16 maggio 2023
LA NARRAZIONE SU MILANO NON PIACE A SALA
Realtà e ingegneria del consenso
Il Corriere della Sera nell’edizione milanese, lunedì 8 maggio, ha titolato: “Stupri e rapine allarme in città”, mercoledì 10 “Sicurezza, le richieste della città” e giovedì 11 “Non esiste un’emergenza Milano”. La Repubblica, 10 maggio, “Più forze dell’ordine nelle strade” e l’11 maggio “Emergenza sicurezza. Piantedosi dice no”. Nelle pagine interne e nelle edizioni nazionali la situazione di Milano come città insicura si moltiplicano.
In una delle tante conferenze stampa o interviste sul tema della sicurezza a Milano il Sindaco ha lamentato che questa narrazione della città nuoccia al brand Milano.
Il Sindaco ha ragione: questa è una città che vive sul suo brand frutto di narrazioni auto elogiative, di comunicati stampa del Comune (ripresi immancabilmente dai giornale a volte amici e un po’ servili), di annunci di nuovi grattacieli e nuove operazioni immobiliari annunciate, con contorno di classifiche sul più grande intervento in Italia, narrazione che mettono in rilievo attività anche minime come frutto dell’effervescenza che anima la città e delle quali si perde la memoria dopo pochi giorni. Una narrazione che va in direzione opposta non piace al Sindaco.
Da molto tempo non son d’accordo col Sindaco e le sue “narrazioni”. Tanto per intenderci, con un modo di dire che ricorre quotidianamente – stare dalla parte di chi è assalito, la parte giusta, e non dell’assalitore, – io sto dalla parte del bene comune, dei cittadini turlupinati dalle false consultazioni, di quelli che non hanno voce ma che inconsciamente guardano ai giochetti delle ombre cinesi di Palazzo Marino e magari persino applaudono perché non possono capire – poche voci lo denunciano – il “grande gioco” del capitale finanziario e immobiliare.
Ricordo en passant tra le “narrazioni” più sfacciate le ricadute di Expo guardate da una parte sola, la questione scali ferroviari, la questione Meazza e, da ultimo, la consultazione “Aria e Clima”, l’annuncio della trasformazione di Piazzale Loreto che è stata messa ai primi posti nella classifica di “bisogni” dei milanesi.
Quanto ai rimedi all’insicurezza di Milano, come era prevedibile, si chiede a gran voce l’aumento delle forze dell’ordine intorno alla Stazione Centrale, così si accontenta quella parte che ama il pugno di ferro ma con un piccolo interrogativo: cacciati da Piazza Duca d’Aosta gli extracomunitari dove andranno? Evaporano?
Sciorinando i numeri in calo dei reati commessi per rassicurare i milanesi si è dimenticato di dire che da qualche tempo in qua le forze dell’ordine vengono assaltate durante il loro servizio: c’è stato un salto di qualità con la comparsa di bande organizzate a contrastare le forze dell’ordine e a commettere rapine ai passanti circondando i malcapitati, come si legge sulle cronache dei giornali.
Non c’è solo Piazza Duca d’Aosta ma l’intera città sulla quale vegliare. Ne luglio del 2020 il Comune ha reintrodotto il “vigile di quartiere”. Ve ne siete accorti?
Lasciamo da parte queste narrazioni sulla sicurezza e veniamo all’altro “mantra” dell’amministrazione milanese, una sorta di lampada di Aladino: il rapporto pubblico privato che passa con la sigli PPP (Partenariato Pubblico Privato).
Il PPP ha partorito una nutrita serie di forme contrattuali e ha coinvolto praticamente tutte le amministrazioni pubbliche e le partecipate dallo Stato, a loro volta spesso in partenariato coi privati. Il problema è per certi versi banale: la Pubblica Amministrazione e gli enti locali hanno scarsissime risorse a disposizione perché il nostro Paese è la patria di elezione degli evasori fiscali.
Il PPP ha anche un aspetto politico rilevantissimo perché si coniugano due miti: da un lato si attribuisce al privato capacità tecniche e operative che il pubblico non avrebbe perché nessuno si è preoccupato dell’aggiornamento dei funzionari, dall’altro si scongiurerebbero reati di corruzione che invece rimangono ma sotto forme meno visibili.
Di fatto la corruzione resta quella di sempre: la manipolazione dei bandi fatti a misura per un particolare concorrente o evitare le gare pubbliche che sarebbero invece obbligatorie secondo la legislazione europea.
Siamo tornati alla splendida attività dei “boiardi di stato”, che un tempo si indicavano come “razza padrona”. Non è una novità per il nostro Paese. Nell’ottobre del 98 Massimo Riva scriveva su la Repubblica:” … Per chi allora portava i pantaloni corti è l’ opportunità di scoprire che molti nodi irrisolti della politica e della finanza italiane hanno le loro radici nei guasti provocati in quegli anni dalla Razza padrona. …”.
Sono passati 25 anni e i pantaloni corti non li abbiamo più.
La vittima più grande del rapporto pubblico-privato è la sanità e cito un breve estratto da un documento pubblicato dalla Bocconi a proposito del rapporto pubblico-privato.” … Seppure le informazioni sull’incremento del contributo pubblico siano difficilmente ricostruibili, nelle operazioni per cui è stato possibile reperirle l’aumento mediano del contributo pubblico è stato del 50% in confronto a quello a carico del concessionario privato del 12%”.
Veniamo adesso ad un caso emblematico di “narrazione” ingannevole: il “costo zero”.
Vi sarà capitato di leggere sulle pagine locali dei giornali che il Comune decide una qualche opera pubblica, prevalentemente riguardante risistemazione di piazze e luoghi pubblici, dichiarando che per l’amministrazione sono a costo zero. La verità e tutt’altra: l’opera viene fatta dando in cambio volumetria edificabile e rinunciando agli oneri di urbanizzazione. Beni pubblici.
Domenica scorsa il Corriere Della Sera Milano nel suo strillo editoriale dice: “Gli studenti danno la sveglia alla città”. Come ho già detto la settimana scorsa, speriamo che siano ascoltati e prese sul serio le loro rivendicazioni. Ci sarebbe bisogno che anche altri dessero la sveglia alla città e alla sua amministrazione di sinistra. Una volta ci pensava l’opposizione in Consiglio Comunale. Oggi tace, giustamente, visto che quel che si sta facendo, a cominciare dall’Urbanistica, è la prosecuzione lineare della politica del sindaco Letizia Moratti e di chi l’ha preceduta.
Se si andasse alle urne domani temo vincerebbe la destra. Basterà che questa si dichiari dalla parte dei milanesi che si vedono sottratti i posti macchina che occupavano e che ora non ci sono più e ce ne sarà sempre meno: le “narrazioni” non basteranno a convincerli, a meno che non sia la “narrazione” di un poderoso piano di parcheggi ma a costi ragionevoli per gli utenti.
Giorni fa ho letto su un giornale la lettera di una signora che considerava “classista” la politica dei parcheggi del Comune: “chi ha il box di proprietà, o ha i soldi per pagare quelli a pagamento – i ricchi, diceva – gli altri dove lasciano la loro assolutamente indispensabile automobile?”.
Per il Comune la realtà è la sua narrazione della realtà.
Luca Beltrami Gadola
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