25 maggio 2019
QT8 INGESSATO? IL VINCOLO CHE ARRIVA DA LONTANO
Il punto su una querelle cittadina
25 maggio 2019
Il punto su una querelle cittadina
Alcune premesse, come mio solito. Denuncio per prima cosa un enorme e clamoroso conflitto di interessi. Il mio! Vivo al QT8 e quindi potrei piegare la logica dei ragionamenti un po’ troppo pro domo mea. Inoltre conosco e/o stimo alcuni dei protagonisti che sono intervenuti su Arcipelago con vari articoli sull’annosa questione del progetto che riguarda la riqualificazione del Giardino dei Giusti al Monte Stella. Nutro una grande stima nei confronti del Prof. Consonni e ho apprezzato la lucida puntualità con cui ha posto le domande al Sindaco Sala (e devo dire che ne condivido la maggior parte). Credo che il Sindaco avrebbe tutto l’interesse a rispondere nel merito.
Non mi sono piaciuti invece i toni dell’articolo di Jacopo Gardella. Poi devo dire che ho di recente fatto una chiacchierata con l’assessore Maran sul tema. E trovo la sua posizione (che è quella del Comune di Milano) estremamente ragionevole. Ok, se vado avanti così rischio per passare per un vetero democristiano cerchiobottista. Quindi evito di dilungarmi ancora e vado dritto al punto. Siamo peggio di Tafazzi.
A causa di un litigio – perché per quanto nobili siano i motivi primigeni, stringi stringi di questo si tratta – che riguarda una parte del quartiere, piccola ma significativa (la “Montagnetta”), ci siamo presi a bottigliate (di plastica, mi raccomando) sui gioielli di famiglia, come la sopracitata macchietta comica, e alla fine ci troviamo con una bella gatta da pelare. Perché il gran casino fatto di progetti, ricorsi, nuovi progetti, nuovi ricorsi, ha richiamato l’attenzione dei Palazzi Romani e secondo me dalle stanze del ministero presieduto da Alberto Bonisoli ci è arrivato infiocchettato un bel pacco. Che, per “tutelare” un pezzo di parco, rischia di ingessare il quartiere intero! E per rimanere in tema di democristiani dico che a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca spesso. Se leggiamo la vicenda con i filtri (o i paraocchi) della politica, verrebbe da pensare che il Ministro dalle cinque stelle si sia preso una piccola rivincita nei confronti della sola stella nostrana, il Monte Stella, appunto!
Non sto a tediarvi con la vicenda burocratica fatta di ricorsi al Tar, progetti ipertrofici prima e poi ridimensionati (forse). Sta di fatto che le voci di corridoio, ma pure di salotto, tinello e cucina, dicono che non è parso vero a Roma (Governo) di poter dare addosso a Milano (Comune) e così la proposta di vincolo monumentale per tutto il quartiere, che dormiva in qualche impolverato cassetto da anni, è atterrata, più rapida di Bolt alle Olimpiadi, a Palazzo Litta in quel di Corso Magenta. E la Soprintendenza milanese che prima aveva pure approvato il progetto relativo al Giardino dei Giusti, ora ha cambiato idea. E se è pur vero che solo gli stolti non cambiano mai idea, mi sembra legittimo porsi delle domande relativamente ai motivi che hanno portato a questo repentino mutamento di vedute.
Di fatto tutto nasce da un “Atto di indirizzo del Direttore Generale Archeologia Belle arti e Paesaggio del Ministero del 18.12.2018 prot. 33060-P” che immagino solleciti o imponga alla Soprintendenza milanese di avviare “il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale particolarmente importante” per il QT8. Dico “immagino” perché ho cercato sul sito del MIBAC il sopracitato Atto di indirizzo, ma alla faccia della Amministrazione Trasparente non ne ho trovato traccia. Che sia proprio perché è così trasparente, che non lo vedo sto benedetto atto?
Invece la comunicazione di avvio del procedimento la potete leggere qui, sul sito della Soprintendenza, se ne avete voglia. Se non ne avete, ve la riassumo in due parole. Vincolo Monumentale! Su tutto il quartiere. Roba che neanche nel centro storico. Pardon, ora si chiama NAF. Detto vincolo si applica normalmente a singoli edifici, a monumenti o a parchi storici. Ma non si è mai visto – almeno nella nostra città- applicato a un intero quartiere. In casi analoghi vige il vincolo paesaggistico. Che poteva funzionare tranquillamente anche per il QT8, che comunque è già tutelato dalle regole di trasformazione dei “Tessuti urbani della Città Giardino (art. 15.4 del Piano delle Regole del PGT vigente). Per capirci meglio, vi segnalo che anche il vincolo paesaggistico richiede un coinvolgimento, certo meno pressante, della Soprintendenza.
La situazione è singolare. O tragicomica. Giudicate voi. Un quartiere periferico si troverebbe ad avere un vincolo più restrittivo di quelli che insistono sul Centro Storico, per scelta non dell’amministrazione locale, votata dai cittadini, ma per un “guizzo” che ci piove dall’alto da parte di chi non è nemmeno stato eletto. Il vincolo prevede che tutte le trasformazioni, tranne alcune relative alle sole parti interne degli edifici privati (ma nemmeno su questo tutti gli edifici sono esenti) siano sottoposte al parere prescrittivo della Soprintendenza. Che oltre ad avere diritto di vita e di morte su questi progetti, si prenderà normalmente 120 giorni per decidere se possiamo, per esempio, spostare una finestra.
Ora a casa mia 120 giorni equivalgono a 4, dico 4, mesi. Per una pratica che di solito non richiederebbe neanche il famigerato silenzio assenso dopo 30 giorni. Riassumo per chi si è sintonizzato solo ora. Se devo spostare una finestra nella mia villetta o realizzare un ascensore per la nonna che non riesce più a salire per le strette scale realizzate negli anni 50, oggi presenterei una pratica in Comune e nel caso migliore inizierei i lavori il giorno dopo. Col vincolo invece dovrò prima acquisire il parere favorevole della Soprintendenza. Di fatto due pratiche al posto di una sola e tempi di attesa lunghissimi. L’unico aspetto positivo è che ci sarà più lavoro per noi architetti (le pratiche presso la Soprintendenza sono più complesse da preparare e quindi anche più costose e di solito i geometri su questo non ci fanno concorrenza) e quindi una parte di me si sta già fregando le mani. Ve lo avevo detto che ero in palese conflitto di interessi.
Di più. Se si congelasse oggi, tramite vincolo, il QT8, si arriverebbe al paradosso di impedirne il compimento secondo quanto previsto dall’ultima versione del progetto originario. Il testo del procedimento, riguardo agli obbiettivi del vincolo, recita proprio così: “allo scopo di preservare l’aspetto del quartiere cosi come costruito e/o previsto negli anni Cinquanta”. Quindi si è consapevoli dell’incompiuta, ma si blocca tutto lo stesso.
E qui mi viene da citare la questione del Mercato Comunale. Mi permetto quindi una tiratina d’orecchie anche alla giunta precedente, quella Pisapia, che ci ha regalato un Mercato Comunale dismesso con la promessa assai velleitaria di una sua riqualificazione mai attuata. Mi sa tanto che sarebbe stato meglio continuare ad avere un panettiere e un fruttivendolo reali piuttosto che un fantomatico mercato del chilometro zero. Oggi di zero c’è solo quello delle attività insediate. E domani col vincolo, chissà…
Ma torniamo al tema principale. Che non riguarda solo la vicenda del QT8. Ma più in generale la questione della “conservazione vs trasformazione”. Vale un po’ per tutte le città. È un tema complesso e difficile da liquidare in poche righe su un settimanale online.
Voglio però notare che se ci fosse stato un vincolo così per il Duomo nell’Ottocento, oggi si affaccerebbe sulla piazza omonima una bella, ma non certo iconica, facciata in mattoni.
Un vincolo analogo a quello previsto per il QT8 avrebbe permesso al Luca Beltrami di restaurare il Castello Sforzesco, con tutte le licenze poetiche che l’hanno reso riconoscibile in tutto il mondo?
Proviamo a guardare appena fuori dai nostri confini verso nord ovest e ci accorgeremo del vivace dibattito che si sta svolgendo sulle ceneri di Notre Dame a Parigi. Si sta ragionando sia di un restauro tradizionale (di un monumento comunque più volte rimaneggiato nei secoli), ma anche di ipotesi assolutamente innovative.
E noi siamo qui a ingessare (col rischio di condannare a morte lenta) un quartiere sì bello, ma anche fatto di alcune casette brutte e figlie di standard ormai superati. L’impianto urbanistico va tutelato. Gli edifici d’autore pure. Ma il resto può essere modificato e adeguato alle esigenze dell’abitare contemporaneo senza incorrere nel reato di lesa maestà. Non è che tutto ciò che è vecchio è automaticamente storico e degno di tutela.
Chiudo con un ultimo ragionamento.
Noi progettisti ci troviamo a esercitare la nostra professione in un ambito ormai delirante. Una professione compressa da un apparato normativo e burocratico affetto da un gigantismo tale da renderlo inconoscibile nella sua interezza.
Un’attività, la nostra, in cui la cultura e la capacità progettuale vengono costantemente mortificate da attori deputati al controllo, che sempre più spesso sono privi dei normali strumenti di decodifica del linguaggio con cui ci esprimiamo. E per di più è come se ci trovassimo a giocare in un campionato in cui gli avversari sono anche arbitri ed estensori delle regole. Non è accettabile.
La Soprintendenza, intesa come apparato istituzionale, deve scegliere. O gioca, seguendo le stesse regole cui noi comuni (e mortali) progettisti siamo sottoposti, o si prende le proprie responsabilità e si fa attore propositivo, delineando linee guida per le trasformazioni, redigendo progetti e masterplan ad hoc per ogni singolo caso, dimostrando di avere competenza e cultura progettuale. Non può continuare ad assumere un atteggiamento solo vincolistico e di fatto spesso anacronistico e illiberale. La retorica del “no” a priori non funziona più soprattutto nei confronti di città come Milano che necessitano di un controllore che sia interlocutore dialogante e non rigido e castrante oppositore.
A maggior ragione oggi che il MIBAC è gestito da un rappresentante di una parte politica che ha fatto (in maniera del tutto legittima, ma allo stesso tempo contestabile) del “no” una ormai logora bandiera. No alle Olimpiadi a Torino, no allo stadio a Roma, no alla TAV, etc…
Invece oggi a Milano abbiamo una amministrazione e uno strumento urbanistico che, a prescindere dai giudizi di merito su entrambi, agiscono, fanno, decidono, indirizzano e non sono impantanati in un immobilismo pauperista figlio di teorie di decrescita felice che neanche nelle cronache di Topolinia.
Pietro Cafiero
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