2 marzo 2021

IL GOVERNO CITTADINO DEI POTERI SEPARATI

Una legge inutile, anzi nociva ma c’è a chi piace


Prima di parlare della separazione dei poteri tra politica e amministrazione, cui ho accennato nel mio precedente editoriale, bisogna ricordare alcune tappe della nostra politica nazionale a cominciare da Mani pulite col suo primo processo aperto il 17 febbraio del ’92 con la comparsa di Borrelli e del suo pool e il discorso che Bettino Craxi tenne alla Camera dei deputati il 3 luglio dello stesso anno. Per la prima volta l’opinione pubblica fu costretta a rendersi conto del fenomeno della corruzione dell’intera classe politica.

L’opinione pubblica gridò allo scandalo, come se fino a quel momento non ne sapesse nulla, un classico dell’ipocrisia di molti italiani, anche autorevoli, che nella corruzione da anni ci intingevano il becco, dal piccolo evasore fiscale al grande imprenditore. Alcune prese di distanza mi stupirono conoscendo come erano andate molte cose: come suol dirsi: “sepolcri imbiancati”.

La chiamata a “correo” dell’intera classe politica e la scoperta della vastità dei del fenomeno della corruzione sconvolsero il Paese e gli anni terribili furono quelli dal 1992 al 1996: i Governi Amato, Ciampi, Berlusconi e Dini. La coda della “Milano da bere”.

Fonte Marco Alessandro BARTOLUCCI

Fonte Marco Alessandro BARTOLUCCI

Il calo deciso si ebbe solo al 2000 e la curva da qual momento si appiattì pur restando a livelli preoccupanti e nella classifica di Transparency siamo al 20° posto sui 27 Paesi delle UE. Le cose non sono migliorate però fortunatamente l’andamento della curva si è appiattito negli ultimi anni. Viste le cronache degli ultimi giorni temo un nuovo picco. Il picco Covid.

Fonte ANAS

Fonte ANAS

Il dibattito sulla corruzione della politica dal ’92 ad oggi è stato amplissimo, l’analisi della cause minuziosa ma curiosamente all’interno dei Partiti nessuno guardò realisticamente in casa propria senza arrivare alla conclusione ovvia che il problema era essenzialmente la selezione del personale politico anzi si ha la sensazione che se il nostro Paese tra quelli cosiddetti sviluppati è l’ultimo  in Europa nel classifica della meritocrazia – guardando ai risultati del Meritometro del Forum della Meritocrazia – nel “campionato nazionale” la classe politica, con molte personali lodevoli eccezioni, è in fondo alla classifica.

Dobbiamo arrivare al 2012 per trovare qualche azione di contrasto.

Lasciando da parte la legge Severino del novembre del 2012, in tema di repressione della corruzione solo nel 2014 si arriva all’ANAC, L’Autorità nazionale anticorruzione, quella che io giudico una grave anomalia: l’adozione di uno strumento legislativo specifico che sanziona l’incapacità dei normali strumenti dell’amministrazione giudiziaria a perseguire un reato, diffuso non più di altri.

Questo lascia pensare due cose: l’ennesima accusa alla giustizia di inefficienza ma anche agli organi investigativi e la considerazione che la corruzione fosse per il Paese altrettanto grave della criminalità organizzata.

All’accusa di corruzione della politica il legislatore guardò con grande attenzione soprattutto al livello delle istituzioni locali, magari senza pensare al Governo nazionale che quanto a corruzione non scherzava e forse spinto dall’incendio tutto milanese di Mani pulite. Pensò di porvi rimedio con la cosiddetta separazione dei poteri, considerando che gli amministratori locali se non avessero più avuto il potere di sottoscrivere atti amministrativi ma avendo solo ruolo di indirizzo, il problema sarebbe scomparso.

L’articolo 4, del d.lgs. n.165 del 2001 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), recepito dall’art. 107 del Testo Unico degli Enti Locali dice che agli organi elettivi spetta “la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrativa e per la gestione” mentre “ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane strumentali e di controllo” la cosiddetta “riserva di competenza” e assegnando in capo alla dirigenza una responsabilità “in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati”.

I risultati di questa riforma legislativa furono modesti, quasi nulli rispetto al problema della corruzione degli amministratori locali: la cronaca quotidiana ne fornisce la prova, ma generò una situazione da “separati in casa”, che non è l’ideale né nei matrimoni tantomeno nella pubblica amministrazione.

La prossima volta parleremo di questi “separati in casa” e cosa è successo, quali furono comunque le conseguenze pratiche e come la burocrazia a livello locale cominciò a manifestare una sua capacità politica ma a corrente alternata, qualche volta autonomamente ma spesso in accordo, connivente forse sarebbe dir troppo, con il potere politico.

Luca Beltrami Gadola



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  1. Annalisa FerrarioTutto condivisibile. Il tema che va affrontato però è anche quello della selezione della classe amministrativa. In teoria, con questi nuovi compiti ci sarebbe dovuto essere un salto di qualità. In verità il salto c'è stato solo negli stipendi (che sono molto aumentati, e questo forse fa da deterrente). Per il resto il personale è lo stesso: finito nella pubblica amministrazione spesso per pigrizia e mancanza di alternative, selezionato per cooptazione e acquiescenza, fa carriera chi non fa problemi e basta. Poi per forza i risultati sono quelli che si vedono
    3 marzo 2021 • 08:06Rispondi
  2. Fausto BagnatoLe c.d. Bassanini, segnano l' inizio della politicizzazione della Burocrazia, con tutta la inefficienza che ne consegue. Sostituire il Segretario Generale del Comune, designato dal Ministero dell' Interno, con il City Manager, scelto dal Sindaco, e affidargli compiti non in grado di gestire per impreparazione ammi istrativa, e' l' errore piu' macroscopico. Assegnare al primo City Manager, Stefano Parisi, al Comune di Milano, da parte del Sindaco Gabriele Albertini nel 1997, lo stipendio di 500 milioni, mentre i Capi ripartizione percepivano meno di 200 milioni annue, e' stato l' inizio della ritorsione burocratica, costringendo Albertini a licenziare Parisi.
    3 marzo 2021 • 14:12Rispondi
  3. Marco PompilioCon l’intento di fornire un contributo utile invio in questo spazio di commenti alcune informazioni e mie riflessioni, in particolare sull’ultima parte dell’editoriale del Direttore relativa alla separazione dei poteri. Innanzitutto sui termini è bene fare chiarezza. Credo che sia improprio parlare di “separazione dei poteri”, si rischia di generare confusione con uno dei principi cardine del diritto. Si dovrebbe invece parlare di separazione, o ancora più propriamente di distinzione tra la funzione di indirizzo politico e la funzione di gestione, quest’ultima attribuita ai dirigenti a partire dal d.lgs 29/1993, e poi perfezionata con il d.lgs 165/2001. La distinzione era in realtà già stata anticipata dalla ex Legge 142/1990, e un primo tentativo di introdurla era stato fatto nel 1972, ma fallito per la resistenza della politica. Distinzione e non separazione in quanto le due funzioni, pur essendo distinte nei ruoli e attribuite a organi differenti, devono cooperare strettamente ai fini della buona amministrazione del bene comune. La distinzione ha origini lontane, precedenti agli anni di Tangentopoli, e non è probabilmente un caso che si sia potuta compiere solo nel momento in cui il potere politico consolidato è entrato in crisi. Con il riconoscimento della distinzione delle funzioni i dirigenti, non più subordinati gerarchicamente ai politici, hanno avuto piena responsabilità sugli atti di gestione degli enti. La responsabilizzazione ha avuto effetti benefici sui dirigenti più preparati. Questo modello ha funzionato, soprattutto nel primo decennio di applicazione, e ha portato a importanti risultati. Potrei anche citare numerosi casi di dirigenti che per tutelare il bene comune hanno opposto resistenza all’ingerenza indebita della politica, rischiando e spesso anche pagandone personalmente le conseguenze. Non si deve fare di tutte le erbe un fascio. Esistono all’interno dell’amministrazione pubblica dirigenti e funzionari attaccati alla posizione e accondiscendenti ai poteri forti, ma anche dirigenti e funzionari che lavorano con serietà per il bene comune, e tengono la schiena dritta anche in situazioni ostili di corruzione e contesto politico. Non sono pochi i dipendenti pubblici appartenenti a questa seconda categoria, ma le condizioni in cui sono costretti a operare sono sempre più difficili. Come dicevo la distinzione ha funzionato soprattutto nel primo decennio. La politica una volta riorganizzatasi ha cominciato a inserire nella pubblica amministrazione dirigenti e funzionari di stretta fedeltà politica, sia con contratti a tempo che attraverso concorsi. Oggi non esistono praticamente più concorsi dove il nome del vincitore non si sappia informalmente già in anticipo, e sono sempre persone strettamente connesse, o “conniventi” come dice Beltrami, con la parte politica in carica nell’amministrazione locale che ha bandito il concorso. La politica negli ultimi tempi sta andando anche oltre. Ha alzato il tiro montando una campagna sui media volta a discreditare gli apparati tecnici burocratici agli occhi dell’opinione pubblica. Non ci si deve fare coinvolgere in un’operazione di questo tipo. Bisogna stare attenti a non buttare il bambino con l’acqua sporca. L’obiettivo non è di umiliare l’apparato tecnico delle amministrazioni statali e locali, additandolo tutto come corrotto, inetto e irrecuperabile. Abbiamo invece un grande bisogno in questo Paese di un’amministrazione pubblica competente, e nelle proprie funzioni realmente autonoma dalla politica. Bisogna cambiare le regole di reclutamento per assicurare maggiore meritocrazia e minore ingerenza politica. Anche cancellando o riformando nel profondo l’accesso alla dirigenza per concorso pubblico. Su questo bisogna concentrarsi. Il problema non è la distinzione di funzioni, che ha invece portato importanti innovazioni nell’organizzazione pubblica. Da quando esiste questa distinzione si è introdotto finalmente il ragionamento per obiettivi anche all’interno della pubblica amministrazione. La distinzione tra funzioni non risolve la corruzione, anche se può contribuire ad arginarla. Le cause della corruzione sono altre, a partire dalle modalità di scelta del personale politico, un antico problema in questo Paese, in questi tempi di crisi ancora più pressante.
    3 marzo 2021 • 17:20Rispondi
  4. Annalisa FerrarioNessun dubbio che ci siano funzionari pubblici preparati, motivati e volonterosi. Dico solo (forse prima mi sono espressa male) che la selezione dei dirigenti avviene perlopiù per cooptazione e acquiescenza. Basti vedere il comune di Milano.
    3 marzo 2021 • 20:43Rispondi
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