24 ottobre 2017

ULTIMA CHIAMATA PER L’EDILIZIA: LA RISPOSTA C’È

Ricompare l'innovazione


Si è tenuto nei giorni scorsi a Milano un convegno davvero interessante e quasi rivoluzionario sulle prospettive di sviluppo di un settore da anni in profonda crisi, quello dell’edilizia. Si parte da un dato di fatto, in parte largamente noto ma stranamente spesso dimenticato: il settore edilizio è uno dei più arretrati in assoluto, dove maggiore sono gli sprechi e minore è la produttività. L’argomento che spiega questa situazione è sempre lo stesso: si tratta di un’attività site-specific, di prodotti unici, poco ripetibili: e quindi l’ottimizzazione dei processi produttivi avvenuta in altri settori non è possibile o produce risultati di scarsa qualità, vedi i tristi esperimenti di prefabbricazione negli anni ’60.

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Ma adesso è cambiato tutto. Le nuove tecnologie consentono di trasferire nella progettazione e nella predisposizione off-site dei componenti gran parte della complessità e della flessibilità richiesta nei cantieri, con risultati sorprendenti in termini non solo di tempi, costi e prestazioni, ma anche e soprattutto di maggiore affidabilità (rispetto dei budget e delle tempistiche) e di minore impatto dei cantieri sull’ambiente urbano (meno emissioni, meno traffico, ecc.) e nell’uso contemporaneo degli edifici oggetto di intervento (possibilità di mantenere in sito le attività o ridurre al minimo le interruzioni).

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Perché la vera partita si gioca qui: non solo sul nuovo, ma anche e soprattutto nel recupero dell’esistente (che è il vero problema). Qui il tema è abbastanza chiaro e già si inizia a intervenire negli edifici per attività economiche (terziario, commercio, ecc.), ma si può farlo anche per i servizi (scuole e ospedali, ecc.) e per il residenziale standardizzato (grandi quartieri moderni), dove è possibile pensare ad interventi ad esempio anche solo sull’involucro esterno che consentano miglioramenti drastici in termini di efficienza energetica, prestazioni acustiche, resistenza sismica.

È altrettanto chiaro che esiste invece un’altra categoria di edifici, quelli storici e monumentali, grande ricchezza italiana, per i quali l’intervento continuerà a essere quello tradizionale e artigianale, per preservare la qualità e la bellezza del patrimonio. Ma c’è anche una categoria intermedia, quella del tessuto urbano di pregio, anche se non monumentale, che richiederà particolare attenzione da parte dei progettisti e degli operatori edilizi, oltre che delle amministrazioni pubbliche interessate a mantenere la vivacità e l’equilibrio spesso delicato di questi tessuti.

Insomma, la sfida è importante e i temi cruciali. Si pensi solo a cosa questo può voler dire sul tema della casa popolare, non solo in termini di riqualificazione dei quartieri esistenti, ma anche di abbattimento del costo dell’offerta. Ricordo a questo proposito che solo qualche anno fa alla Triennale di Milano erano stati presentati gli esiti di un concorso di progetti di edilizia residenziale di interesse pubblico: le stime dei costi di costruzione erano invariabilmente (i più bassi) sui 1.500-1.600 € mq (!!! di sola costruzione!), ma è evidente che così il prodotto finito non è raggiungibile forse neanche per le famiglie del ceto medio, oramai impoverite.

Ma la riduzione del prezzo e soprattutto la maggiore affidabilità gestionale del prodotto potrebbe anche aprire le porte agli investimenti negli immobili residenziali per l’affitto, molto più consoni agli attuali stili di vita, più mobili e flessibili. E le buone notizie non finiscono qui, perché oltre ai soliti esempi virtuosi del Nord Europa stavolta possiamo registrare che ci sono imprese italiane, anche medio piccole, che sono entrate nell’industrializzazione edilizia e sono in grado di competere a livello internazionale: la Wood Beton di Brescia, tanto per fare un esempio, ha vinto un importante gara per un colosso come Ikea.

Insomma: minori costi, minori tempi, minore impatto sull’ambiente, più sicurezza, più affidabilità, progetti veri, non solo intenzioni … viene quasi da dire: troppo bello per essere vero. Ma quello che è importante è che la via d’uscita dalla crisi avviene finalmente in modo moderno, nell’innovazione di prodotto e di processo, nel sapere fare di più e meglio; e non, come si vedeva ultimamente sempre più spesso, nell’aiutino di Stato, nell’opera pubblica inutile ed esageratamente costosa, nella pioggia di metri cubi virtuali con cui si sono intossicati i bilanci – e troppi PGT. Sembra invece ci siano tutte le condizioni – capacità, integrazioni, consapevolezza e volontà – per una modernizzazione utile a risolvere molti problemi delle nostre città.

Gregorio Praderio


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