non si è avuta a sufficienza. Purché questo impegno della Triennale non si sostituisca alle procedure di consultazione previste dal Regolamento per l’attuazione dei diritti di partecipazione popolare approvato nel 2016 e non si ripeta ciò che si è verificato con i workshop di FE Sistemi urbani sulla questione degli scali ferroviari.

L’assessore Maran che ha preso la parola per primo è entrato in argomento affermando che l’Urban Center in Triennale serve per avere un luogo adeguato “a raccontare, discutere e confrontarsi” iniziando da questi tre incontri, anticipati da altri che si sono tenuti alla Fondazione Feltrinelli, e da dei workshop in corso nei nove Municipi. Accogliendo il suo invito cercherò di porre alcuni interrogativi rispetto al modo in cui gli obiettivi indicati potranno essere perseguiti.

Una prima osservazione riguarda il metodo perché Maran ha affermato che si può discutere per migliorare le regole ma nel frattempo si deve continuare a lavorare senza interrompere ciò che si sta facendo. Concetto ripreso anche da Sala nell’intervento conclusivo. Ma questo modo di procedere rappresenta una evidente contraddizione nel mettere in atto un processo, come quello del PGT, tanto difficile da governare.

A mio avviso ciò sarebbe possibile solo se si avesse un’idea della città che si vuole realizzare non solo molto chiara ma anche partecipata e condivisa tra le varie componenti sociali, che riesca ad armonizzare le differenti aspettative nel rispetto degli obiettivi di interesse pubblico da perseguire.

Maran ha espresso l’encomiabile proposito di evitare di fare un PGT che celebra quella che molti definiscono l’attuale fase particolarmente favorevole per la città. Egli propone semmai di sfruttarla per capire quali siano le sfide future e per affrontare le criticità che comunque esistono e che, anche se non sono tutte risolvibili, ci si deve porre l’obiettivo di riconoscerle ed individuare alcune soluzioni.

In sintesi le sfide che intende affrontare sono: un traffico con meno auto, più piste ciclabili e spazi pedonali, puntare sul verde accogliendo la sfida ambientale, mettere a disposizione case accessibili ai giovani, mettere al centro lo sviluppo universitario e cambiare le periferie.

Ha anche affermato che “i piani parlano molto spesso di regole, abbastanza di luoghi e poco di persone.” Ma che lui si propone di parlare “poco di regole ma molto dei luoghi del cambiamento ponendo in particolare l’accento sulle persone”.

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A tal proposito ha fatto notare che Milano ha ripreso a crescere demograficamente e che al 2030 si arriverà, secondo le stime prudenziali del Comune, quasi a 1.500.000 abitanti. Ma questa crescita riguarda in particolare due categorie: i grandi anziani da 85 anni in su (più 12.000) , che richiedono particolari servizi dedicati, e la fascia tra i 19 e i 34 anni (più 50.000) di persone che vengono qui per studiare o per trovare lavoro e che si aspettano case e servizi accessibili e aspirano allo stile di vita milanese. Questo è un ragionamento chiaro ma, per quanto riguarda grandi anziani, mancano indicazioni per come assisterli adeguatamente.

Poiché decanta quanto è stato realizzato a Porta Nuova e City Life mi domando come si fa a magnificare acriticamente le residenze di lusso in gran parte vuote, senza dire nulla della bolla immobiliare che hanno causato? Come si fa a dichiarare che oggi serve un altro tipo di abitazioni a prezzi accessibili più in affitto che in vendita senza dire come si può riuscire a riformare il settore edilizio di Milano drogato da profitti assurdi e prezzi inaccessibili come lo stesso compianto Claudio De Albertis aveva denunciato? Le necessarie abitazioni con affitto accessibile si otterranno dal recupero dei molti edifici vuoti o ricorrendo a nuove costruzioni? E come la mettiamo con l’esigenza di limitare il consumo di suolo? Tutte questioni alle quali nei due prossimi incontri mi farebbe piacere ricevere qualche risposta.

L’assessore è consapevole che la crescita deve affrontare tre grandi sfide: deve essere per tutti, deve riguardare tutti i quartieri e deve essere sostenibile. L’osservazione che mi sento di fare è che parlare di crescita invece che di sviluppo non aiuta a comprendere in che rapporto essa stia con la sostenibilità. Esiste la consuetudine di utilizzare crescita e sviluppo come sinonimi, ma i due termini vanno invece dissociati perché la prima è un concetto quantitativo e il secondo è essenzialmente qualitativo.

Esistono infatti, casi di crescita in assenza di sviluppo e di sviluppo senza crescita. E se consideriamo che l’aumento demografico previsto per Milano al 2030 è fortunatamente assai modesto dovrebbe essere possibile declinarlo in termini di sviluppo. Ciò potrà avvenire a condizione che ci si metta subito all’opera per offrire l’ospitalità che serve ai nuovi arrivati. Ma anche agli immigrati, una non trascurabile risorsa demografica – che se non sbaglio non sono stati mai citati – con i quali avremo sicuramente a che fare ben oltre il 2030.

Quindi se la crescita/sviluppo deve essere sostenibile e, come Maran propone non può più avvenire che la produzione di posti di lavoro prescinda da ogni attenzione alla sostenibilità,  ci si deve convincere che Milano, per continuare a svilupparsi, deve necessariamente migliorare la qualità della vita dei propri abitanti. Ma al di là dei buoni propositi, di seguito scrupolosamente esposti, non si capisce ancora di quali strumenti e risorse l’azione politico amministrativa di governo del territorio potrà disporre. A parte invocare insistentemente il rapporto tra pubblico e privato.

Sono rimasto sorpreso del fatto che, a proposito delle regole del PGT di prossima pubblicazione, l’assessore si aspetti un contributo da parte di tutte le componenti sociali, anticipando che ci potranno essere errori da evitare cercando di trovare soluzioni migliori. Ma mi domando perché il nostro contributo dovrebbe applicarsi principalmente alle regole e non ai contenuti? E vero che le regole sono un aspetto sostanziale ma dovrebbero essere fissate una volta che siano stati definiti e condivisi gli obiettivi e lo scenario di riferimento. E per definirle appropriatamente si dovrà fare ricorso a un tipo di competenze giuridiche e amministrative , che non sono di tutti, da esercitare equanimemente e super partes.

Ma come sarà raccolto il nostro contributo? La legge urbanistica regionale n.12/2005 all’art. 13 prescrive che all’avvio della procedura del PGT il Comune pubblichi un avviso per raccogliere suggerimenti e proposte da parte di chiunque “anche per la tutela di interessi diffusi”. Insieme a sei colleghi di varie discipline, nel marzo 2017, ho depositato un fascicolo di 97 pagine dedicato a Gli scali ferroviari di Milano nel nuovo Piano di Governo del Territorio 2018/2022 senza aver avuto alcun riscontro né aver saputo che uso si sia fatto delle nostre proposte che facevano anche riferimento ad una analoga esperienza in corso a Londra.

Tornando agli obiettivi Maran dichiara che, dopo aver considerato le persone, sono cinque i “luoghi” che saranno presi in considerazione anche nei due successivi seminari:

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Il primo riguarda Milano come città connessa metropolitana e globale. In proposito afferma che una figura come Piero Bassetti ha notato che il nostro vero PGT l’hanno fatto le FS con l’alta velocità (e non con gli scali ferroviari come qualcuno maliziosamente dice) perché le distanze con le altre città italiane si sono molto ridotte in modo che Milano possa esercitare ancora meglio il suo ruolo nazionale. E nel 2030 vedremo migliorati anche collegamenti con l’estero. Inoltre gli aeroporti sono tre e non due, o addirittura uno come si è pensato per anni.

In ambito più locale, con la M4 Linate sarà raggiungibile in meno di 15 minuti dal centro e la Circle line non servirà solo a Milano ma alla città metropolitana e, aggiungo io, all’intera Lombardia.

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Mostrando lo schema che mette in rapporto le stazioni ferroviarie con i capolinea della MM oggi fatti solo per transitare propone di trasformarli portandovi funzioni che li convertano in centri di servizi per la città metropolitana. Egli afferma che in questi casi il progetto può “battere le vecchie regole dell’urbanistica” prescindendo dagli indici di edificazione per portarvi tutto ciò che serve a trasformare questi luoghi di passaggio in luoghi al servizio dei quartieri limitrofi e della città metropolitana. E fa l’ esempio di coprire il fascio di binari della stazione Garibaldi grazie alla collaborazione tra pubblico e privato. Ma questo “privato” non sarà per caso proprio FS Sistemi urbani che oltre al recupero delle aree ferroviarie dismesse punti oggi anche alle aree in esercizio? Non sono contrario a densificare con funzioni di interesse regionale o nazionale i punti di massima accessibilità del territorio ma ciò che mi preoccupa è che possa avvenire senza una forte regia pubblica in grado di tutelare gli interessi dei cittadini e che il primato del progetto non si risolva in una delega in bianco al privato. Su questo fatto desidero che l’assessore si impegni in modo chiaro e netto e lo dimostri con iniziative concrete già a partire dagli scali ferroviari. Circostanza che almeno per il bando dello scalo di Greco, gestito in prima persona da FS Sistemi Urbani, non si è affatto verificata.

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Una città di opportunità attrattiva e inclusiva

Maran ha introdotto il tema facendo riferimento ai sei luoghi del conflitto con i cittadini che spesso si è risolto anche con vertenze legali e in ambito giudiziario: Bovisa-Goccia, San Siro-Trotto, Piazza d’Armi di Baggio, Ronchetto, Rubattino e Porto di Mare.

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Sono situazioni per le quali si potrebbero immaginare trasformazioni basate su grandi funzioni urbane non solo pubbliche ma anche private purché approvate dal Comune, qualificando gli interventi con funzioni finalizzate ad obiettivi pubblici precisi, abbassando per tutte l’indice di edificazione a 0,35 mq/mq.

Ma queste situazioni conflittuali (per inciso Maran ha annunciato il ritiro di uno dei tre ricorsi al TAR sugli scali) hanno come causa prevalente la tutela di risorse ambientali come edifici storici, ambiti rurali sopravvissuti all’urbanizzazione, aree abbandonate rinaturalizzate spontaneamente che gli interventi ipotizzati dall’assessore contribuirebbero a distruggere almeno parzialmente.

Mi viene da osservare che in questi casi non sono le grandi funzioni urbane che potrebbero favorirne la tutela ma provvedimenti di altro tipo orientati a far uscire le specifiche risorse dal degrado, favorendone una fruibilità più allargata e in parte anche remunerativa per consentirne la manutenzione.

L’esempio della Goccia della Bovisa con nuove funzioni riferite alla presenza dl Politecnico come startup, residenze universitarie, strutture di ricerca, è un caso abbastanza semplice da affrontare anche se si è persa l’occasione di strutturare meglio il suo impianto urbano nel passaggio da quello basato sulla produzione industriale al nuovo assetto basato sul Politecnico e le altre strutture di ricerca. In proposito rammento che sono stati disattesi due progetti: quello dell’Istituto di Progettazione architettonica quando lo dirigeva Antonio Monestiroli nel 1990, al quale partecipai anch’io, e quello del successivo concorso internazionale del 1998 durante il rettorato di Adriano De Maio.

Poiché la maggior parte degli interventi di rigenerazione ipotizzati potrebbero comportare il cambio di destinazione d’uso tra differenti funzioni produttive che oggi richiederebbe considerevoli esborsi a favore del Comune, l’assessore propone di accorpare le attività produttive sotto un’unica voce in modo che non si abbiano costi per passare da una all’altra e favorire quindi gli interventi rigenerativi.

Mi viene da osservare che il cambio di destinazione d’uso che potrebbe contribuire maggiormente alla rigenerazione urbana è certamente quello dal terziario e produttivo al residenziale. Infatti ci sono molti edifici per uffici e industriali abbandonati che sarebbe molto utile ristrutturare consentendo di affrontare contemporaneamente il problema del degrado, della disponibilità di nuove abitazioni in affitto a basso prezzo e del contenimento del consumo di suolo.

Concedere un indice volumetrico superiore a 1 mq/mq per housing sociale esclusivamente in affitto mi sembra accettabile anche se non so se possa essere sufficiente a favorirne lo sviluppo visto che da noi è soprattutto il rischio si alta morosità che ostacola gli investimenti nel settore. La soluzione non potrebbe essere la costituzione di un’agenzia comunale, come esiste in altre città d’Europa, che gestisca le abitazioni messe a disposizioni anche dai privati per calmierare i prezzi oltre a garantire adeguate tutele per i proprietari?

Sul consumo di suolo l’assessore ha affermato pur senza darne dimostrazione, che questo PGT lo riduce del 4% proponendo di incrementare le volumetrie dove c’è già densità, accessibilità e disponibilità di servizi, riducendole in altri ambiti come nel caso di Bellarmino e Vaiano Valle adiacenti al Parco sud e assegnandole ad altri ambiti in grado di accoglierle. Se l’operazione riuscisse sarebbe un fatto molto significativo ma si dovrebbe essere certi di non ledere interessi precostituiti che potrebbero opporvisi e che si possa armonizzare con la perequazione delle volumetrie.

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Una città green, vivibile e resiliente

Il nuovo PGT si propone di realizzare un parco metropolitano abbracciando Parco sud e Parco nord con un grande progetto di riforestazione affidato a Stefano Baoeri ma facendo anche entrare il verde nella città consolidata realizzando anche 20 nuovi parchi di superficie superiore a 10.000 mq.

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E se il verde e i parchi non possono essere solo “elementi residuali della città ma devono essere il cuore degli sviluppi futuri”, allora bisogna anche riconoscere che un approccio esclusivamente quantitativo, come si è fatto con l’AdP degli gli scali ferroviari che egli cita come un’opportunità, non potrà dare le risposte che ci attendiamo.

I venti parchi di 10.000 mq, a condizione che se ne studi bene la distribuzione territoriale e le caratteristiche insediative, possono rappresentare una scelta giusta. Perché il verde urbano è anch’esso architettura e per essere tale deve integrarsi strettamente con le principali funzioni, con strade e piazze per essere presidiato socialmente in modo permanente per poter essere frequentato in sicurezza anche da bambini, donne e vecchi. Le grandi aree verdi che molti ambientalisti rivendicano si sono rivelate molto problematiche da questo punto di vista.

Una città, 88 quartieri da chiamare per nome

Maran ha sostenuto che una grande città che cresce deve mantenere le proprie identità di quartiere e che anche se cambia deve mantenere alcuni capisaldi come il campanile, la piazza centrale che spesso è stata trasformata in un parcheggio e che va restituita alla socialità con i piccoli negozi (che secondo l’assessore il comune farebbe di tutto per tutelare) e i servizi.

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Le piazze devono connettere non dividere e ipotizzare di scoperchiare alcune stazioni della metropolitana per inserirvi delle attività commerciali potrebbe servire a rivitalizzare delle situazioni attualmente depresse di molto luoghi di transito, a cui già si è fatto cenno, concedendo dei vantaggi a chi si propone di intervenire superando l’indice di edificazione di 1 mq/mq rispettando alcune regole morfologiche fondamentali, ma mettendo il progetto al primo posto rispetto all’osservanza burocratica delle regole e non concedendo quindi alibi a chi potrebbe intervenire.

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Bisogna far comprendere che situazioni di questo tipo ce ne sono molte ai confini e anche fuori dai confini della filovia 90/91 e che c’è la possibilità che anche in esse si verifichi ciò che si è avuto per piazza Gae Aulenti e per le nuove piazze del centro della città e che proprio queste situazioni rappresentano uno dei temi del cambiamento futuro. Se si guarda dall’alto Piazzale Maciachini vediamo che c’è tanto verde ma oggi non è un luogo vissuto.

Ma immaginare che piazza Gae Aulenti possa rappresentare il prototipo per recuperare le piazze di periferia oltre ad essere un’illusione è senz’altro un’assurdità prima di tutto perché più che una piazza urbana essa è lo spazio di pertinenza dell’intervento di Porta Nuova che se ne è appropriato, ponendolo a una quota più alta che ha permesso di svincolarlo dalla rete stradale e introducendo dei dispositivi di accesso come rampe e scale.

Una città che si rigenera con gli 88 quartieri da chiamare per nome luoghi di cui ci si deve interessare ma “sapendo che non tutti possono essere trattati nello stesso modo e con le stesse regole”. Maran mostra la planimetria dei luoghi dove in base al PGT si intende accelerare la trasformazione, nominati ambiti di rigenerazione che hanno tutti un punto in comune che consiste nel fatto che chiunque voglia intervenire in questi luoghi avrà delle regole più vantaggiose rispetto a quelle vigenti. Si ripropone il criterio di derogare come in altre situazioni illustrate in precedenza con la motivazione che l’Amministrazione ha bisogno che chi investe si impegni ad intervenire nei quartieri indicati.

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La giunta sta investendo 350 milioni di euro per migliorare i quartieri popolari ma è uno sforzo insufficiente se non si rende disponibile da sommare una cifra dei privati moltiplicata per dieci. Maran porta l’esempio di ciò che sta succedendo a sud della Fondazione Prada con l’intervento di Symbiosis di Beni Stabili che si propone di divenire il nuovo business district con edifici, da affittare alle aziende, realizzati in base alle loro esigenze come sta già avvenendo con i primi 20.000 mq per Fastweb sui 120.000 mq complessivi.

Maran dovrebbe sapere che questa situazione si avvantaggia in modo determinante per il fatto che per lo scalo di Porta Romana è stato previsto, con l’impegno da parte delle FS, l’abbassamento dei binari in modo da consentire un collegamento con continuità tra i due versanti della città realizzando un terreno artificiale al di sopra dei binari. Ma questo è l’unico caso previsto lungo tutto il tracciato della cintura ferroviaria perché negli altri scali si potrà ricorrere soltanto a sovrappassi o sottopassi che non potranno migliorare di molto la situazione di separazione tra la città consolidata interna al tracciato ferroviario e la periferia esterna.

Forse sarebbe il caso di recuperare risorse dalle plusvalenze che si creano non soltanto nelle aree dismesse degli scali ma anche nelle aree limitrofe e utilizzarle per migliorare il collegamento tra i due versanti della città anche in altre situazioni oltre allo scalo di Porta Romana attraverso l’applicazione di contributi di miglioria come fu fatto all’epoca della realizzazione della prima linea della metropolitana. Per quanto tale contributo sia stato poi abrogato, sarebbe utile che Milano lo riproponesse per far fronte ai grande impegno di risorse pubbliche di cui necessita in questa fase importante del proprio sviluppo ma che comporterà una forte valorizzazione degli immobili dei contesti di trasformazione.

Un problema da affrontare è rappresentato dalla presenza di molti edifici abbandonati e in disuso al quale già il nuovo Regolamento Edilizio ha cercato di porre rimedio con quanto disposto agli articoli 11 e 12. Ritenendo che sulla questione sia necessario intervenire anche mediante il PGT inducendo in prima istanza la proprietà a eseguire interventi di restauro e recupero degli edifici ma ove non vi siano le condizione tecnico economiche per farlo, consentirne almeno la demolizione preservando le volumetrie. Diritti volumetrici che potranno essere utilizzati sulla stessa area al momento in cui le condizioni lo consentiranno, oppure essere trasferiti sulle aree di densificazione.

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Nel caso che il proprietario non provveda alla riqualificazione o all’abbattimento dell’immobile degradato, allora il Comune applicherà una penalizzazione riportanto la volumetria a 0,35 mq/mq di norma, sicuramente più bassa di quella dell’edificio in stato di degrado. Penalizzazione che, nelle aspettative dell’assessore, dovrebbe consentire di favorire almeno la soluzione dell’abbattimento visto che nella maggioranza dei casi la proprietà degli edifici degradati è di assicurazioni e fondi immobiliari che hanno certamente la possibilità di intervenire.

Mi domando tuttavia quale potrà essere l’effetto ambientale e urbanistico del sistematico abbattimento degli edifici degradati che non riguarderebbe, se non in minima parte, la città consolidata all’interno della cerchia ferroviaria, ma soprattutto le periferie dove ci sono grandi complessi industriali dismessi di difficile riutilizzazione. Avrebbe certamente poco senso pretendere di restaurare tali strutture in assenza di una loro utilizzazione ma il loro abbattimento potrebbe porre problemi di altro genere che non siamo oggi in grado di prevedere. Forse, di un provvedimento così drastico, sarebbe più prudente avviare prima di tutto la sperimentazione.

La logica complessiva, del tutto condivisibile, con cui il PGT è in via di aggiornamento è quello della semplificazione. Il piano deve essere semplice e deve favorire che dalla programmazione alla fase attuativa i tempi si riducano. Le norme devono rimanere nella misura in cui servono a esercitare il necessario controllo ma non devono rappresentare un ostacolo per chi ha interesse a intervenire.

Maran ha chiuso con una riflessione che riguarda il tempo che ci separa dal 2030. Sono solo 12 anni ma che è un tempo che può vedere notevoli cambiamenti soprattutto se lo confrontiamo con la situazione in cui eravamo12 anni fa. Sì, è vero che i cambiamenti sono sempre più rapidi e che in 12 anni le cose possono modificarsi sostanzialmente, ma altre città si sono date della scadenze di più lungo termine perché ciò è indispensabile per darsi una prospettiva strategica. Considerando poco più di un decennio non si può far altro che cercare di prevedere ciò che succederà mentre considerando qualche decennio ci si può sforzare di capire cosa ci si può proporre di diventare avendo a disposizione uno spazio di manovra più adeguato a oganizzarci socialmente, economicamente e politicamente.

La perorazione un po’ retorica dei diritti dei cittadini a una città e a una vita migliore, con cui l’assessore Maran ha chiuso il suo intervento, sono stati posti quale condizione e stimolo alle trasformazioni che ci possiamo attendere dal nuovo PGT per far fronte alle tre sfide che ha citato all’inizio del suo discorso.

Hanno fatto seguito due sezioni di interventi su tematiche specifiche elencati all’inizio di questo resoconto che non ho la possibilità di riprendere in dettaglio e vado quindi a commentare l’intervento di chiusura del sindaco Sala che ha prima di tutto fatto appello all’orgoglio milanese che deriverebbe dalla capacità di esprimere una visione che mette Milano in rapporto competitivo con altre città che svolgono un ruolo a scala internazionale.

Si è sentito poi in dovere di esprimere un giudizio a favore della politica che con i suoi organi, Giunta e Consiglio, è centrale e a Milano, a prescindere dalla distinzione tra maggioranza e opposizione avendo dato prova di efficienza va supportata ed è questo che Sala ha chiesto a tutti.

Questo prescindere dalla distinzione tra maggioranza e opposizione risulta poco rassicurante perché rivela una carenza di dialettica democratica, di cui si è avuta una lampante dimostrazione nel caso degli scali ferroviari. Al di là della contrapposizione puramente politica l’opposizione non dovrebbe mai rinunciare al ruolo di controllo che può e deve esercitare sulla maggioranza. E quando questa dinamica viene meno ci si deve preoccupare dei fenomeni  di consociativismo che possono dare origine a degenerazioni ben più gravi.

Cita che Milano con i suoi 26 secoli di storia ci trasmette delle lezioni molto significative, la prima delle quali è che miglioriamo quando cambiamo e anche che non dobbiamo essere celebrativi e arroganti, essendo consapevoli che la volontà di cambiamento supportata dalla competenza è la chiave di sviluppo di questa città anche perché nel cambiare in genere non disperdiamo ciò che di buono è già stato fatto.

Sala ha dichiarato di aver chiesto all’assessore Maran di non limitarsi a fare delle correzioni al PGT e che coerentemente con la sua denominazione siamo impegnati a governare il cambiamento del territorio. Ma non si intende farlo come una forma di dirigismo pubblico ma orientando il pubblico a interagire con il privato. Le cose vanno tenute assieme perché il privato può dare carica, energia e sostegno all’azione dell’Amministrazione che può portare alla città del futuro.

Ma è necessario osservare che questo orientamento nella gestione del rapporto tra pubblico e privato è cruciale soprattutto per quanto riguarda la regia pubblica dei processi di trasformazione. A prescindere dalla dimensione quantitativa degli interessi in gioco, spesso ciò che nel rapporto tra pubblico e privato non si riesce a garantire è la qualità anche formale del risultato.

Nella generalità dei casi a parità di impiego di risorse economiche un intervento può essere fatto più o meno bene. Ma per farlo bene (o meglio) servono delle competenze e un’autorevolezza nei confronti della controparte privata di cui l’amministrazione pubblica spesso non dispone al proprio interno. Come può l’Amministrazione dotarsi delle necessarie competenze? La Commissione del paesaggio che era partita con grandi ambizioni per il ruolo che avrebbe potuto avere, quando fu istituita con la presidenza di Pierluigi Nicolin, ha visto con il tempo scemare le proprie prerogative e incisività.

Sala ha affermato che questa consultazione non è una semplice comunicazione di decisioni già prese ma che si è valutato opportuno rallentare il procedimento per raccogliere i contributi da portare al Consiglio comunale in tempi non lunghissimi tenendo conto che i tempi sono una questione fondamentale e che c’è un tempo per la discussione, uno per la decisione e poi uno per l’implementazione (realizzazione?).

Del resto il regime di proroga dura solo ancora sei mesi e l’avvertimento di Sala è che non si può discutere in eterno ma quanto basta per individuare “la misura giusta per la città”.

Va benissimo, ma chi decide a che punto si chiude il dibattito?

Emilio Battisti

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