1 marzo 2021

JACOPO GARDELLA

Un dolore, un rimpianto


beltrami1Ci ha lasciati Jacopo. Un dolore. Scompare un amico d’infanzia e di tutta la vita. Sua madre, Aura, era amica della mia e dunque fu per merito loro che ebbi la fortuna di passare molte vacanze al mare con Jacopo e le sue tre sorelle. Nuotate, tanto sole, tanti picnic in riva al mare. Poi la loro casa milanese di Piazza Aquileia col suo giardino e quella di via Quadronno. Poi più avanti negli anni le sue cene e da ultimo i suoi inviti a colazione in Via Verdi. La sua compagnia, le sue chiacchiere, le discussioni, il suo garbo quando ti guardava negli occhi col capo un poco inclinato verso la spalla destra per farti capire che ti ascoltava, attento, benevolo.

Arrivato io pure alla Facoltà, l’ammirazione e un po’ di invidia quando salendo le scale della vecchia sede di Architettura del Politecnico in Piazza Leonardo da Vinci vedevo i suoi disegni incorniciati e appesi tra quelli degli allievi migliori.

Durante la mia attività di costruttore sono stati frequenti i miei rapporti con lo Studio Gardella e ho avuto modo di capire che le qualità di Jacopo non erano inferiori a quelle di suo padre Ignazio pur tenendosi lui un passo sempre indietro al “grande nome”.

Un grande rimpianto mio e di tutta la redazione e i collaboratori di ArcipelagoMilano per i suoi articoli, tutti e 60 nel nostro archivio, fin dalla nostra inizio. Ci ha seguito e sostenuto nel racconto di Milano e dei suoi problemi.

Lo ricordiamo ripubblicando un suo pezzo del giugno del 2009: parlava degli Scali ferroviari, potrebbe averlo scritto ieri.

Luca Beltrami Gadola

LE AREE FERROVIARIE TRA AFFARI E MIOPIA URBANISTICA

L’attuale problema urbanistico delle vecchie ferrovie, che cessano di funzionare e lasciano liberi notevoli appezzamenti di terreno all’interno della città, si pone in termini uguali e contrari al vecchio problema delle nuove ferrovie che venivano portate nelle città a metà del secolo XIX.

Allora si trattava di trovare un tracciato lungo il quale posare i binari, individuare il terreno su cui edificare la Stazione, occupare un’area entro cui insediare lo scalo, cioè il fascio di binari utilizzati per deposito di merci e di materiale rotabile; oggi si deve riempire un tracciato non più destinato ai binari, utilizzare un terreno liberato dalla Stazione, riempire le aree degli scali sgombrate e disponibili.

Nell’uno e nell’altro caso si tratta di un ingente problema urbanistico; ingente per dimensione topografica, per sforzo economico, per ripercussioni sulla città del futuro. Se è noto come il primo problema sia stato risolto due secoli fa, non è ancora chiaro come il secondo problema, contrario al primo, possa essere risolto oggi.

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Le Ferrovie che cessano di essere in funzione liberano aree urbane dotate di caratteristiche particolati e uniche. Per loro stessa genesi sono tutte aree collegate in modo diretto, cioè senza presenza di ostacoli, al territorio circostante. Le Ferrovie sono quindi classificabili, per quanto riguarda la viabilità, come vie di immediata comunicazione con i dintorni: il che vuol dire di accesso diretto dalla campagna alla città, e di uscita altrettanto diretta dalla città verso la campagna. Per quanto riguarda la configurazione planimetrica le Ferrovie si presentano come nette incisioni aperte nel tessuto edilizio, come lunghe e sottili solchi che attraversano la città. Solo in corrispondenza delle Stazioni la stretta sezione della linea ferroviaria si modifica e allarga; e diventa uno slargo a forma d’imbuto, quando la stazione è di testa; oppure a forma di fuso, quando la stazione è di transito; la forma è invece mutevole e casuale quando lo slargo coincide con uno scalo ferroviario.

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Il tracciato planimetrico delle linee ferroviarie all’interno della città, suggerisce, quando le linee cadono in disuso, alcune destinazioni d’uso particolari: tolti i binari, la via ferrata può trasformarsi in una comoda pista ciclabile, continua e ininterrotta, che dal centro conduce alla periferia e viceversa, senza subire rallentamenti agli incroci, senza sottostare a fermate davanti ai semafori. Oppure la via ferrata può accogliere una costruzione a forma di nastro continuo, non troppo alto né troppo largo – perché condizionato dalla vicinanza delle due cortine di case tra le quali corrono i treni – ma tale da diventare un segno edilizio insolito e caratteristico nell’estensione edificata della città. In quale altra zona della città viene offerta l’occasione di trovare una striscia edificabile così lunga e continua? Dove la possibilità di trovare, nel centro urbano già fittamente costruito, un’area libera di così insolite dimensioni?
Altrettanto stimolanti soluzioni urbanistiche si possono realizzare in corrispondenza degli slarghi prima occupati dalle stazioni. Dove trovare aree libere di così grandi dimensioni senza ricorrere a demolizione del tessuto preesistente?

Si presenta per la città un’eventualità straordinaria e irripetibile, paragonabile, per dimensione fisica e trasformazione spaziale, alla demolizione dell’anello murario medioevale, o all’abbattimento della cinta dei bastioni spagnoli; com’è avvenuto a Milano; dove tuttavia la demolizione non si è trasformata in un bene per l’urbanistica della città; mentre in altre città, come Vienna, si è attuata una trasformazione imponente e monumentale, nota per essere diventata un esempio di ottima sistemazione urbana.
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Sembra tuttavia che, nonostante l’indubbia novità planimetrica offerta dallo smantellamento delle Ferrovie, nessuno si sia ancora accorto di questa straordinaria occasione urbanistica, e tutti si siano limitati a concentrare la loro attenzione soltanto sulle possibili utilizzazioni delle aree libere, proponendo le consuete e ormai ripetute destinazioni d’uso: un po’ di residenza, nella quale non può mancare una percentuale di case popolari; un po’ di terziario, con qualche grattacielo occupato da uffici; un po’ di commerciale, con forte prevalenza di supermercati; un po’ di verde, denominato pomposamente parco, ma in realtà ridotto a qualche sparuta e sperduta aiuola; un po’ di servizi pubblici, lasciati per ora indeterminati. Questo è il quadro desolante apparso nei due recenti incontri tenuti alla presenza dei cittadini, e indetti dal Comune di Milano sul tema delle Ferrovie dismesse: un primo incontro al Punto Expo della Stazione Garibaldi, avvenuto il 18 maggio; l’altro incontro all’Urban Center della Galleria, avvenuto il 26 maggio.

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La totale cecità di fronte ad una visione corretta e lungimirante del problema urbanistico.

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Due sono le cause dell’attuale aberrante modo di concepire l’urbanistica: a) considerarla esclusivamente sotto l’aspetto burocratico, fatto di quantità, standard, di indici; e ignorare la qualità delle forme, dello spazio, dell’ambiente; b) considerarla principalmente sotto l’aspetto imprenditoriale, centrato sul profitto, sul guadagno, sull’affare e ignorare i diritti della collettività che chiede migliori condizioni urbane per una vita armonica, sana, gradevole.
Le aree dismesse della Ferrovia possono diventare per la città un’irripetibile occasione di bellezza, se si è capaci di valorizzare le loro qualità spaziali e ambientali; saranno invece un’ulteriore occasione perduta se verranno concepite esclusivamente per ottenere il massimo sfruttamento edilizio.

Jacopo Gardella

1 giugno 2009



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  1. Giuliana FilippazziHo conosciuto l'architetto Jacopo Gardella quando Italia Nostra ha affidato a lui il compito di seguire il progetto di ampliamento del Giardino dei Giusti sul Montestella, contestato da molti cittadini, non solo residenti. Mi hanno colpito subito la sua disponibilità e gentilezza, direi la sua modestia e attenzione nel raccogliere la nostre proteste e proposte da cittadini incompetenti, senza “sbandierare” la sua competenza, e coinvolgendo nella “nostra” azione colleghi di chiara fama. L’esito non è stato quello auspicato, ma mi ha permesso di conoscere una persona di estrema gentilezza e garbo, sempre generoso e disponibile a darci una mano contro progetti dettati dalla sete di denaro. Sul più recente, gabellato da Scaroni come “meraviglioso regalo alla città”, ecco il suo parere: "Definire terrificante la minaccia di demolizione e spianamento dello Stadio non è espressione esagerata né iperbolica". L’ultima volta che ci siamo visti è stato proprio in occasione di un consiglio comunale su questo progetto, a cui Jacopo è intervenuto pur non stando bene. Gentile e generoso come sempre, un vero "signore", di cui si sta purtroppo perdendo lo stampo …
    3 marzo 2021 • 11:08Rispondi
  2. Francesca AcerboniHo avuto la fortuna di intervistare Jacopo Gardella l'anno scorso, in occasione di un articolo che stavo scrivendo sul Padiglione dell'Agricoltura di Ignazio Gardella, uno dei primi progetti che Jacopo fece, da giovane architetto, insieme al padre. Era felice si studiasse ancora quell'edificio, e dedicò all'intervista tempo e entusiasmo: si prodigò in ricordi personali, ma anche racconti precisi sul progetto, sul significato costruttivo di molti dettagli solo apparentemente decorativi. Sempre, tenendosi un passo indietro rispetto al progetto del padre, con garbo e discrezione. Addirittura mi chiese di togliere il suo nome in più punti, e di lasciarlo solo in nota al testo. Fu molto felice di ricevere l'articolo pubblicato, via email, e mi telefonò riconoscente. Avremmo poi dovuto incontrarci, quando possibile, non appena avessi ricevuto le copie della rivista ARK. Che purtroppo non ha fatto a tempo a vedere. Resta il ricordo del suo sguardo curioso e intelligente, e dei suoi modi sempre gentili. Ci mancherà!
    3 marzo 2021 • 16:03Rispondi
  3. Giuseppe NataleQuando ho saputo della morte di Jacopo Gardella, mi sono permesso di scrivere al suo cellulare: "Incredulità e immenso dolore per l'improvvisa scomparsa del mio caro amico Jacopo. La tua gentilezza, la tua disponibilità generosa a mettere al servizio di giuste cause le tue competenze di architetto e di urbanista non le dimenticherò mai, insieme ai tanti comitati di cittadinanza attiva con i quali hai collaborato. Che la terra ti sia lieve. Riposi in pace".
    3 marzo 2021 • 18:17Rispondi
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