7 febbraio 2023

STELLE CHE SCOTTANO

Chiudono i ristoranti stellati e c'è mafia in cucina


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A Milano si è appena celebrato il rito dell’alta ristorazione con decine di chef stellati che hanno illuminato, se non il cielo, le tre giornate di “Identità Golose”, 28-30 gennaio, con tante parole (giornate congressuali e convegni), ricette e cucina stellata (Identità Milano). Tutti di gran prestigio i nomi degli chef provenienti  quasi da ogni angolo del mondo: tra i più noti Alex Atala, Massimo Bottura, Carlo Cracco, Enrico Bartolini, Moreno Cedroni, Niko Romito.

Tutto bene quindi? No.

La verità è che il format dell’alta gastronomia, sostenuto e promosso da programmi come MasterChef, è in profonda crisi.

Fernand Adrià è stato il primo chef a conquistare fama planetaria (e il suo locale ‘elBulli’ ben cinque volte votato come il migliore al mondo) con la sua cucina molecolare dove pentole e fornelli venivano sostituiti dall’azoto liquido e dal sottovuoto. Ma è stato anche il primo, nel 2010, a chiudere per l’insostenibilità economica del progetto nonostante gli oltre 2milioni di richieste all’anno per soli 8.000 posti disponibili. Chef Adrià, che per anni ha trascorso oltre 15 ore al giorno al lavoro nel suo ristorante, dirigeva una brigata di cucina di quasi 100 persone compresi i 40 cuochi per soli 15 tavoli. Con 50 clienti per cena e un utilizzo di 1.000 posate e 750 bicchieri al giorno non è difficile credere che alla fine il bilancio de elBulli fosse sempre con cifre attorno ai 500 mila euro l’anno di perdita.

Chiudono i ristoranti stellati

Oggi è il suo alter ego norvegese René Redzepi (tre stelle Michelin, cinque volte migliore al mondo) ad arrivare alle stesse conclusioni: il suo locale il “Noma” chiuderà nel 2024. Oltre agli stessi motivi di insostenibilità finanziaria, Redzepi è stato di recente accusato di non remunerare in alcun modo gli stagisti nonostante venissero inflitti orari di lavoro massacranti (oltre le 12 ore al giorno) in situazioni poco rispettose della dignità (pare che nelle cucine venisse richiesta, oltre alla massima obbedienza, anche l’assoluto silenzio). Dopo l’accusa è calato il numero degli addetti alla cucina e coloro che sono rimasti hanno ottenuto un contratto e una remunerazione che hanno certamente contribuito ad affossare definitivamente i bilanci del ristorante nonostante il costo della sola cena sia attorno ai 450 euro, bevande escluse.

È infatti nella regolare retribuzione dei dipendenti uno dei motivi della crisi del settore. L’alta cucina impone una serie infinita di piccole portate, piatti che hanno la ricercatezza nel colore e nella disposizione del cibo propria dell’arte grafica. Nelle cucine mestoli e coltelli sono affiancati da pinzette e siringhe che richiedono non solo grande attenzione, ma anche un gran numero di personale di grande dedizione.

La consolazione è che così fan tutti, quindi non è solo italiana la tradizione, assai ben consolidata, che oltre alla mancanza dello scontrino del conto pagato alla cassa vi è anche quella di contratti con remunerazioni dignitose.

Ristorazione e mafie

E a proposito di denaro, la ristorazione è gravata anche da presenze occulte. La Milano da bere degli anni ’80 è diventata quella del cibo, ovunque.

“Le mafie vogliono prendersi bar e ristoranti del centro di Milano” scrive ‘Italia a Tavola’ (gennaio 2023), ricordando che la Lombardia è la quarta regione italiana per beni confiscati alla mafia dopo Sicilia, Campania e Calabria. La ristorazione con la grande distribuzione organizzata di alimenti costituiscono infatti un terreno fertile per il riciclo di denaro.

Eccesso di costi, dipendenti non retribuiti e riciclaggio sono argomenti oscuri che minacciano di spegnere le stelle degli chef.

Le stelle che non illuminano più

Le stelle erano nate quasi più come un consiglio che un giudizio, per automobilisti che scorrazzavano prima lungo le strade francesi e poi di tutto il mondo, offerto dal colosso del pneumatico Michelin.

Oggi le ‘stelle’ sono paragonabili all’assegnazione del premio Nobel per la gastronomia. Essere uno chef stellato rappresenta un grande affare, vissuto molto seriamente. A tal punto che c’è stato chi è arrivato a togliersi la vita (lo Chef B. Violier) a causa di un declassamento nella guida Michelin.

Senza entrare nel merito della qualità, imparzialità e autorevolezza della critica gastronomica, è indubbio che, oltre alla Michelin, le guide gastronomiche sono diventate oggi un grande affare nel circo della ristorazione. Se è vero che di libri se ne vendono sempre meno, l’online di contro è seguitissimo. Il web è popolato di siti critici o plaudenti verso questo o quel ristorante.

L’alta ristorazione degli Chef, se pur in perdita, rappresenta un intero comparto di cui è però una parte quasi irrilevante (lo 0,1% della ristorazione italiana costituita da 336mila imprese che nel 2019, pre pandemia, fatturavano 86 miliardi di euro, il 5,7% del PIL nazionale; Fonte: Fipe). Una grande offerta (ma a crescere sono più che altro le attività di solo asporto, prive di personale e di superfici) concentrata prevalentemente nelle aree del centro, rivolta al momento della pausa pranzo con offerte “primo, secondo, contorno e acqua a 10 euro” o “all you can eat”.

Un mondo culinario affossato più che dai costi dalla bassa qualità dell’offerta: frettolosa, sciatta e scialba nel sapere e nel gusto.

Nel prossimo futuro, se mangeremo insetti, lo faremo perché chef e cuochi avranno cambiato mestiere.

Marco Ceriani

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