7 febbraio 2023

REGIONALI, ULTIMA CHIAMATA

Il voto disgiunto, oltre le differenze contro la destra


art (7) (1)

Pochi giorni di campagna elettorale ancora. In Lombardia e Lazio, poi nel Partito Democratico. A fissare la rilevanza nazionale del voto basterebbero le tornate elettorali nelle due più importanti regioni d’Italia, consolidando gli assetti post 25 settembre o introducendo note divergenti sulla vita del Governo Meloni.

Ma il voto regionale condizionerà anche le “primarie” del PD, segnate ormai dal duello Bonaccini – Schlein, relegati gli altri contendenti a  testimoni. Uno scenario gravido di  futuro per il partito e l’intero “campo democratico”, luogo che ancora esiste in sé ma non più per molti dei suoi protagonisti.

Una tornata elettorale regionale, quella del prossimo 12 e 13 febbraio, che va ben oltre il segno locale, in una fase delicata e densa di effetti sul futuro nazionale.

Sappiamo, in Lombardia se la giocano principalmente Majorino e Fontana, la Moratti lontana dal poter competere effettivamente per la vittoria finale.

Cresce il rischio, ormai certezza, che il voto dato alla sua candidatura di Presidente (non necessariamente alle liste del Terzo Polo) abbia come effetto principale quello di indebolire le chances di Maiorino, favorendo altri 5 anni di destra a Palazzo Lombardia,

Cosa di per sé assai triste, ma vi è molto altro e di più profondo. Non si può dimenticare che questo voto, dato nel vivo della battaglia sulla cosiddetta “riforma” Calderoli, potrebbe rafforzare o piuttosto assestare un colpo micidiale al suo disegno. Ed è importante sottolineare che sul carattere reazionario e secessionista della riforma convergono nel giudizio, con accenti diversi, tutte le “opposizioni”, così come non sfugge il rischio concreto di rottura del Paese. E’ una chiamata all’unità, oltre le differenze.

Nonostante questo, per gli strascichi ancora vivi delle rotture elettorali e per la tenace persistenza di un pensiero di corto respiro (“primum vivere”), si fatica a riprendere una prospettiva capace di riannodare fili spezzati ed un clima capace di ritrovare un minimo comun denominatore contro la destra, opponendo un’ampia resistenza nel paese ed in Parlamento. Né si deve dimenticare che la destra al governo non è fondata sull’effettiva maggioranza di consensi, e che un forte successo regionale potrebbe mostrare a tutti che il “re è nudo”, che la sua visione non corrisponde al più ampio sentire del paese, per quanto variegato.

Così oggi, nel momento di una scelta gravida di conseguenze, grava sul Terzo Polo in Lombardia una responsabilità pesante per non dire drammatica.  Si pone tuttora il dilemma se portare le proprie forze a sostegno di una entità tuttora percepita come competitore – avversario, pur di battere un nemico assai più pericoloso (la destra), o se lasciare che questo sfondi le difese e dilaghi nel campo avverso, scoprendo troppo tardi che ospitava non solo l’accampamento del competitore – ‘avversario “percepito” ma anche il proprio.  Si pone al Terzo Polo non a caso, ma per il minor consenso che gli impedisce di competere per il successo finale. E lasciamo stare, le colpe di chi, dove, come e quando.

Non si doveva finire così in questa campagna, ma così ci si trova alla fine, come alle politiche. E il dilemma non interroga solo i leader del Terzo Polo, ma direttamente i militanti, i simpatizzanti e gli elettori.

Sappiamo, verso la Moratti vanno consensi che difficilmente troverebbero motivi di simpatia verso la sinistra, ma è probabile che una fetta consistente del suo potenziale elettorato provi, pesando sulla bilancia sentimenti ed interessi, una maggior vicinanza o se si vuole una minor distanza da Pierfrancesco Majorino rispetto a Fontana.

E’ il caso di fasce ampie di ceti medi urbani che provano fastidio di fronte alla rozza  visione sociale proposta dalla destra, che non dimenticano il disastro della gestione sanitaria durante la pandemia, che desiderano un cambio di registro emotivo nella narrazione prevalente, ma che non trovano nella proposta, e nella vicenda, del Partito Democratico una ragione sufficiente per votarlo, tanto più se a braccetto con M5S.

Sappiamo, vi sono ragioni di calcolo politico, del tutto legittime in linea di principio, che spingono i dirigenti del Terzo Polo a puntare sulla Moratti per massimizzare consenso, visibilità e rappresentanza, introducendo, con la sconfitta dalla candidatura Majorino, crepe ancora più vistose nel PD e nel suo rapporto tormentato con M5S.

Ed è vero, l’opzione Moratti di alcuni non appare incomprensibile, se si pensa all’inadeguatezza (sic !!) politica e comunicazionale del Partito Democratico, oggi punito da una crisi di credibilità importante.

Tutto vero, tutto giusto, ma alla fine è lecito porre con franchezza il dilemma politico nella sua cruda concretezza, laddove è chiaro che il voto a “Moratti Presidente” oggi è un voto che azzera le chance (tante o poche che siano) di un possibile cambiamento in Lombardia, dato che la sconfitta ridarebbe fiato alla peggiore destra del dopoguerra,  favorendo un ridisegno della fisionomia istituzionale densa di pericoli e di rotture, sociali e territoriali, di enorme impatto. Questa è la posta in gioco.

In questa complessa dialettica di pro e contro, dove torti e ragioni paiono bilanciarsi dai diversi punti di vista e che in sé parrebbe insolubile, soccorre l’istituto elettorale che favorisce un’articolata espressione del proprio orientamento: il cosiddetto “voto disgiunto”, la facoltà che consente all’elettore di dare un voto alla lista che maggiormente rappresenta il proprio orientamento politico, ma contestualmente di votare il candidato Presidente che, pur sostenuto da altre liste concorrenti, dispone di maggiori chance per vincere la competizione elettorale.

Se si vuole, è la logica del male minore applicata alla politica.

L’esercizio del voto disgiunto consentirebbe al Terzo Polo di mantenere ampia visibilità e di contare nella rappresentanza consiliare, ma al tempo stesso accrescerebbe i consensi sulla candidatura Majorino che oggi, sondaggi alla mano, dispone di gran lunga delle maggiori chance di successo su Fontana.

Anche se le remore politiche ed emotive (non c’è peggio del rancore tra ex ….) contano eccome, si può, si deve, sperare nella capacità del dirigente, del militante e dell’elettore del Terzo Polo di cogliere il senso di una tornata elettorale che inciderà non solo sul futuro regionale, ma anche sulla possibilità di impedire una torsione politica nazionale pesantemente reazionaria, dove secessione e presidenzialismo formano i termini di un compromesso tanto instabile quanto funzionale agli equilibri già precari della destra.

Uno scenario da incubo per la Lombardia ed il paese, dove coesione sociale e territoriale, verrebbero messi a  dura prova. E con questi gli equilibri politico istituzionali.

Questo è il nodo duro del voto regionale e per questo pensare al “voto disgiunto” non è fuori luogo.

Giuseppe Ucciero



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  1. renato garoffoloCaro Giuseppe (purtroppo ti chiami come quel menagram che ghem de mandagiò amò per tri an) ho letto, come dissi già in passato, con grande fatica la tua battaglia dei "paralipomeni della batracomiomachia" non essendo tu Leopardi e avendo io 86 anni, mi è passata la voglia di andare a votare. Milano non è la lombardia, in questa città il PD sta governando da TRE mandati senza avere mai vinto le elezioni (grazie al migliorista Bassanini) . . . un caro saluto non ho più parole. Renato.
    8 febbraio 2023 • 00:31Rispondi
    • giuseppe uccieroE allora tieniti Fontana, Salvini e la bella compagnia...
      8 febbraio 2023 • 10:09
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