3 luglio 2018

PGT 2030. E SE FACESSIMO UNA SIMULAZIONE SUGLI EFFETTI?

Al via una discussione dal pensiero leggero tra omissioni e illusioni


Iniziamo subito con le buone notizie (poche, purtroppo): sì, nel progetto di revisione del PGT appena pubblicato, qualche piccolo miglioramento c’è. Vengono annullate alcune inutili ATU previste dal PGT vigente, si superano alcune previsioni del vecchio Piano Casa (ricordate le famose “Aree d’oro”?), c’è una migliore correlazione con le previsioni di mobilità (ancorché ancora imperfetta, vedi dopo), si inizia anche se molto timidamente a parlare dei grandi servizi (ovvero Grandi Funzioni) urbane; e altro ancora.

04anonimo_25Il limite maggiore appare però l’insufficiente riflessione sui limiti dell’attuale PGT; ma, se non se ne vedono i limiti, difficilmente ci si adopera per cambiarli. Ad esempio, il meccanismo perequativo, ha funzionato? Gli aridi dati quantitativi dicono di no (siamo su percentuali molto basse, con questo andazzo ci vorranno decenni per attuare le previsioni a verde), ma soprattutto non c’è nessuna informazione sul quesito principale: dove sono le aree a verde cedute? Sono utili? Sono ben disegnate? Sono fruibili? Nulla viene detto in proposito, eppure il Comune dovrebbe pur averle mappate.

Altra domanda: che fine hanno fatti i “raggi verdi”? Sembrava una buona idea, perché non ha funzionato? Perché adesso si parla solo di connessioni ecologiche? Ma le vere cose che non funzionano sono nelle cosiddette innovazioni normative.

Iniziamo da quella sul piccolo commercio in periferia. Già adesso i piccoli negozi non cubano (sono cioè stralciati dal computo della slp), solo se convenzionati. Peccato che nessuno lo faccia. Quindi, l’idea è: eliminiamo il convenzionamento (quella seccatura). Ma il vero problema dei piccoli negozi in periferia è la gestione (che soffre ovviamente la concorrenza della grande distribuzione), non il costo di costruzione. Detrarli dalle volumetrie senza intervenire contestualmente sui canoni finisce per essere solo un regalo ai costruttori (che infatti sono contenti, si può fare un piano in più), ma con esiti verosimilmente nulli sul piano del rilancio dei piccoli negozi.

Altro esempio, l’obbligo di recupero degli edifici degradati. C’è già nel Regolamento Edilizio (il famoso articolo 12), ma non funziona. E allora, in ottemperanza al noto bias cognitivo chiamato “effetto Concorde”, anziché tornare indietro, si fa come prima, ma “di più”: se la proprietà non recupera il manufatto degradato, si azzerano le volumetrie. Ma con che esito? Qui evidentemente non viene capito che se un operatore non interviene sul suo immobile, non è per “cattiva volontà” (se l’operazione stesse in piedi la si farebbe eccome), ma per altri motivi: problemi proprietari (fallimenti, ecc.), previsioni urbanistiche sbagliate (ci sono eccome!), complessità intrinseche di varia natura. Azzerando le volumetrie cosa si ottiene? Non certo l’intervento (è meglio perdere il valore d’area che investire nuove risorse), ma piuttosto il consolidamento del degrado (chi mai interverrà più?).

Si potrebbe continuare così su molti temi (ad esempio, perché non c’è un’analisi del disagio abitativo, quella che una volta si chiamava “domanda non solvibile”? Se non viene identificata nei sui vari segmenti e soprattutto quantificata, come valutare l’efficacia delle risposte, anche qui grosso modo nulla nell’attuale PGT?). Non parliamo poi di vere e proprie assurdità, come le dotazioni di standard per i cambi d’uso che non hanno correlazioni con le dotazioni richieste per le varie funzioni (ad esempio, perché mai insediare residenze al posto dei negozi dovrebbe incrementare la domanda dei servizi? È il solito uso strumentale degli standard come “punizione” per orientare i comportamenti, atteggiamento che si pensava superato). E perché mai poi le nuove edificazioni con l’indice base (0,35 mq/mq) non richiedono dotazioni di servizi e il cambio d’uso sopra i 250 mq sì? Se faccio un centro commerciale di 1.000 mq con lo 0,35 quindi non devo dare aree a servizi, se recupero un capannone per farne una biblioteca privata o un asilo nido privato di 300 mq invece sì, come mai? È incomprensibile.

Ma il vero buco nero della proposta di revisione del PGT è l’assenza di dati urbanistici attendibili. Si programmano circa 77.000 nuovi abitanti, sì, ma calcolati come? Sono compresi i cambi d’uso nelle aree di rigenerazione? Che parametri sono stati usati? (sembrerebbero i 50 mq/slp e i 30 mq/slp addetto, parametri del tutto superati, oggi sono molto più bassi).

Come mai nella VAS viene dichiarata una discrepanza rispetto al PUMS di circa 40.000 abitanti in più? (mica noccioline…) E gli spazi minimi per i servizi ci sono? Nulla ci viene detto in proposito, anche se il PGT consente (come oggi) anche la dismissione dei servizi e la loro conversione in slp per funzioni private (cosa che piace tanto agli Enti pubblici per far tornare i conti).

Per colmo della iattanza, si dichiara addirittura la “non sudditanza” al tecnicismo dei numeri dell’urbanistica. Questo però ricorda tanto quegli studenti somari che, a fronte di un’equazione di secondo grado che non riuscivano a risolvere, dichiaravano la loro “non sudditanza” nei confronti della “cultura borghese”, pretendendo il 6 politico. E, visto che i “numeri dell’urbanistica” in fondo non sono così difficili da calcolare, il dubbio viene: non è che i calcoli in realtà siano stati fatti, e non vengano pubblicati solo perché non tornano? Così ad occhio il dubbio sembra fondato.

Chi ha redatto la proposta di revisione di PGT, insomma, ci è o ci fa? Probabilmente un misto delle due cose.

Anonimo*

*anonimo perché mi è capitato purtroppo di notare che chi critica le politiche dell’amministrazione ma professionalmente opera in rapporto col Comune, finisce poi in un modo o nell’altro per averne un danno professionale (è questo forse il motivo per cui ufficialmente tutti parlano bene del PGT, ma in segreto, nei corridoi, dicono tutt’altro). Dispiace, perché sarebbe meglio non fosse così; d’altra parte, ci sono poche alternative.

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