31 maggio 2017

NAVIGLI: ANCORA PERCHÉ

Prezzi edonici e valore collettivo di un'opera pubblica


La gentile e accurata nota dei curatori del progetto “Riaprire i Navigli” (i professori Antonello Boatti e Marco Prusicki) mi obbliga, nel ringraziare, a una replica, ispirata ai principi di utilità pubblica su cui, mi pare, tutti si conviene.

03ucciero20FBUn’utilità non ristretta ai conti della serva, che pur indispensabili non possono esaurire il quadro di riferimento per valutare un’opera come quella di cui si discute. D’accordo sulla molteplicità dei fattori da considerare, e sul fatto che “non di solo pane vive l’uomo”.

Anche per il mio mestiere, mi troverei a disagio nella posizione di chi contrappone pagnotta a bellezza. Detto questo, non mi sento di dire che le argomentazioni dei curatori abbiano soddisfatto ansie e preoccupazioni. Seguendo l’indice finora utilizzato, provo a dire perché.

a) Quanto costa? – Non sono ingegnere, né tecnico esperto del tema e lascio volentieri ad altre voci di entrare nel merito del calcolo. Mi limito a segnalare che non c’è quasi opera di pari impegno, specie pubblica, che non abbia visto lievitare, e di molto, i costi inizialmente previsti.

Non è un appunto alla serietà scientifica dei progettisti, per carità, piuttosto un invito alla presa d’atto dell’evidenza storica e un suggerimento alla prudenza. In ogni caso, sempre di 406 milioni di euro parliamo, cosa che obbliga alla ponderazione attenta dei pro e dei contro.

b) Quale beneficio? Cui Prodest? – Che i navigli riaperti possano rendere la città più bella per tutti può essere vero, ma è ancora più vero che più bella sarà per chi vivrà nei pressi, e molto meno per chi ne disterà di qualche chilometro. Facciamo una bella indagine e vedremo chi si gode i bei giardini di Porta Venezia: la gran parte dei visitatori saranno cittadini delle vicinanze e non certo della Barona o del Gratosoglio, a cui toccano in sorte aree verdi assai più disadorne. Bellezza e fruibilità non sono la stessa cosa.

Ma poi, sarà davvero così? Ne saranno davvero felici i residenti? L’esperienza della Darsena non ci sta dicendo nulla sugli effetti critici generati dallo smodato flusso di visitatori sulla bellezza dei luoghi e sulla qualità della vita, a danno proprio dei residenti? E quali effetti prevedibili su mobilità e vivibilità personali, che non coincidono con la contemplazione del bello dal balcone di casa.

A parte questo, la quantificazione economica dei benefici si concentra per i progettisti su due principali fattori: rendita immobiliare e redditi d’impresa. Ebbene dei 994,8 milioni totali di attesi benefici materiali, ben 826,8 deriverebbero dai prezzi “edonici” degli immobili siti lungo le sponde e/o nelle vicinanze. E sarà pur vero che il maggior prezzo è indice di un incremento di valore di area, e quindi indicatore di un “valore collettivo”, ma è soprattutto vero che i benefici derivante dalla valorizzazione immobiliare vanno a chi oggi ne possiede una concreta porzione.

Investimenti pubblici, utili privati: se non è l’obiettivo del progetto, ne sarà l’effetto.

Quanto ai 168 milioni derivanti da nuovi redditi, un qualche forte dubbio sorge, specie considerando la dimensione degli spazi fisici in questione: ad eccezione di via Melchiorre Gioia, si tratta di spazi larghi al massimo 15 o 20 metri, che, tolti argini e rampe d’accesso, verde. marciapiedi e piste ciclabili, lascerebbero poca o nulla agibilità a servizi che non siano i “baracchini” dello street food. E del resto, sempre escludendo Melchiorre Gioia, le zone dove passerebbero i navigli così riaperti sono tra le più pregiate di Milano e siamo certi che i proprietari vedrebbero con piacere l’apertura di esercizi di ristorazione al piano terra di palazzi esclusivi (pensiamo al tratto San Fatebenefratelli, Senato, etc.) con annessi rigurgiti da movida?

c) Quali controindicazioni? – Il problema dell’impatto va considerato su mobilità, vivibilità dei luoghi durante e dopo i lavori, e trasformazione del carattere storico culturale assunto dai luoghi negli ultimi cento anni.

Anche qui, sarebbe opportuna una valutazione articolata per singolo contesto: altra cosa Melchiorre Gioia, altra piazza San Marco, osservando di sfuggita che la valorizzazione di quest’ultima potrebbe passare attraverso operazioni, assai meno costose, di riprogettazione degli spazi e dell’arredo urbano: non sarebbe forse preferibile, ad esempio, un Concorso di Idee che ne ridisegni funzioni e carattere, espellendo distributori e parcheggi che la occupano per metà? Riqualificare così San Marco si può, anche senza riaprire il Naviglio sottostante, e con un rapporto prezzo – utilità assolutamente più favorevole. Diverso per Melchiorre Gioia, dove semmai il problema sarebbe l’impatto sulla mobilità, considerando la sua funzione di arteria regolatrice del traffico da e verso il nord Milano.

d) Chi paga? – Alla “madre di tutte le domande” lo studio, pudìco, non risponde, rimandando a un testo regionale che indica un coacervo di possibili pagatori così ampio da farci concludere che non se ne ha alcuna idea: nessuno dice chi paga (anche se tutti immaginano). Eppure, basterebbe un caffè al giorno a persona!

Facciamo sommessamente notare che, così “risparmiando” una famiglia di 4 persone subirebbe il bell’esborso di 120 euro/mese per un anno: 1.440 euro. Chi andrebbe a spiegarlo ai cittadini milanesi meno abbienti? E quanto agli altri, siamo così sicuri di una buona accoglienza? Inevitabilmente, toccherà al Pantalone pubblico di pagare il conto.

e) È la priorità per Milano? – Questo è il tallone d’Achille del progetto, e i progettisti che ne sono consapevoli, mettono le mani avanti, affermando che “nessuno pensa che la riapertura dei navigli debba sottrarre finanziamenti al restauro e al rilancio delle aree periferiche e dei quartieri popolari e al risanamento degli edifici degradati”.

Certo nessuno lo pensa, ma, vivendo in un mondo di risorse finite, questo sarà sicuramente l’effetto: i danari spesi per riaprire i navigli non potranno essere utilizzati per risanare la fatiscente edilizia pubblica delle periferie.

E neppure, per realizzare altre primarie opere di riqualificazione urbanistica tra cui gli stessi ex scali ferroviari: non basta allora segnalare la valenza del tratto Melchiorre Gioia come un “risarcimento in termini di valori urbani propri o per una delle periferie più problematiche di Milano”, per compensare la nuova ed ennesima perdita di centralità politico amministrativa subìta dalle periferie.

Replicare era un obbligo, ma spero vivamente che ora la discussione si allarghi ad altre voci milanesi e metropolitane, tecniche e politiche, pubbliche e private, culturali ed economiche, favorendo, con la ricchezza delle posizioni e dei ragionamenti, quella maggior consapevolezza pubblica, fondamento obbligato per scelte che impegneranno il futuro della città per numerose generazioni.

Giuseppe Ucciero



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