12 aprile 2016

PIANO STRATEGICO PER LA CITTÀ METROPOLITANA: QUALI SCELTE?


Sono consapevole che un Piano Strategico non è un piano territoriale, ma devo dire che la sua lettura mi ha lasciato molto perplesso, con una sensazione di straniamento. L’impatto viene già dalla prima pagina: nell’introduzione di Pisapia, Sindaco metropolitano, l’“area metropolitana” viene definita come un “amalgama complesso”. Questa definizione mi sorprende molto, perché, per la mia esperienza, costituisce invece un “sistema” con una sua ben definita “struttura”.

04goggi13fbÈ un sistema d’insediamenti, di reti che li sostengono, di attività localizzate in punti ben precisi del binomio reti/insediamenti, di cittadini che popolano i nodi del sistema e fruiscono di un mercato del lavoro su questi articolato. Un sistema talmente strutturato che i rapporti di massa e distanza tra gli insediamenti urbani si possono indagare con le leggi di Newton. Per non parlare delle reti d’infrastrutture e dei relativi flussi. L’amalgama, invece, è quanto di più informe e meno strutturato che esista.

Potrebbe essere un puro lapsus lessicale, ma il timore è che sottenda una visione ben precisa; timore confermato dall’enunciazione delle sei strategie previste per la Città Metropolitana. Questa, infatti, dovrà essere: agile e performante, creativa e inventiva, attrattiva e aperta al mondo, intelligente e sostenibile, veloce e integrata, coesa e cooperante. Sembra il profilo per l’assunzione di un’addetta alle pubbliche relazioni.

Sono parole d’ordine sicuramente conformi alle attuali tendenze culturali, ma mi sarei aspettato, per esempio, qualche strategia su:

* l’equilibrio degli insediamenti nella metropoli e l’integrazione degli insediamenti minori nel sistema;
* la nuova politica del lavoro e la necessità di dare nuovo impulso alla produzione manifatturiera, dopo tanto terziario;
* l’allargamento del mercato del lavoro a più ampie fasce di cittadini, per mezzo dell’estensione dell’accessibilità urbana;
* le evoluzioni delle reti di trasporto al fine di conseguire quest’estensione dell’accessibilità urbana;
* una nuova attenzione al problema della casa, fattosi di nuovo drammatico ma da tutti confinato a strumenti palliativi;
* una strategia per il paesaggio, che non voglia dire solo verde.

Almeno in forma di enunciato, avrei voluto sapere se la Città Metropolitana si occuperà di dove collocare i grandi servizi di livello metropolitano, dove collocare i nuovi luoghi di lavoro, come concentrare sui nodi della rete le attività rilevanti. Insomma, se si occuperà di dare una forma al sistema.

Speravo che il tono cambiasse nel momento in cui il Piano si sarebbe occupato in concreto degli interventi previsti, ma così non è stato. Si dichiara di voler rinunciare a un approccio pianificatorio “forte e dall’alto” e a una “politica degli interventi invasiva”, per privilegiare un “approccio abilitante” e “rimuovere i fattori inibitori dello sviluppo”.

Ma una cosa è rinunciare a una imposizione dall’alto e ben altra cosa è rinunciare a una visione dall’alto.  In questo modo ci si rassegna a un approccio manutentivo. E in effetti, leggendo queste pagine, sembra che nella Città Metropolitana – grosso modo – tutto quello che deve esserci già ci sia, che tutto vada passabilmente bene, che sia solo opportuno qualche perfezionamento.

Nella parte economica ci si impegna a sostenere la sharing economy, il coworking, il fab-lab maker space, e accompagnare le start-up: ovvero tutto quello che già avviene da solo. Nella parte infrastrutturale si propone semplicemente l’“integrazione delle infrastrutture” (ma quali? come?). Nella parte urbanistica si vuole perseguire la “rigenerazione urbana”. Basta pensare al problema della casa, alle aree ferroviarie, alle trasformazioni delle sedi universitarie e ospedaliere, per capire che ci sono scelte che vanno ben oltre la mera rigenerazione.

È sintomatico, poi, che si parli di rigenerazione urbana, ma non di “costruzione della città metropolitana”. Per i trasporti pubblici si tratta di “potenziamento dell’offerta”, di “riorganizzazione” e “riqualificazione delle linee”, come se qualsiasi nuovo intervento fosse pleonastico. Si vuole realizzare l’integrazione tariffaria, invero importantissimo obiettivo, ma si sa che il problema non è l’integrazione ma la disponibilità e la continuità di risorse per garantirla. Risorse su cui non c’è nemmeno un accenno di strategia.

Il tutto sembra essere sviluppato con un’“ottica monoculare” priva della necessaria profondità prospettica. Nulla si dice dei grandi problemi di assetto della Città Metropolitana, che esistono e che, con l’evoluzione nel tempo, sempre si presenteranno. Le città mutano anche senza il nostro consenso e, se non sappiamo prevedere e reagire nel modo giusto, decadono. (Tralasciamo i problemi di inadeguatezza della dimensione e dei confini della Città Metropolitana come definita dalla legge, ma una più vasta area intorno a Milano dovrà comunque essere costruita su una ben precisa struttura portante …).

Trovo che questa visione monoculare derivi dall’aver voluto adottare un “approccio dal basso”, tanto vantato come innovativo, ma che in realtà sembra incapace di valutare la configurazione generale del sistema. Il tutto peggiorato dall’inopportuna e troppo tempestiva frammentazione in Zone Omogenee. Dei molti esempi che si potrebbero fare, ne cito tre a caso:

* nelle Zone si riscontra la perdurante e nuova disponibilità di aree dismesse, senza andare oltre l’enunciazione, ma al livello “zonale” il problema non è facilmente risolvibile, perché lo si può affrontare bene solo con un approccio macro;

* si parla di “infrastrutture blu” e di ambiente, ma nemmeno una parola sul progetto di riapertura dei Navigli, che non è solo milanese ma riguarda tutta le rete canalizia metropolitana e regionale ed è foriero di una macroscopica riqualificazione del paesaggio;

* una cartina di tornasole per valutare la presa della pianificazione sui problemi reali, è la logistica. Se esiste un aspetto in cui la Città Metropolitana è carente, anche rispetto alle altre aree urbane, è proprio la struttura della logistica, per mancanza e inadeguatezza di interventi pubblici e proliferazione di piccoli poli privati. Anche su questo tema nemmeno una parola.

È evidente che, con queste premesse, la Città Metropolitana non darà fastidio a nessuno. Viene il sospetto che la si voglia confinare a un ruolo subordinato. Sono consapevole dei passati conflitti tra Comune capoluogo e Provincia, cui si è voluto rimediare con la legge 56, ma almeno erano conflitti su problemi e politiche concreti, che il più delle volte trovavano soluzione nel confronto. E, per il bene dei cittadini, questo conflitto è sicuramente meglio dell’irrilevanza. Il mio personale timore è che, in 221 pagine, la Città metropolitana si sia chiamata fuori dalle grandi scelte.

 

Giorgio Goggi

 



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