27 febbraio 2021

RICORDANDO JACOPO GARDELLA

Un architetto, un professore, un amico


Ho saputo di lui per la prima volta quando, al primo anno di università, scoprii l’architettura di Ignazio Gardella, che è rimasta da allora una mia grande passione. Ignazio non l’ho conosciuto per poco. Ricordo come fosse ieri Luciano Patetta che, prima di iniziare una delle sue memorabili lezioni di storia dell’architettura, una mattina di marzo del 1999, annuncia con commozione a noi studenti: “Oggi è morto un grande architetto”.

Gardella per Sacerdoti

Anche Jacopo è stato un bravo architetto, seppure si sentisse forte l’influenza del padre, con cui collaborò in varie occasioni dall’inizio degli anni Sessanta.

Tra le opere progettate da Jacopo in autonomia vorrei ricordare la sistemazione di un cortile della sede storica del Politecnico in piazza Leonardo da Vinci, inaugurata nel 2001 nel secondo centenario della nascita di Carlo Cattaneo, di cui una lapide inserita nel progetto riporta due belle citazioni. Sono passati già vent’anni, e anche se da tempo è abbandonata all’incuria, rimane un’opera insieme forte e raffinata, inserita in modo armonioso nel contesto preesistente. C’è da augurarsi che venga presto restaurata e valorizzata come merita.

Conobbi Jacopo nell’autunno del 1999, quand’ero studente nel laboratorio di progettazione del secondo anno di Angelo Torricelli e Daniele Vitale, nella facoltà di Architettura del Politecnico a Bovisa. Le sue belle lezioni mi colpirono profondamente: aveva un modo fresco e immediato di raccontare l’architettura, sempre attento alla concretezza degli edifici e alle ragioni nascoste e profonde dei progetti, fuori dagli stereotipi della storiografia ufficiale. Questo suo sguardo, libero e spregiudicato, e la passione che metteva nel suo lavoro avevano grande presa su noi studenti.

Ricordo anche un episodio divertente: era stata organizzata una visita della stazione di Lambrate, uno dei progetti fatti insieme a Ignazio, e Jacopo non la smetteva di fare domande sugli scambi e su altre questioni tecniche al dirigente che ci spiegava il funzionamento della stazione. Noi studenti scalpitavamo, volevamo vedere l’architettura, e Jacopo ci sembrava un bambino curioso che vuole sapere tutto sui treni.

La nostra amicizia è nata molti anni dopo: mio padre l’aveva conosciuto in occasione di qualche comune battaglia per l’architettura o l’urbanistica di Milano, ed eravamo stati invitati alla sua cena di nozze. In quell’occasione Jacopo mi presentò ai suoi amici come “Il Sacerdotino”, diminutivo che trovai lezioso e insopportabile. Non immaginavo che sarebbe diventato uno dei miei amici più cari.

Qualche tempo dopo – era l’estate del 2007, avevo iniziato da qualche mese il dottorato in Composizione architettonica – ci fu la nostra prima ed ultima collaborazione professionale: il progetto Parco Possibile, tentativo disperato e fuori tempo massimo – promosso da Milly Moratti con l’associazione Chiamamilano – per salvare la Stecca degli Artigiani e proporre un’alternativa al progetto Porta Nuova, dimostrando che con la stessa volumetria si potevano fare un parco grande due volte la Biblioteca degli Alberi e un quartiere sobrio e decoroso, senza bizze da archistar. Naturalmente non se ne fece nulla, e quel progetto si è aggiunto alla serie infinita di progetti non realizzati per Milano.

Lavoravamo nello studio di via Verdi: la nobile semplicità e quieta grandezza delle belle stanze ottocentesche ebbe forse un influsso positivo sul progetto. La collaborazione fu appassionante e non priva di conflitti: quando Jacopo si impuntava su una questione e osavo contestarlo, perdeva le staffe e diventava una furia. Ma alla fine fu una grande soddisfazione per entrambi e un’occasione preziosa per confrontare le nostre idee sull’architettura.

Nello stesso periodo, o poco dopo, Jacopo si trasferì di fianco allo studio, nell’altra metà di quella che fu la casa milanese di Giacomo Puccini, con bella vista sul fianco del Teatro alla Scala. L’appartamento fu ristrutturato un po’ “alla garibaldina”, come disse con tono scherzoso durante i lavori, ma sistemato e arredato con grande gusto ed equilibrio tra i pezzi antichi e quelli moderni, in gran parte disegnati da Jacopo, nella migliore tradizione degli interni milanesi.

Circa una volta al mese ero a pranzo da lui, anzi “a colazione”, come diceva con espressione ormai desueta: presenze fisse il suo fedele cuoco e domestico Vincent e l’immancabile campanella, suonata con discrezione quando giungeva il momento di passare alla pietanza successiva. Questo ricordo, insieme a quello di alcuni piatti “classici”, come la ciambella di polenta con i funghi, sarà certamente scolpito nella memoria dei tanti che hanno frequentato la casa di Jacopo.

Infatti questi pranzi – insieme alle cene, un po’ meno frequenti – erano occasione non solo per incontrare Jacopo, la cui conversazione garbata ma non priva di spunti polemici e ironici era sempre piacevolissima, ma anche per conoscere le sue amiche e i suoi amici. Talvolta si creavano epiche tenzoni tra persone che esprimevano idee opposte, e Jacopo si divertiva molto in queste situazioni, al punto che talvolta sembrava prenderci gusto e gettare benzina sul fuoco. Ma alla fine l’atmosfera si distendeva quasi sempre, grazie anche all’ottimo cibo e all’abbondante vino che Vincent versava ostinato nei nostri bicchieri.

Gli argomenti spaziavano dall’architettura, all’urbanistica, alla politica, alla storia, alla storia dell’arte, alla musica, alla letteratura, al cinema, al teatro: non c’era ambito della cultura che non suscitasse la curiosità e le riflessioni di Jacopo. Ecco forse trovata una chiave della nostra amicizia: non ci univa solo la passione per l’architettura, ma questa curiosità insaziabile per il mondo e per le persone.

Negli anni lo scambio è diventato reciproco: ai suoi pranzi c’erano amici suoi e amici miei, e nei casi più fortunati nascevano e si intessevano nuove amicizie. Nessun limite d’età o di censo, quel che contava era che fossero persone colte, sensibili e soprattutto intelligenti, la qualità che Jacopo prediligeva: “Invita quella tua amica intelligente” era una sua frase tipica.

Nell’ultimo anno, complici la malattia di Jacopo e la pandemia, non ci siamo più visti, ma in compenso si è intensificato lo scambio via mail, con confronti e discussioni sempre appassionanti e stimolanti, spesso intorno ai temi della storia e dell’attualità della nostra amata – e massacrata – Milano.

Vorrei chiudere con l’ultima bellissima mail che mi ha inviato a fine 2020, forse fin troppo lusinghiera nei miei confronti:

Caro Pier Francesco,
mi fa molto piacere ricevere le tue mail sempre piene di notizie interessanti. Auguri per i tuoi due libri, uno su via Dante e l’altro sui progetti non realizzati.
Mi viene in mente il nostro di anni fa per via Melchiorre Gioia e Porta Genova [sic]. Non era un brutto progetto. Aspetto ora di vedere i tuoi 10 non realizzati di cui sono curiosissimo.
So dai tuoi seguaci che le tue lezioni sul posto domenicali hanno molto meritato successo. Stai diventando un propagatore di cultura architettonica milanese!
Alla Università le persone con cui lavori sono serie ed affidabili. Spero abbiano il potere di aiutarti a salire in cattedra.
Tu avrai fatto un Natale di lavoro: bravo. Io purtroppo di forzata malattia. Per ora non ci sono sensibili miglioramenti.
Ti abbraccio e ringrazio per i contatti che sempre tieni con me e che apprezzo molto.
Jacopo

Piefrancesco Sacerdoti



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  1. Maria GregorioMi ha fatto molto piacere leggere questo bel ricordo dell’arch. Jacopo Gardella. Vorrei solamente aggiungere che proprio a Milano, a Brera, si può visitare un suo lavoro, forse minore, ma di grande sapienza e bellissimo impatto: qui, su incarico di Antonio Ria, ha infatti allestito la saletta dedicata alla scrittrice Lalla Romano, cui si accede dalla Biblioteca Teresiana. Mi occupo da molti anni di musei letterari e posso testimoniare che questo museo 'in nuce', grazie all’allestimento ideato da Gardella, è uno dei più affascinanti e intelligenti che esistano in Italia. Maria Gregorio
    3 marzo 2021 • 09:25Rispondi
  2. Giovanna Franco Repelliniche tristezza...
    3 marzo 2021 • 17:09Rispondi
  3. Salvina InzanaLeggere questo bel ricordo di Jacopo mi ha fatto rivivere dei bei momenti passati con lui ed i suoi amici durante le "colazioni" di cui anch'io ho avuto l'onore di far parte. Jacopo mi ha fatto conoscere così alcuni suoi amici...è, tra una scampanellata e l'altra al suo sorridente collaboratore domestico Vincent, il tempo passava veloce. Dopo la colazione si passava nel suo delizioso salottino per bere il caffè e salutarci, per permettere ad Jacopo il suo riposino pomeridiano prima di riprendere il lavoro nel suo studio accanto. Sono contenta di avergli regalato dei lavoretti dei miei alunni, perché li ha accettati con gioia e li mostrava ai suoi convitati ad ogni colazione insieme. Resta una delle persone più belle che abbia mai conosciuto.
    22 marzo 2021 • 20:19Rispondi
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