3 dicembre 2014

ONERI DI URBANIZZAZIONE: TROPPE QUESTIONI IN SOSPESO


Ho qualche perplessità sulla proposta di Andrea Bonessa, che in grande sintesi potrebbe essere espressa così: facilitiamo il recupero della città esistente riducendo gli oneri per chi demolisce e ricostruisce; così riduciamo il consumo di suolo, rilanciamo l’edilizia e facilitiamo l’abbattimento dei costi per chi cerca casa.

06praderio42FBDetta così, è una proposta interessante, soprattutto dove propone di distinguere l’intervento in aree già edificate e in aree libere (brownfields e greenfields, insomma). Ho paura però che i problemi siano più complessi, e quindi anche le relative soluzioni. C’è insomma anche un problema culturale, di corretta impostazione dei problemi.

Non dimentichiamoci infatti che gli oneri non servono solo a puntellare i bilanci dei Comuni (anzi questa funzione dovrebbe del tutto sparire). Servono invece a realizzare e a manutenere le infrastrutture e i servizi della città, soprattutto dove non c’è capacità sufficiente a reggere utilizzi più intensi (spesso infatti si dà per scontato che la città assorba tutto, un po’ come una volta si buttava la spazzatura nel mare: ma non è così, le infrastrutture, se pur sovradimensionate un tempo dai nostri previdenti antenati, hanno dei limiti).

Ma il tema diventa anche più complesso quando si sente dire: un operatore, una volta che ha pagato il terreno, le bonifiche, gli oneri, la costruzione … con quello che ha speso per quella casa, alla fine costa di più di quel che è disposto a pagare il mercato. E quindi abbassare gli oneri sarebbe una maniera di recuperare fattibilità. Bisognerebbe invece chiedersi: non è che invece è un cattivo imprenditore? Non è che ha pagato troppo l’area e sottostimato i costi? Purtroppo molti operatori immobiliari si sono abituati a guadagnare non tanto nell’offrire un buon prodotto, quanto a scremare dal “delta regole”: compro un’area con una destinazione, poi ne ottengo un’altra più remunerativa, poi indici più alti; e così il valore cresce senza far niente. E se non basta, chiedo meno standard, meno edilizia pubblica, meno oneri: e così è altro valore che si genera, nel presupposto di una situazione urbanistica bloccata, dove comunque il metro quadro di slp virtuale vuol dire guadagno sicuro. Fino a quando i prezzi diventano insostenibili, e alla minima riduzione di qualcuno dei parametri ecco che i conti non tornano più. Davvero crediamo che abbassando gli oneri i prodotti migliorerebbero? O sarebbe invece una maniera per ottenere un altro prestito in banca?

L’altra questione è che, come sa chi abbia seguito un po’ di business plan, gli oneri non pesano poi così tanto sulla redditività. Contano molto più l’equity, i tassi di interesse, il ritorno atteso; ma soprattutto i tempi. Si dissipa più valore nelle incertezze generate da leggi oscure in continua mutazione e da procedure farraginose, che utilizzando gli oneri per fare opere utili alla città.

E quindi in definitiva le questioni vere sono due: una è il funzionamento della Pubblica amministrazione, l’altra l’andamento del settore immobiliare.

Su quest’ultimo, sgomberiamo il campo da un equivoco: inutile continuare a pensare indistintamente a una “speculazione edilizia” che “scippa spazi”. Il settore immobiliare è un’attività economica come un’altra, tutti noi abitiamo, lavoriamo e passiamo il tempo in edifici costruiti da qualcuno che ci ha guadagnato sopra. Ma anche qui ci sono imprenditori bravi e altri meno bravi: c’è chi vuole guadagnare fornendo un buon prodotto a un prezzo adeguato, e chi screma sul “delta regole”. E su questo bisogna dire che i tempi dell’urbanistica “gallina dalle uova d’oro” sono probabilmente finiti: in tanti hanno capito il meccanismo della valorizzazione, e il presupposto della situazione urbanistica bloccata non c’è più; c’è piuttosto l’inverso, l’eccesso di offerta (non ci sarà mai domanda per i 180mila e passa nuovi abitanti stimati dal PGT di Milano, né per il milione di abitanti in più per la Lombardia previsti dalla somma dei vari piani regolatori). E quindi bisogna iniziare a pensare che piano piano i prezzi delle aree di trasformazione dovrebbero essere destinati a scendere e a sgonfiarsi (per qualcuno certo sarà doloroso, almeno quanto è stato piacevole a suo tempo vederli alzarsi!)

Sulla prima, credo che se ci fossero regole semplici, chiare e tempi certi, l’effetto positivo sul settore immobiliare sarebbe superiore a quello della riduzione indiscriminata degli oneri. In generale, servirebbe poi pianificazione urbanistica più realista e più attenta alle caratteristiche reali del territorio e delle sue necessità di trasformazione (e un po’ meno agli slogan del momento – perché mai ad esempio una “maggiore densità” dovrebbe essere sempre e comunque un valore positivo? È l’errore simmetrico e inverso di quanto si diceva un tempo, quando bastava che i volumi fossero bassi per giudicare bene un intervento. Da uno slogan al suo opposto, si tratta pur sempre di un errore). (*)

 

Gregorio Praderio

 

(*) sintesi – con precisazioni – dell’intervento al seminario del 17 novembre “Recuperiamo terreno



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