4 aprile 2017

musica – SCARLATTI AL CINEMA


In questi giorni gira per Milano un nuovo film sulla vita e sulla musica di Domenico Scarlatti, pensato, scritto e diretto da Francesco Leprino. Di questo singolare filmaker, musicista e musicologo, conosco due precedenti opere – dedicate rispettivamente a Johann Sebastian Bach (Sul nome B.A.C.H. del 2008-2011) e a Carlo Gesualdo di Venosa (O dolorosa gioia del 2015) – tutti e tre film prodotti da Al Gran Sole, distribuiti anche in DVD e pertanto non difficili da trovare.

musica13FBL’ultimo si intitola Un gioco ardito, dodici variazioni tematiche su Domenico Scarlatti ed è molto innovativo e immaginifico. Con lo stratagemma di affidare a una fantastica marionetta dei Colla – che ha la voce dell’attore britannico Shel Shapiro – il racconto della vita del compositore napoletano, così come l’ha scritta il suo quasi contemporaneo Charles Burney (che nasce nel 1726 e muore nel 1814, mentre Domenico era nato nel 1685 ed è morto nel 1757), il film assume un carattere a mezza strada fra la fiaba e il documentario.

Fiaba per le sembianze e il linguaggio della marionetta, documentario perché le riprese sono state meticolosamente girate nei luoghi in cui Scarlatti ha vissuto (Napoli, Venezia, Roma, Lisbona, Siviglia, Madrid), arricchite dai ritratti dei principali personaggi che ne hanno intersecato la vita, principi e regnanti delle corti portoghesi e spagnole, in particolare Maria Magdalena Barbara di Braganza, principessa portoghese diventata Regina di Spagna.

Veramente curiosa è la vicenda del grandissimo clavicembalista, famoso in tutta Europa, che si dedica quasi in via esclusiva alla formazione musicale di quest’unica allieva, ancorché principessa e regina, portoghese di nascita, di madre austriaca (e forse questo avrà voluto dire qualcosa!), e lo fa per ben trentotto anni dal 1719 – quando lui ne ha 34 e lei appena 8 – a quando muore (lei gli sopravvivrà un anno, scomparendo ad appena 47 anni distrutta dalla orribile obesità).

Tutto questo e molto altro ancora (per esempio Domenico che vuole avere e avrà dieci figli, da due mogli, per non essere da meno di suo padre Alessandro) viene narrato dalla deliziosa marionetta dalla voce simpaticamente inglesizzante che – tra un episodio e l’altro – introduce meravigliose performance musicali dello stesso Scarlatti, una più suggestiva dell’altra, in parte originali eseguite al clavicembalo da Ruggero Laganà, in parte scelte fra le infinite trasposizioni, trascrizioni, perifrasi e allusioni scritte per diversissimi organici da compositori moderni e contemporanei, tutte di rara bellezza.

Ne cito alcune (ricordando che la K. che precede la numerazione della produzione scarlattiana si riferisce al musicologo americano Ralph Kirkpatrik che l’ha catalogata e non ha nulla a che vedere con la K. delle opere di Mozart che appartiene al loro catalogatore Ludwig von Köchel) come una Aria vARIAta dalla Sonata K. 32 in re minore dello stesso Laganà per fortepiano, tre voci e tre flauti barocchi; il Capriccio dalla Scarlattiana di Alfredo Casella, con sei stupefacenti danzatrici; la Sonata K. 87 in si minore rielaborata da Falzone per organo, tromba, vibrafono, contrabbasso e batteria.

Continua con un trio d’archi dalla Sonata K. 18 in re minore ripensata da J. T. Maldonado; l’originalissimo fado sulla Sonata K. 109 in la minore di Arrigo Cappelletti per voce, chitarra e pianoforte; e poi le Sonate rielaborate da Massimiliano Viel per tastiera elettronica, da Giorgio Gaslini al pianoforte accompagnato da un contrabbasso, da Riccardo Zadra al pianoforte, da Tony Pagliuca per tastiere e sassofoni, da Maurizio Pisati alla chitarra, e ancora una elaborazione elettronica di Azio Corghi e un quartetto d’archi di Salvatore Sciarrino e qualche altra che ho dimenticato.

Il film di Leprino non si limita alla biografia, all’iconografia e alle riprese musicali sui testi di e su Scarlatti, ma approfondisce il significato dell’opera scarlattiana vista nell’ampio contesto europeo della prima metà del Settecento, sollecitando pareri molto incisivi di critici e storici della musica barocca come Enrico Baiano, Emilia Fadini, Gustav Leonhardt, Roberto Pagano, Giorgio Pestelli, José Saramago, Salvatore Sciarrino. Da queste vivacissime interviste emerge la figura non abbastanza conosciuta di un compositore schivo e apparentemente periferico che – nell’epoca dominata dall’opera lirica e dalla musica sinfonica – si è dedicato quasi unicamente a uno strumento a tastiera che stava andando in pensione scrivendo, solo per sé stesso e per quella sua unica allieva, ben 555 (cinquecentocinquantacinque!) Sonate per clavicembalo raggiungendo abissali profondità e sconcertanti intimità.

«Non ti aspettare – che tu sia dilettante o professore – di trovare in queste composizioni un’intenzione profonda; ma piuttosto un’ingegnosa facezia dell’arte per esercitarti ad un gioco ardito … », scrive Scarlatti sul frontespizio dei trenta Esercizi per gravicembalo del 1738. Ed è anche qui, in questa modestia, nella totale assenza di ambizione mondana, che risiede la sua grandezza; nella virtù che gli ha permesso di non sentirsi isolato ma di sfruttare l’isolamento per raggiungere estremi limiti di concentrazione e di poesia.

Paolo Viola

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

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