9 marzo 2016

la posta dei lettori_09.03.2016


Scrive Pietro Vismara sugli esiti delle primarie – Il ragionamento di Giuseppe Ucciero, sicuramente apprezzabile nella sua articolazione, pecca a mio parere di alcune false premesse. La prima: che il centrosinistra milanese si identifichi con le forze (PD-SEL) che hanno organizzato le primarie. La seconda: che chi non ha partecipato alle primarie si sia “tenuto in disparte”.

Sul primo punto, ricordo che a Milano storicamente il Pci (nelle sue articolazioni di “sinistra” e di “destra”, i Quercioli, i Borghini…) non è mai stato egemone; è sempre stata più importante la sinistra che potremmo chiamare (semplificando un po’) socialista e libertaria (anche qui con varie declinazioni), scomparsa nelle sue componenti più governative con Mani Pulite e in parte confluita nel centrodestra, ma culturalmente ancora importante (soprattutto nel ceto professionale e imprenditoriale innovativo). Ora, il PD, che in qualche modo ha proseguito nella linea dell’incontro fra ex comunisti riformisti e cattolici progressisti, a questa sinistra libertaria – diciamolo – non ha mai scaldato molto i cuori.

Sul secondo punto, ricordo che dalle primarie sono stati esclusi (ripeto: esclusi, e non “tenutosi in disparte”) non solo gli ipotetici “estremisti” (Rifondazione, ecc.), ma anche i socialisti, i radicali, gli ambientalisti, che tanto estremisti non sono. È stata fatta insomma una scelta politica, nel presupposto (sbagliato) che il centrodestra fosse a pezzi, e che fosse giunta l’ora di conquistare il ceto moderato, liberandosi di tutti quei fastidiosi non-allineati. Da qui la supponenza di tanti pronti a liberarsi del miracolo-Pisapia (anche da parte di chi, senza quel miracolo, a posti amministrativi di potere non sarebbe mai arrivato…). Ricomporre i cocci non sarà facile.

Replica Giuseppe Ucciero – L’amico Vismara mette in discussione il primo “fatto” e cioè che Giuseppe Sala, pur eletto con primarie, non sia il candidato dell’intero centrosinistra. La questione ha una sua sostanza, ma alla fine in termini politici è più nominalistica che effettiva. Il fatto è che le nostre primarie sono sempre “primarie di coalizione”, circostanza che sta scritta nella nostra storia. Il nostro non è un sistema bipartitico ma pluripartico, cosa che comporta almeno due fenomeni: il primo è che le primarie di coalizione presuppongono un preliminare accordo di coalizione, e secondariamente che l’accordo non soddisfi questo o quel soggetto.

L’effetto finale genera un parziale esproprio del cittadino elettore dal suo ruolo, posto che viene chiamato solo quando un accordo c’è stato e da chi quell’accordo ha sottoscritto. Di qui il tentativo di Pisapia di fissare un quadro di principi fortemente inclusivo,a costo di non dire quasi nulla. Detto questo, è anche vero che sull’accordo si sono scaricate dinamiche politiche di diverso segno che intrecciandosi hanno portato a esclusioni e autoesclusioni. Da un lato, alcuni escludevano in linea di principio di partecipare a primarie dove si fosse presentato il candidato Sala, dall’altra parte è vero non sono mancate arroganze e mancati riconoscimenti.

Tutto questo brevemente considerato, non si può alla fine negare che Giuseppe Sala sia stato candidato da primarie cui hanno partecipato oltre 60.000 elettori del centrosinistra, e che solo lui possa credibilmente competere per il successo, di qui quella mia semplificazione su cui Vismara svolge alcuni ragionamenti utili, ma alla fine non sostanziali.

Né si vedono all’orizzonte nuove primarie alternative, capaci di fornire altrettanta legittimazione ad altro candidato: Curzio Maltese fa sapere di essere disponibile, d’accordo, ma quanti cittadini l’hanno candidato e come? Ben vengano allora pur legittime candidature di sinistra – sinistra, ma con tutto il rispetto per il rimpianto (poteva andare diversamente) e il fastidio per le arroganze altrui, non sostenere Sala somiglia tanto alla storiella del marito che per fare dispetto alla moglie …. .

 

Scrive Annalisa Ferrari a proposito frizioni post primarie – Non capisco perché gli ex assessori D’Alfonso e De Cesaris non perdano occasione per attaccare la Balzani, Monguzzi o Fedreghini. Sembra quasi che siano quelli i loro avversari, e non il centrodestra. Non hanno ancora capito che la situazione politica è cambiata? E perché Sala, che dovrebbe essere il candidato di tutti non li richiama un po’ all’ordine?

 

Scrive Sergio Brenna a proposito di Lambrate e scali FS – È molto interessante l’articolo di Gabriele Mariani sulle ricadute “al di qua della ferrovia” delle trasformazioni edificatorie di aree che mi pare siano invece quelle “al di là della ferrovia”. Faccio solo rilevare un dato: con le quantità edificatorie indicate da Mariani sulla base delle previsioni comunali l’indice di edificabilità territoriale è quello consueto sinora previsto dall’attuale Amministrazione nelle grandi trasformazioni urbane (ex scali, ex caserme, ecc.) di 0,67 mq/mq. Con quell’indice e se si vogliono ottenere densità fondiarie ragionevoli (cioè non superiori a 3-4 mc/mq e non edificazioni molto alte e raddensate come a Citylife, Porta Nuova, ecc.) si possono ottenere solo gli spazi a verde e servizi di quartiere (18-26,5 mq/abitante, a seconda che si voglia assecondare o no la “deriva” formigonian-maroniana che assegna alla Lombardia e a Milano spazi pubblici molto inferiori a quelli minimi di Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia, Lazio, ecc.), ma non i 15 mq/abitante di parchi territoriali e i 2,5 mq/abitante di servizi pubblici sovralocali.

Può anche essere una scelta in parte comprensibile e ragionevole quella di far “monetizzare” gli oneri di questi spazi purché ciò avvenga a prezzi equi (cioè paragonabili a quelli di mercato e non pagando al Comune 300 €/mq per tenersi edificabili aree pagate alla proprietà 2.000 €/mq, come a Citylife e Porta Nuova) e che le risorse vengano poi vincolate ad acquisire aree con quella destinazione dove ritenuto pubblicamente più opportuno (Parco Sud, ecc.) e non disperse nei rivoli delle spese correnti del bilancio comunale. Altrimenti se si vogliono realizzare in zona anche quei 17,5 mq/abitante di verde e servizi territoriali e generali l’edificabilità deve scendere a 0,45-0,47 mq/mq.

Vi è però almeno un’area su cui quel ragionamento merita qualche ulteriore riflessione ed è quella dell’ex scalo ferroviario: pur ammesso che non sia più funzionale al traffico merci, ha senso che venga reso edificabile per altre funzioni private in posizione così a ridosso della ferrovia? Si dirà che verranno esclusi gli usi residenziali e previsti solo quelli terziari, favoriti dall’accessibilità ferroviaria diretta: è quanto accaduto a Roma con la stazione Tiburtina e attigua nuova mega sede della BNL-Paribas, con esiti assai discutibili.

Eppure non riesco a togliermi il dubbio che anziché da fondati motivi localizzativi e di disegno urbano quella scelta dipenda piuttosto dalla volontà di non complicare la conclusione dell’Accordo con FS sul riuso degli ex scali maggiori (Romana, Farini) introducendo meccanismi di “perequazione” con le altre proprietà in zona, al fine di preservare l’uso pubblico (a verde di barriera o a nuovi servizi di stazione) di quell’area. Forse sarebbe bene interpellare i candidati sindaci sui programmi che hanno al riguardo

 

Scrive Vito Antonio Ayroldi a proposito dei bilanci Expo – Effettivamente le questioni di bilancio sono complicate e per questo occorre fare molta attenzione. Ora, se la questione è dare un giudizio su l’AD di Expo s.p.a. è forse necessario, per ragioni di chiarezza, premettere che è ArExpo s.p.a. la società proprietaria del sito, e l’ha concesso in diritto di superficie temporanea per la sola durata del’evento a Expo s.p.a. – la cosidetta nuda “piastra” come identificata nel pezzo – riconoscendo a Expo s.p.a € 75 mln IVA esclusa “a titolo di rimborso quale aumento di valore delle aree a seguito della complessiva urbanizzazione del sito”. Temo che giudicare il factotum Sala semplicemente tramite l’operato da A.D. di Expo per poi trarne una qualsiasi opinione sul segno da dare all’intera operazione Expo senza un sguardo complessivo al costo dell’operazione, che la Corte dei Conti stima in circa 4,2 mld € di soldi pubblici potrebbe risultare inutile se non fuorviante per i cittadini milanesi.

Ricordo che Expo a Milano avrebbe dovuto trainare il PIL italiano. Scopriamo ora che è Cassa Depositi e Prestiti con le risicate pensioncine dei vecchietti, che deve trascinare Milano e questo fa molta, molta tenerezza. In un precedente pezzo mesi orsono lo stesso Direttore aveva ben descritto l’origine dell’operazione Expo che si origina diverso tempo prima con la migrazione della Fiera dal Portello per gli immancabili interessi immobiliari, a Milano come altrove. La speculazione edilizia è da sempre il fil rouge che dall’unità d’Italia occorre seguire per comprendere le dinamiche economiche e finanziarie del paese. E qui il passato si ricongiunge al futuro perché quella del Technopole è l’ennesima puntata del solito ballo del mattone. Un ballo piccino picciò, si danza su risicati 30.000 mq su circa 1 mln. In compenso la fuffa che Milano riesce a generarci è sopra di dimensioni come al solito esponenziali. Milano, sempre pronta al Natale ….

Scrive Gianluca Bozzia a proposito dei comuni italiani – Complimenti a Serena Righini per il pezzo! Il tema è così importante da essere innominabile, se non come tormentone, un po’ come il debito, la corruzione e le mafie. Quale che sia la storia, l’estensione, la varietà di persone e la tipologia di insediamenti di un territorio, è sensato avere unità politiche e amministrative inferiori alle 10/15.000 persone?

Abolire ex lege i 5579 comuni sotto i 5.000 abitanti costa molto elettoralmente e come gestione delle risorse umane, ma non è che siccome una cosa concettualmente facile è impopolare, allora la facciamo diventare difficile e ne dibattiamo in eterno.

Grazie per l’articolo coraggioso, davvero, che mi suscita più sconforto che altro: cinque anni di Pisapia e due di Legge Delrio e non abbiamo ancora una situazione accettabile con le zone e i municipi milanesi, al momento del voto di giugno. Ma perché non facciamo un progetto di cooperazione nord sud e ogni cantone svizzero adotta una zona italiana per rimetterla a posto, con poteri illimitati per cinque anni!?!

 

Scrive Ferdinando Mandara a proposito di costi e smog – L’articolo di Marco Ponti e Francesco Ramella espone delle tesi a mio avviso piuttosto originali. Non c’è dubbio che il potenziamento del trasporto pubblico non è da solo la soluzione radicale al problema dello smog e che sia opportuno incentivare il rinnovamento del parco veicoli obsoleti, oltre che aggredire le altre cause di inquinamento (riscaldamento e industrie). Anche se – da incompetente – mi sembra che vengano prese in considerazione solo alcune tipologie di emissioni: non si citano ad esempio le emissioni dovute alle frenate (consumo dei dischi), tutt’altro che trascurabili. Come pure si potrebbe tener conto del fatto che riduzione del traffico significa statisticamente anche riduzione degli incidenti: anche se non è una questione di inquinamento, compromette la salute di chi vi è coinvolto. E lasciamo perdere i vantaggi delle aree pedonali, impensabili senza adeguato trasporto pubblico, in termini di vivibilità della città.

Ma quella che trovo originale è la tesi che i costi del potenziamento dovrebbero – per equità -essere soprattutto a carico degli utenti del trasporto pubblico. Da individuare come: identificandoli dalle timbrature o dal fatto di non possedere un’auto? A parte il fatto che è discutibile che chi usa l’auto non abbia vantaggi dallo sviluppo del trasporto pubblico, dal momento che snellisce il traffico. Ma soprattutto se si adottasse tale criterio perché non applicarlo anche in altri casi? Facendo pagare di più la sanità a chi è più cagionevole di salute, non facendo pagare l’istruzione a chi non ha figli che vanno a scuola e via esemplificando.

 

Scrive Augusto Mercandino a proposto della Battaglia di Milano – In epoca preistorica, correva l’anno 1970, si faceva anche allora un gran parlare di programmi, senza concludere un gran che. A Milano il Partito Repubblicano, che si presentava alle elezioni comunali, dopo diversi turni di digiuno, ebbe l’idea di presentare un programma articolato e circostanziato promosso da Antonio Del Pennino e coordinato da Nello Finocchiaro, al quale mi affiancai in veste di redattore. Certamente il PRI era allora sulla cresta dell’onda ed ebbe grandi risultati in tutta Italia, ma a Milano conquistammo ben quattro consiglieri, un risultato certamente superiore ad ogni aspettative e io voglio illudermi che la redazione e la diffusione di un programma serio e meditato ebbe la sua importanza.

Certamente anche oggi un’operazione simile potrebbe avere successo, ma sarebbe necessario avere un gruppo forte, determinato e cosa temo oggi molto difficile in buona fede. Volevo aggiungere che forse sono illusioni di un vecchio, che ripensa allo propria gioventù, ma rileggendo le conclusioni, essendo nonno di nome e di fatto, mi piacerebbe arruolarmi alla sua alleanza tra nonni e nipoti.

 

 

 

 

 

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema


13 novembre 2018

la posta dei lettori_14.11.2018

AA. VV.



6 novembre 2018

la posta dei lettori_07.11.2018

AA. VV.



10 luglio 2018

la posta dei lettori_11.07.2018

AA. VV.



3 luglio 2018

la posta dei lettori_03.07.2018

AA. VV.



26 giugno 2018

la posta dei lettori_27.06.2018

AA. VV.



19 giugno 2018

posta dei lettori_19.06.2018

AA. VV.


Ultimi commenti