18 marzo 2015

DALLA LEGGE DELRIO ALLA LEGGENDA METROPOLITANA


A quasi un anno dall’entrata in vigore della legge sulle “città metropolitane, province, unioni e fusioni dei comuni” (7 aprile 2014) si possono tirare le prime somme. Intanto bisogna riconoscere che l’iter attuativo si è avviato senza intoppi e ritardi (con Delrio nessun rinvio!) e dunque oggi appare ben riconoscibile “sul terreno” il riassetto istituzionale ivi originato. Sul cui conto si pone tuttavia una prima domanda: è stato il frutto di una scelta voluta e pensata, di una “paternità responsabile” oppure il risultato delle circostanze, dello stato di necessità venutosi a creare con l’imprevisto choc delle elezioni politiche 2013?

08ballabio11FBSi dovrebbe propendere per la seconda ipotesi, posto che il Governo Letta il 5 luglio 2013 approvava un disegno di legge costituzionale (n. 1543) teso a sopprimere tanto le Province che le Città Metropolitane. Queste ultime vengono derubricate a “ente di governo delle aree metropolitane” ma perdono il rango riservato a Comuni e Regioni, enti autonomi costitutivi la Repubblica. Le Province invece letteralmente scompaiono dal testo costituzionale ma il problema è che la maggior parte, comprese quelle inventate di sana pianta nel ventennio precedente, verrebbero a scadenza di mandato e dunque al rinnovo elettorale nella primavera 2014. Fatti i conti, mancano giusto i fatidici nove mesi! Pochi per completare la complessa procedura di revisione costituzionale.

Intanto imperversano aspre campagne d’opinione avverso la “casta” e i “costi” di una politica ampiamente degenerata e invisa. Necessario dunque ricorrere alla legge ordinaria, un frettoloso “matrimonio riparatore” per evitare un prevedibile catastrofico impatto elettorale. Ecco dunque apparire il ministro Delrio che il 1° luglio 2013 proprio a Milano annuncia il proprio disegno di legge e promette tempi certi. C’è da credergli! Infatti lo stesso viene approvato dalla Camera alla vigilia di Natale 2013 e dal Senato nell’imminenza di Pasqua 2014. Appena in tempo!

Naturalmente, cambiato il Governo, la cosa viene iscritta tra le “riforme” fatte, in attesa di quelle fattibili che avremmo visto in seguito e ancora vediamo. Ma quale ne è la cifra ispiratrice? Similmente al destino del Senato pare quella di “abolire ma non troppo”, attutire ma non risolvere, sopire senza troncare. Nel senso comune è un “fare le cose a metà” o quantomeno rimandare il completamento dell’opera a un indefinito secondo tempo, vedi la possibilità di elezione diretta per le città metropolitane rinviate ad un improbabile dopo. Per dirla con Lucio Dalla: “anche i preti potranno sposarsi ma solo ad una certa età”! Intanto si partoriscono organismi di rango inferiore, privati della legittimazione popolare, destinati a un ruolo secondario e subalterno. E’ il risultato di un attivismo apparentemente solerte nella forma ma pericolosamente inefficace nella sostanza.

Infatti le Province restano tutte in essere, comprese quelle ritagliate artificiosamente per la moltiplicazione dei posti e delle cariche “provinciali”, non solo politiche ma anche di uffici, agenzie, ordini professionali, camere di commercio, associazioni, ecc. Per la serie “todos caballeros!”. Eliminata solo la legittimazione popolare e con essa la residua autorevolezza per coordinare e regolare le frastagliate politiche comunali. Insediati organi politici posticci, composti da sindaci e consiglieri comunali in evidente conflitto di interessi con il comune di cui restano amministratori in carica. Se prima sussisteva incompatibilità tra i ruoli di assessore provinciale e comunale, ora il contrasto tra cariche esecutive viene non solo ammesso ma addirittura reso obbligatorio!

Le unioni e fusioni dei piccoli comuni sono previste solo su base volontaria, generando una fantasiosa mappa “fai da te”, sottoposta alle disparate spinte di interessi locali e calcoli campanilistici. Inoltre se hanno un senso le fusioni, in pratica però assai difficili, ne hanno molto meno le unioni con la conseguente creazione ex novo di organi di secondo grado che riproducono e moltiplicano “in piccolo” quanto sopra osservato per le province.

Idem per le nove province ribattezzate “città metropolitane”, salvo il miraggio dell’elezione diretta ma con l’aggravante del Sindaco “di diritto” non eletto neppure indirettamente. Tuttavia, almeno per quanto riguarda la realtà milanese, non sono tanto i limiti della legge e del conseguente statuto ad appannarne la percezione, assai vaga e incerta nei discorsi e negli enunciati del sistema politico-mediatico (compaiono soltanto mediocri compitini di zelanti burocratini). Al di la dei fattori formali risulta purtroppo una strutturale incapacità di vedere e di pensare contemporaneamente il dentro e il fuori della mitica “cinta daziaria”, più resistente e ostile del muro di Berlino, spiegabile più con le categorie dell’antropologia culturale che della politica e dell’amministrazione pubblica. Ultimo esempio: il piano “urbano” della mobilità!

Valentino Ballabio



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema





18 aprile 2023

MILANO: DA MODELLO A BOLLA?

Valentino Ballabio






21 marzo 2023

CACICCHI EX LEGE

Valentino Ballabio






5 aprile 2022

IL RILANCIO DELLA CITTÀ METROPOLITANA

Fiorello Cortiana


Ultimi commenti