12 luglio 2017

HOUSING SOCIALE E RIGENERAZIONE URBANA, TRA TEORIA E PRATICA

L’esperienza di Villaggio Barona come paradigma italiano di funzionalità: alcuni caposaldi


Sono anni che parliamo con crescente ostinazione di housing sociale, sempre di più accanto ai temi del cohousing (o abitare collaborativo), sempre meno in relazione alle ragioni dell’edilizia popolare, quella per intenderci del glorioso Istituto Autonomo Case Popolari. Nel lessico politico corrente sembra come appartenere ad alcune categorie non sdoganate del secolo scorso, non del tutto così inattuali come classe o proletariato.

07deagostini26FBSarà anche per le difficili vicende in cui versa il patrimonio edilizio pubblico e il ritardo a darsi strumentazioni in cui il rapporto virtuoso tra pubblico e privato – nelle più diverse aggregazioni, dal basso come dall’alto – possa anche qui aprire una via alla rigenerazione urgente e improrogabile per la città, insieme a una rinnovata strumentazione dell’apparato tecnico del comparto edilizio.

Appare tuttavia sempre più urgente calare questi temi nella pratica del nostro mestiere, per trovare modalità condivise di governo per la loro realizzazione, a partire per esempio dalle forme di convenzionamento e standard, che ancora non sono nei fatti regolati da strumenti di “incoraggiamento” o di facilitazione ad azioni di housing sociale codificati, ma caratterizzati ancora dai tempi lunghi – e soprattutto non certi – della prassi urbanistica.

Se dunque la politica incomincia a vedere la necessità di colmare quella fascia grigia di domanda residenziale, tra ERP e libero mercato, nella prassi ancora non si vedono canali condivisi e chiari nella messa a punto degli strumenti della pratica edilizia. Affermare che la popolazione giovanile è in crescita, grazie al contributo virtuoso delle nostre università, ma non fornire alloggi a costi accessibili è un evidente autogol.

In questo senso, un seminario come quello proposto dalla Fondazione Cassoni Housing Sociale e Rigenerazione Urbana, le prospettive a partire dall’esperienza pionieristica di Villaggio Barona diventa occasione per fare il punto proprio a partire da una esperienza compiuta di cui, a dieci anni dalla sua realizzazione, è possibile leggere vizi e virtù, è possibile trarre elementi e temi utili a definire strumenti operanti per il presente.

Come racconta Alessandro Balducci, sin dalle origini membro della Fondazione, la storia inizia nel 1994 a partire da una intuizione del parroco di zona, don Roberto Rondanini, orientata alla coesione sociale e abitativa, la prima a Milano di dimensioni così importanti. Emergono nel suo racconto sei mosse che ricorrono in questa esperienza che possono considerarsi di carattere generale, dunque strumenti utili da condividere al futuro.

Si comincia dalla negoziazione, allora condotta con l’architetto Paolo Simonetti della direzione Urbanistica del Comune dall’avvocato Giuseppe Sala, una “istituzione” per le questioni urbanistiche legali di quegli anni, ancora oggi esempio di riferimento per l’utilizzazione degli standard urbanistici di aree a servizi (1).

Ma a capo di qualunque mossa Balducci mette la proprietà dell’area (2), in questo caso oltre 40.000 mq di aree industriali dismesse tra capannoni, depositi, container e silos che la Fondazione Cassoni aveva a disposizione. Un elemento, aggiungo io, dirimente il possibile ruolo del pubblico, attraverso le molte proprietà cui non mette mano per mancanza di risorse, e dove il privato – nelle più diverse forme, profit o meno – può fare il suo.

Nel 1999 inizia la progettazione del villaggio, quando cioè i servizi erano già in via di definizione. Un processo partecipato (3) attraverso workshop coordinati da Pier Luigi Saccheri e dall’allora giovane architetto Rabaiotti, (ma lo stesso Balducci partecipò allo studio di fattibilità, ndr) in cui la scommessa era “il bisogno al centro”, attraverso l’articolazione di quattro ambiti funzionali:

– la residenza sociale 6.800 mq e gli spazi per l’artigianato e il commercio 1.200 mq;

– il pensionato sociale integrato 4.500 mq;

– i servizi di accoglienza e di cura alla persona 3.600 mq;

– il parco e le attrezzature per lo sport e il tempo libero 22.000 mq.

Nel 2003 erano già disponibili 78 appartamenti, con 4 comunità attive, le aree commerciali. Oggi sono abitate da 230 persone. Nel 2005 arriva il pensionato che dispone di 120 posti letto, con alloggi per mamme sole, sala lettura, auditorium e ristorante.Nel 2008 arrivano i servizi di accoglienza e cura alla persona, e quasi 30.000 mq di parco.

Fondamentale poi la collaborazione di chi abita all’erogazione dei servizi (4), così come essere persuasi che i luoghi del disagio possano essere luoghi gradevoli. Altrettanto cruciale la creazione e collaborazione di diverse associazioni di sviluppo e promozione e cooperative sociali (5), determinanti nella creazione della rete sociale di quartiere, divenuto oramai punto di riferimento per la città. Una dimostrazione di resilienza (6), conclude Balducci, a fronte di una crisi economica che ha colpito veramente tutti.

Altrettanti punti chiave sono quelli emergenti dalla gestione interna, come racconta Gianluca Nardone, economista già fondatore con gli architetti Rabaiotti e Cottino di Kcity, agenzia per l’innovazione urbana, e da un paio di anni Segretario della Fondazione.

La Governance (7): il Consiglio di Amministrazione è formato da 7 membri, espressione delle diverse istituzioni partecipanti agli obbiettivi della Fondazione, attori storici del noto rito ambrosiano: curia, prefettura, città metropolitana, Fondazione San Carlo. Dunque rappresentanza cittadina e non solo di “interesse di parrocchia”. Il Segretario ne è porta voce verso personale e operatori, nominato proprio per raccordare bilancio – passato dal -25% al -15% in due anni, come sottolineerà Sergio Urbani – e gestione.

Il Rapporto di comunità (8): Anche i fondi immobiliari hanno capito l’importanza della facilitazione, e per questo della partecipazione attraverso una forma di welfare attivo di comunità. E i Fondi sono oramai in relazione consolidata con l’housing sociale.

La Sostenibilità economica (9): la pressione fiscale, pur essendo una Fondazione a fungere da operatore, è comunque alta, Ici o Imu comprese. Il modello di Housing sociale proposto, dove oltre che la residenza si incrociano servizi, persone e commercio appare dunque vincente.

D’altra parte, più in generale i cambiamenti delle modalità abitative, legati anche alle forme di precarietà di lavoro, economia e relazione, insieme alla trasformazione del contesto immobiliare, tra spazi vuoti e invenduto, affidano alla Regione un ruolo di facilitatore nella conciliazione di domanda e offerta. Paolo Formigoni, Dirigente del settore welfare abitativo e Housing sociale di Regione Lombardia, considera l’abitazione non un involucro ma un servizio.

La scommessa è capire che per favorire la rigenerazione servono la valorizzazione del patrimonio pubblico (10), leve fiscali (9), partenariato con il privato (11). La Regione sta mettendo a punto una modalità di accreditamento di enti e soggetti a fronte dell’obbligo di gestione sociale del patrimonio. Ovvero tra servizi sociali e manutenzione.

L’esperienza di Villaggio Barona nel mondo del social housing italiano è cardinale, perché ha dato corpo a cose fino ad allora solamente immaginate. Sergio Urbani, indiscusso protagonista della storia del social housing in Italia e direttore generale di Fondazione Cariplo, lo afferma tornando sul tema gestionale: se abbiamo capito come si fa a costruire, ora dobbiamo mettere a punto come gestire il welfare di comunità (8), tra accompagnamento e story-telling a reperimento delle risorse nella rete filantropica – e non solo. È necessario insediare attività a lungo termine, oltre la manutenzione.

Gabriele Rabaiotti infine si interroga a partire dall’esperienza appassionata di Villaggio Barona ma col cappello attuale di Assessore alla casa, tra criteri di selezione, canone, e servizi non abitativi, che devono essere sempre più rivolti anche ai non residenti, poiché la rigenerazione è un servizio alla città (12). Come a Barona, dove appunto il parco è per tutti ma la cui manutenzione è pagata di residenti. Non intesa come tassa, ma perché consapevoli che l’intorno è importante quanto il proprio alloggio.

Insomma, una sporca dozzina di punti fermi a tentare di definire strumenti e un repertorio, quello milanese, determinante a dar forma a quella rigenerazione urbana a scala nazionale che tutti vediamo sempre più necessaria e urgente.

Aggiungerei a margine anche la residenza transitoria per extracomunitari (13), oggi proditoriamente considerata azione di supporto a una emergenza, quando oramai è inscritta da anni tra i fenomeni di mutamento geografico globale. Un fenomeno che in relazione al servizio abitativo va inteso come risorsa, se accompagnato alla gestione dei servizi e al mix non solo sociale del tessuto che potrebbe caratterizzarlo.

Ma di più, una risorsa anche economica. A patto naturalmente che la regia (pubblica) si doti di strumenti di governo consapevolmente resilienti (6), non confondendo dunque il cosiddetto marketing territoriale con una forma di subordine al giogo indifferente dell’investitore internazionale.

Francesco de Agostini

Architetto

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