27 marzo 2018

IL TEMA DELLE PERIFERIE

Il Comune un'azienda fordista


Il documento si motiva come “atto dovuto”, come passaggio obbligato di una procedura. L’impulso ad una programmazione di carattere generale non pare derivare tanto da una volontà e da un indirizzo politico, quanto dalle scadenze imposte dalla normativa sulla contabilità che ne fa il “presupposto indispensabile per l’approvazione del bilancio di previsione”, dunque per garantire in primo luogo la continuità amministrativa e la routine funzionale.

05ballabio12FBCertamente il ponderoso lavoro elaborato dai vertici tecnico-burocratici del Comune ha alle spalle le “linee programmatiche” presentate contestualmente all’elezione del Sindaco. Ma si sa che anche quest’altro adempimento si è ridotto spesso ad una formalità imposta dalla regolamentazione sugli enti locali che – tradite le iniziali intenzioni delle leggi Bassanini – ha stentato a cambiare mentalità per passare dall’osservanza del protocollo all’orientamento al risultato.

Pare infatti che la principale preoccupazione degli estensori sia stata quella di “toccare tutti i punti” onde evitare possibili critiche per omissioni o sottovalutazioni: ne risulta una sorta di documento “universale” di programmazione (l’acronimo DUP non cambia!) nel quale risulta tuttavia difficile rintracciare priorità e linee di forza. Effetto per altro inevitabile in quanto il compito di individuarle ed attivarle dovrebbe emergere da una discussione politica da parte degli organi elettivi, non certo dalla sola competenza “degli uffici” dietro i quali una politica debole ed incerta spesso si ripara.

Prova ne sia l’esame dei due capitoletti della “Sezione strategica” intitolati “Città metropolitana e Decentramento” e “Periferie”. Si tratta di una questione cruciale in quanto concerne il “chi deve fare che cosa”, senza il quale il lodevole elenco rischia di restare sulla carta, o comunque di seguire il suo corso al di fuori di una consapevole volontà di programmazione e cambiamento. Ma ragionare sulla forma istituzionale e sulla distribuzioni dei poteri implica la messa in discussione dello status quo, tanto del quadro legislativo quanto dell’assetto di potere vigente.

Il tema delle periferie, che ha riacquistato vigore dopo il recente esito elettorale, può essere affrontato in due modi: o tramite interventi, più o meno consistenti e più o meno partecipati, erogati dall’alto; oppure rovesciando lo schema e partendo dal basso. Nel primo caso i quartieri periferici rimangono comunque oggetto, nel secondo divengono soggetto. Nel primo caso si rammendano strappi e brindelli, nel secondo si ritagliano spazi di iniziativa ed autogoverno.

Ancora nel primo caso si offre il pesce, nel secondo la canna da pesca, per parafrasare qualcuno che di strategia, nel bene e nel male, se ne intendeva! Ma disporre degli strumenti per operare un reale decentramento riguarda anche l’apparato organico. Il Comune di Milano risulta l’ultima azienda fordista rimasta in città, con un numero di dipendenti simile alle Pirelli o Alfa Romeo che furono.

Allora ci si domanda se l’obbiettivo politico di recuperare le periferie sia compatibile o meno con la permanenza di un assetto organizzativo elefantiaco e centralizzato, riservando ai Municipi un ruolo di conseguenza subordinato e condizionato. Infatti la ripartizione di poteri autonomi e risorse anche umane, tra centro e decentramento, non può che risultare a somma pressoché zero.

Altrettanto evanescente appare la trattazione della questione Città metropolitana: termine che compare qua e là in isolati e rituali accenni allorquando si parla di mobilità, di agricoltura, ecc. Significative invece le poche ma impegnative righe nel capitoletto dedicato: “dobbiamo farne …un luogo di elaborazione strategica delle funzioni fondamentali: mobilità, sviluppo economico, ambiente, pianificazione territoriale, investimenti in infrastrutture”.

Ma qui casca l’asino: come può una burocrazia abituata alla gerarchia ed al rispetto dei ruoli fuoruscire dal suo ambito di competenze territoriali e funzionali? La questione è allora demandata al Sindaco, casualmente anche metropolitano, per esempio cominciando ad affidare la revisione del PGT ad un ufficio di piano unificato tra gli enti interessati (come proposto su queste colonne da Ugo Targetti). Sarebbe un primo passo verso una progressiva aggregazione in un’unica vera Città metropolitana, deputata al governo strategico della propria area, intermedia tra Regione da un lato e Municipi e Comuni dall’altro, democraticamente eletta e capace di programmazione valida per ben oltre il triennio!

Valentino Ballabio

 

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