10 gennaio 2023

L’ORATORIO DI NATALE ALL’AUDITORIUM

Una Epifania con la musica


 Auditorium vuoto © Studio Hannin

Come ormai ogni anno nel giorno dell’Epifania il pubblico milanese ha riempito la bella sala dell’Auditorium di largo Mahler – nonostante i negozi aperti e gli appetitosi saldi – per ascoltare l’Oratorio di Natale di Bach che quest’anno è stato proposto in un formato tanto interessante quanto inusuale. L’Oratorium tempore Nativitatis Christi o Weihnachts Oratorium (BWV 248) è composto da 6 Cantate che all’epoca del loro concepimento venivano distribuite in sei diverse giornate, fra il 25 dicembre e il 6 gennaio secondo la liturgia, che oggi, nelle sale da concerto, vengono riunite in un’unica sessione della durata di circa tre ore. In questa occasione – ecco la novità – è stato diviso in due parti con un intervallo di un’ora e mezza per poter godere di un’ottima cena elegantemente servita placée nell’ampio foyer del Teatro. L’idea si presentava molto attraente ed ha permesso, anche a chi normalmente fatica a concentrarsi per tre ore sulla musica barocca, di affrontare con entusiasmo l’intera opera.

Di questo Oratorio bachiano molto si sa e molto si discute da sempre. Si sa per esempio che Bach ha messo insieme – come peraltro in tutta la sua musica cosiddetta sacra, come ad esempio nelle sue meravigliose Passioni – molti temi e “pezzi” di varia provenienza, prevalentemente profani, scritti soprattutto per le celebrazioni di nascite e matrimoni di componenti dell’aristocrazia tedesca, con un procedimento chiamato “parodia” ed allora considerato più che legittimo. Si sa anche che i testi delle arie e dei cori – in parte dello stesso Bach e in parte del poeta noto con lo pseudonimo di Picander – sono ricavati dai Vangeli di Luca (per le prime quattro Cantate) e di Matteo (per le due ultime); le parole del Nuovo Testamento sono cantate dall’Evangelista (tenore), gli interventi degli altri personaggi sono affidati a quattro solisti (soprano, tenore, controtenore o alto, e basso) mentre il coro rappresenta il popolo che segue e commenta lo svolgimento dell’intero Oratorio.

Ciò di cui invece si discute da tempo immemorabile è se e quanto Bach fosse felice di scrivere musica sacra (Passioni, Oratori, Cantate, ecc. scritte per “obbligo contrattuale” in occasione delle celebrazioni liturgiche) e quanto invece vi sia stato costretto per mantenere una famiglia smisuratamente onerosa (ebbe ben 20 figli da due mogli diverse!); fu organista e maestro di musica a Weimar (1703), Arnstadt (1703-1707), Mülhausen (1707-1708), ancora a Weimar (1708-1717), a Köthen (1717-1723) finché approdò a Lipsia dove trascorse gli ultimi ventisette anni della sua vita come Kantor, cioè direttore e maestro del coro della grande Chiesa/Scuola di San Tommaso. Molti ritengono che egli abbia sempre aspirato a lavorare al sevizio di regnanti laici e che a Lipsia soffrì molto a causa della dipendenza da un committente religioso (la municipalità di Lipsia operava come braccio operativo della Chiesa) con cui litigava spesso e dal quale riceveva spesso ingiuste reprimende.

Vi è poi il misterioso tema della sua intima religiosità (checché se ne possa pensare ascoltando i capolavori della sua musica sacra – e checché ne dica la Chiesa Luterana che lo ha mitizzato – Bach era realmente credente o no?); sicuramente egli era enormemente interessato ai suoi lavori profani come l’Arte della fuga, l’Offerta musicale, il Clavicembalo ben temperato, i Concerti, le Suite …. e cioè a quel corpo gigantesco di opere che di religioso non hanno proprio nulla. Non se ne verrà mai a capo, ovviamente, anche perché il povero Bach subito dopo la sua morte (1750) fu dimenticato per quasi un secolo, fino alla riscoperta che ne fece Mendelssohn nel 1829 (si sa per esempio che sia Mozart che Beethoven usavano il Clavicembalo ben temperato come esercizio di mera tecnica per le mani, senza averne mai percepito la grandezza…!) e le informazioni dirette sulla sua vita sono scarse e contraddittorie, principalmente dovute ai membri della sua famiglia.

Torniamo all’Auditorium e ai protagonisti di questo concerto e cioè all’«Ensemble strumentale e vocale La Barocca» – nati nel 2009 nell’ambito di quella che allora era “laVerdi” e che ora è l’Orchestra Sinfonica di Milano – diretti rispettivamente da Ruben Jais e da Jacopo Facchini, insieme al soprano (Viola Blache), all’alto (Alex Potter), al tenore (Benedikt Kristjansson) e al baritono (Marco Siccardin o Andreas Wolf?). Sull’identità dei solisti gravano alcuni dubbi perché da una parte la fotografia della Blache riportata nel programma di sala non corrisponde minimamente alle fattezze dell’artista che abbiamo visto sul palcoscenico, dall’altra non ci è stato dato di sapere se il basso fosse il Saccardin del programma (con foto rassomigliante) o il Wolf del volantino consegnatoci all’entrata!

Piace ricordare che in occasione del primo Oratorio di Natale eseguito dall’Ensemble, il giorno dell’Epifania del 2010, su questo giornale scrivemmo «Come potremmo disconoscere a Luigi Corbani (il fondatore e lo storico patron dell’Orchestra Verdi) e a Ruben Jais (il milanesissimo – a dispetto del suo bel nome – ex animatore e direttore del coro sinfonico della Verdi ed ora direttore a tutto tondo di questa nuova “Verdi Barocca”) il grandissimo merito di proporre a Milano, in un contesto già affermato come l’Auditorium, un insieme capace di affrontare il repertorio della musica sacra del sei/settecento, e in particolare quello del grande Kantor tedesco?

Molto bene, ma attenzione, perché si tratta di un’operazione che comporta non pochi rischi: quando l’esecuzione è affidata a pochi elementi (40/50 fra strumenti e voci, contro i 200 abbondanti di orchestre e cori moderni), in sale da concerto anziché in chiese (e dunque in assenza di una “rappresentazione”), con tutte le ripetizioni, i ritornelli e le pause fra un “numero” e l’altro voluti dalla prassi d’epoca, con i recitativi sviluppati per intero nei tempi suggeriti dalla liturgia, con la “chiusura” di ciascuna parte eseguita sempre come fosse quella finale ….. tutto ciò rischia facilmente di restituirci una interpretazione esangue, se non  addirittura noiosa a confronto – ahimè inevitabile – con quelle, magari più disinvolte ma certamente sontuose e spettacolari, dei grandi complessi sinfonici.

Anche l’uso degli strumenti antichi o delle loro copie non è esente da pericoli, come ad esempio con gli ottoni da cui è sempre molto difficile – specialmente per i nostri musicisti – ottenere note perfettamente “pulite”……. In compenso l’altra sera ci hanno deliziato sia il meraviglioso basso continuo – violoncello, fagotto ed organo positivo – che il raffinatissimo coro, di soli 17 elementi, guidato con consumata esperienza dal direttore che si dimostrava molto più a proprio agio con le “sue” voci che con l’orchestra.

C’è dunque ancora un grande lavoro da fare, sia per apportare ai tempi e alla corposità del suono quel minimo di brillantezza e di vivacità che – senza snaturarla – renda la partitura più adatta alla forma del concerto, sia per creare dei veri specialisti che abbiano abbastanza lavoro da potersi dedicare esclusivamente a questa disciplina».

Ieri sera abbiamo dovuto però riscontrare che, se molti passi avanti sono stati sicuramente fatti, molti ne restino ancora da fare.

Paolo Viola

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema





9 aprile 2024

VIDEOCLIP: LA MUSICA COME PRODOTTO AUDIOVISIVO

Tommaso Lupi Papi Salonia






20 febbraio 2024

SANREMO 2024: IL FESTIVAL CHE PUNTA SUI GIOVANI

Tommaso Lupi Papi Salonia



20 febbraio 2024

FINALMENTE

Paolo Viola



6 febbraio 2024

QUANTA MUSICA A MILANO!

Paolo Viola


Ultimi commenti