12 aprile 2017

CITTÀ STUDI ED EXPO: DUE DOMANDE ALL’ASSESSORE MARAN

Interessi “di bottega”, logica e buon senso per i cittadini di Milano


Esiste un’ampia letteratura sugli effetti spesso distorsivi o addirittura controproducenti che incentivi sbagliati possono avere sul “pubblico benessere”. È quanto, a mio avviso, rischia di accadere con l’annunciato trasferimento delle facoltà scientifiche della Statale in Città Studi, e che di sicuro sta accadendo nel dibattito su questo tema.

04notarangelo14FBLeggendo alcuni degli interventi delle ultime settimane, anche qui su ArcipelagoMilano, si ha l’impressione che si fronteggino due schieramenti: da una parte chi vuole il trasferimento perché in tal modo l’Università può dotarsi delle strumentazioni che le consentono di risalire nelle classifiche degli Atenei migliori e tornare ad essere un centro di eccellenza mondiale nella ricerca e nell’insegnamento; dall’altro, gruppi di cittadini residenti – quorum ego [dei quali io] – che difendono i loro interessi, legittimi ma in fin dei conti pur sempre “di bottega”, e che si oppongono al trasferimento perché temono il salto nel buio, il deprezzamento del valore degli immobili, il degrado di un bel quartiere.

Da questa lettura delle cose sembra discendere naturale l’impostazione che al problema sta dando la Giunta comunale, incarnata, nell’assordante silenzio del Sindaco Sala, dall’Assessore Maran: accompagnare il trasferimento della facoltà in Expo ad azioni concrete che preservino vocazione e vitalità del quartiere di Città Studi.

Ed in questo senso si colloca la decisione comunale di affidare al Politecnico la stesura di un piano «Citta Studi 2.0» che vedrà protagonista il professor Balducci, già assessore all’Urbanistica del Comune. A parte una compresenza di multipli interessi nelle medesime vicende, tale da fare invidia a una tragedia greca, sotto il profilo del metodo sembrerebbe tutto lineare e giusto.

E invece non lo è. C’è un vizio logico di partenza – il bottone accoppiato con l’asola sbagliata di cui ho già scritto qui. Logica e buonsenso vorrebbero che si partisse infatti dall’analisi dei costi e delle modalità di realizzazione dell’ammodernamento delle facoltà scientifiche laddove già si trovano, ovvero in Città Studi.

E casomai comparare questa possibilità con l’ipotesi Expo, non dimenticando, in qualità di decisori pubblici, che alla stima del costo del soggetto Università Statale vanno sommati i costi e benefici esterni e sociali. Non esiste, né in linea di principio né fattualmente, la contrapposizione tra “ammodernamento in Expo” o “letargo in Città Studi”.

Sussiste solo perché al trasferimento in Expo viene dato un incentivo improprio che, detto con generosità, si traduce probabilmente in una errata allocazione delle risorse e in un risultato non ottimale. Come direbbe la casalinga di Voghera, se scoppiano i tubi in una casa, la famiglia che vi abita da proprietaria prima verifica quanto costa mettere le cose a posto, e poi, casomai, quanto costa un altro appartamento. Ma le cose cambiano se qualcuno l’altro appartamento glielo sovvenziona – nel nostro caso con fondi pubblici.

Per questo la prima cosa da fare e che si sarebbe fatta a Londra, Parigi e in ogni città europea ad ovest di Minsk , è verificare l’adeguamento nell’area Città Studi. Ma questo rimane nel limbo: oggetto di facili slogan, di giudizi liquidatori e non di una analisi seria, fatta con indipendenza e onestà intellettuale, che è quella da cui si dovrebbe partire.

Assumiamo per un attimo che abbia ragione il Rettore Vago quando, nel 2016, a proposito dell’alternativa di realizzare in Città Studi ciò che va realizzato, dichiarava su Il Fatto Quotidiano del 19 luglio 2016: «Avremmo costi di circa 1.500 euro al metro quadro. L’investimento complessivo sarebbe analogo a quello necessario per il trasferimento sulle aree Expo».

Ebbene, se ciò fosse vero, se costi e risultati per la Statale fossero analoghi nelle due ipotesi, certamente il perseguimento del bene pubblico imporrebbe che si rimanga in Città Studi – perché al costo sopportato dalla Statale occorre, in una decisione effettuata da soggetti pubblici, sommare il costo per la cittadinanza, che certamente farebbe propendere per rimanere dove si è.

Sorprende dunque che il Comune di Milano, la Regione, lo Stato non solo abdichino al proprio ruolo di decisori pubblici, ma anzi, attraverso gli incentivi di cui parlavo generino effetti distorsivi sulle decisioni, a danno del pubblico interesse.

In questa situazione, durante la seconda seduta congiunta delle commissioni consiliari Urbanistica e Ambiente-Mobilità dedicata a Città Studi, da più voci, anche della maggioranza, si sono levate due richieste all’assessore Maran:

1- che lo studio commissionato al Politecnico sul futuro di Città Studi non parta da una soluzione predeterminata, ovvero il trasferimento delle facoltà ad Expo, per cercare un panglossiano “rimedio di second best” (come lo definirebbero gli studiosi, anche della Statale), ma che invece esamini anche, seriamente e nel dovuto dettaglio, l’ipotesi alternativa e, logicamente, naturale: ovvero di fattibilità, costi e tempi dell’ammodernamento in loco;

2- che nel frattempo, in attesa dei risultati e delle conseguenti decisioni, il Comune si faccia garante di una moratoria con tutti i soggetti coinvolti, tesa a non precostituire un fatto compiuto.

Entrambe sono richieste corrette sul piano del metodo e sarebbe doveroso per il Comune farle proprie, assicurando una analisi e uno studio indipendente ed autorevole e così dimostrando di avere a cuore il bene pubblico sopra ogni cosa.

L’Assessore Maran, pur dichiarando che la Statale dovrà convincere il Comune della bontà delle sue scelte, non ha risposto con chiarezza alle due domande sopra poste. Nel frattempo l’Università è andata dritta per la sua strada, votando per il “sì”. Cosa farà a questo punto il Comune? Farà proprie le domande di metodo emerse in sala consiliare? Io ne dubito.

Perché qualora, rispetto alla scelta del trasferimento, emergano nettamente le oggettive criticità che io e molti altri vedono (tra queste la necessità di destinare ad uso remunerativo le aree di proprietà della Statale, ovvero il 60% del totale, snaturando il quartiere; e la necessità di dover comunque investire, e non poco, in Città Studi, per mettere a posto i famosi “edifici fatiscenti”, se devono ospitare altre strutture universitarie; e via di questo passo) resterebbe il tema delle risorse allocate in modo sbagliato, dell’asola male accoppiata col bottone.

Risorse pubbliche, diciamocelo con franchezza, messe a disposizione non «per rimodernare la Statale», ma “per Expo”. Questo è un tema squisitamente politico dal quale, a mio avviso, purtroppo non si uscirà: perché è chiaro che per i soggetti pubblici coinvolti le risorse devono finire proprio in Expo, per coprire il buco, e la Statale rimodernata è solo uno strumento, non il fine. Ma spero di sbagliarmi.

Spero almeno che di fronte alle due domande di metodo sopra esposte l’Assessore Maran risponda con chiarezza e senza giri di parole. Glielo chiedo – e così, credo, molti cittadini come me – dalle pagine 2.0 di ArcipelagoMilano.

Bernardo Notarangelo

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