19 febbraio 2014

CHI PIANIFICA LA CITTÀ METROPOLITANA?


La recente approvazione alla Camera del disegno di legge 1542 in materia di Città Metropolitane, Province, Unioni e Fusioni dei Comuni è il quarto tentativo in tre anni volto a riformare il sistema degli enti locali. Il dibattito attorno alla proposta di legge è purtroppo stato monopolizzato dal tema della spending review, che ha messo in secondo piano la necessità, non più eludibile, di attuare una seria revisione dell’intera architettura istituzionale italiana. Si è enfatizzato il tema mediatico del risparmio di risorse pubbliche e di poltrone politiche, sorvolando invece sulla redistribuzione delle funzioni che si potrebbe realizzare con il nuovo assetto istituzionale.

02righini07FBMa c’è soprattutto un aspetto davvero criticabile in questa proposta di legge: per chi si occupa di pianificazione territoriale il disegno di Delrio appare, per ora, come una grande occasione mancata. Infatti, è proprio nel campo della pianificazione territoriale e urbanistica che i problemi generati da sovrapposizioni e conflitti di competenza tra diversi livelli amministrativi sono più evidenti.

Uno dei principali problemi del sistema urbanistico è la debolezza della pianificazione d’area vasta che sarebbe la sola in grado di elaborare politiche di coordinamento alla scala territoriale adeguata delle scelte locali. Tuttavia, proprio l’obiettivo di superare la frammentazione e la settorialità delle competenze urbanistiche tra i diversi livelli amministrativi rischia di annullare la possibilità di realizzare un nuovo dispositivo di pianificazione di area vasta.

Con la riforma del titolo V della Costituzione le principali competenze urbanistiche sono in capo ai Sindaci secondo il principio di sussidiarietà, il quale, nella prassi, si è trasformato in un eccesso di municipalismo egoistico dagli esiti deludenti. Molto spesso il livello amministrativo funzionalmente più vicino ai cittadini è quello comunale, che non è sempre stato in grado di garantire una gestione efficiente dei temi spaziali. Da qui la necessità di un ente intermedio, che sia in grado di governare tematiche quali trasporti, ambiente, pianificazione territoriale, recependo così un altro principio fondamentale come quello dell’adeguatezza. Purtroppo la nuova legge non affronta in modo convincente tale questione.

Le città metropolitane saranno istituzioni che manterranno tutte le competenze delle Province alle quali subentreranno e cui andranno ad aggiungersi funzioni in ordine all’elaborazione di un piano strategico, alla pianificazione territoriale generale, alla promozione dello sviluppo economico e dei processi di digitalizzazione. Le restanti Province, che dal giugno 2014 si trasformeranno in enti di secondo livello, diventeranno strutture leggere, fino alla loro definitiva abolizione che dovrà avvenire con legge costituzionale.

Infine la disciplina sulle unioni e fusione dei comuni non si discosta molto da quella introdotta dal precedente governo Monti e prevede due tipologie di intercomunalità che hanno l’obiettivo di normare la gestione associata di funzioni ma non di orientare la cooperazione verso una natura maggiormente strategica. L’intercomunalità, con questo approccio, rischia di rimanere un fenomeno diffuso a macchia di leopardo sul territorio italiano, delimitato da confini spesso opportunistici.

Il nuovo assetto istituzionale attribuirebbe quindi tutte le competenze di area vasta a enti di secondo livello. Ma con quale legittimità e autorevolezza? La funzione di coordinamento territoriale, fino ad oggi esercitata da un ente amministrativo superiore secondo un approccio sovra comunale, passerà a un ente non elettivo, nel quale le scelte saranno oggetto di una contrattazione tra i Sindaci. Tale differenza non è secondaria poiché appare evidente che se la pianificazione dovesse diventare una dinamica esclusivamente negoziale, il rischio che a prevalere siano i comuni (e gli interessi) più forti sarà molto elevato, innescando meccanismi che potrebbero facilmente generare territori a doppia velocità, in completa antitesi rispetto all’obiettivo di coesione territoriale introdotto dall’Unione Europea nel trattato di Lisbona del 2007 e articolato dal Rapporto Europa 2020, che riconoscono un ruolo determinante a un territorio integrato, equilibrato e solidale.

Alla luce di questi documenti europei è ancora più evidente come l’occasione di riforma istituzionale potrebbe rappresentare un’importante opportunità, per il nostro Paese, di inaugurare una nuova stagione di politiche dedicate al contenimento del consumo di suolo, alla rigenerazione urbana, alla valorizzazione ambientale, all’infrastrutturazione e all’edilizia sociale. Eppure sarebbe bastato osservare con più attenzione l’esperienza di altri paesi europei, come la Francia, dove, dopo oltre quarant’anni di politiche che hanno favorito la cooperazione intercomunale, proprio in questi mesi sta approvando una legge sull’istituzione di governi metropolitani (Loi de modernisation de l’action publique territoriale et d’affirmation des métropoles).

L’esperienza intercomunale francese ha individuato forme associative diverse, di natura metropolitana o di medi e piccoli comuni, che rappresentano gli ambiti di governo pertinenti, particolarmente efficienti nel governo dei processi spaziali e sociali (per esempio nei progetti e nella messa in comune di una parte cospicua delle entrate fiscali). È stato così possibile correggere una gerarchia urbana fortemente squilibrata, garantendo efficienza territoriale alle politiche statali. Nel 2014 si dovrebbero votare per la prima volta a suffragio universale i rappresentanti delle associazioni volontarie intercomunali, le Communautés, realizzando finalmente il sogno di Jacques Delors per introdurre partecipazione, e quindi democrazia, nei processi decisionali, secondo il principio per cui una corretta sussidiarietà garantisce gli interessi della collettività che altrimenti rischiano di essere trascurati dagli eccessi di localismo.

In Italia, purtroppo, si punta invece alla rinuncia di quote di rappresentanza democratica in nome di un presunto risparmio economico che non solo rischia di non risolvere i problemi degli enti locali ma reitererà il sistema di relazioni centro/periferia che è alla base della frammentazione, anche territoriale, di gran parte del nostro Paese. Per superare le attuali Province, delle quali non si negano i confini spesso asfittici e incoerenti, sarebbe stato forse più lungimirante incentivare la cooperazione tra i comuni e permettere geometrie variabili pertinenti, che ben si adattano a territori effettivi metropolitani e periferici.

Sul modello francese, si potrebbero delineare quattro tipologie di associazioni intercomunali:

1. Unioni Metropolitane, per le maggiori aree metropolitane italiane;

2. Unioni Urbane, per le aree urbane di medie dimensioni;

3. Unioni Territoriali, per ambiti di comuni medio – piccoli e piccoli distanti dalle realtà precedenti;

4. Unioni Montane, per gli ambiti più periferici.

Un’altra materia che potrebbe trovare nuove evoluzioni in questo quadro è quella fiscale, immaginando di trasformare una parte delle entrate fiscali locali in una tassa intercomunale, così da poter attuare una seria perequazione territoriale. Con una scelta di questo tipo, si potrebbe creare un nuovo sistema di governance capace di sostituire progressivamente le province, delegando, in un modello ben più convincente di quello della pura sussidiarietà municipale, alcune funzioni fondamentali, come quella della pianificazione territoriale di coordinamento.

La cooperazione intercomunale permetterebbe, inoltre, di stabilire reti orizzontali tra territori che consentirebbero un migliore equilibrio fra i poteri dei Comuni, che restano la cellula fondamentale del nostro ordinamento e primo luogo in cui si esercita la rappresentanza democratica, e l’ente competente sulla pianificazione di area vasta, coniugando efficacemente i principi strettamente legati di sussidiarietà e adeguatezza.

Serena Righini e Paolo Dallasta

*l’articolo riporta i contenuti di una più ampia riflessione sulla cooperazione intercomunale già pubblicata su Eddyburg.



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