20 ottobre 2020

AI TAVOLI DI SALA SI SERVONO LE BRIOCHES

Tempo di Covid o dell’ineffabile leggerezza del pensiero sul futuro


Parliamo di brioches non di pane, tanto per capirci e me ne scuso. Comunque l’articolo di Giuseppe Ucciero di qualche giorno fa, dal titolo NAVIGLI E RECOVERY FUND, ha sollevato un notevole numero di commenti e un articolo che pubblichiamo di Roberto Biascardini di dura replica. Giuseppe Ucciero ha risposto sia ai commenti in calce al suo articolo sia a Biscardini.

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Per parte mia mi ero messo l’animo in pace pensando che questo progetto di riapertura dei Navigli fosse finito se non nel dimenticatoio quanto meno in coda alle priorità di spesa della Pubblica amministrazione milanese ma non è così.

Non possiamo sottrarci a questo nuovo dibattito visto che tra il 2009 e il 2019 abbiamo ospitato una settantina di articoli, alcuni miei, (allegato 1) che nella stragrande maggioranza erano di dissenso ma molti dei quali contenevano delle domande, essenziali, sulla reale fattibilità e sui presupposti “vantaggi” per la città.

I promotori del progetto, Roberto Biscardini, il Politecnico che lo elaborò, il Comune che lo mise all’ordine del giorno e che lo incluse negli strumenti urbanistici si guardarono bene dal rispondere o argomentare le loro scelte, fatto tristemente normale e contradditorio per questa Giunta che ogni due per tre dichiara di porsi all’ascolto dei cittadini, o forse siamo noi a non aver capito che si impegnano ad ascoltare ma non a rispondere: i cittadini come soggetti passivi. La Milano irriverente versus la Milano resiliente. Per tuti gli stupidi anglomani dell’amministrazione: ”To ask is permitted to answer courtesy!”. Forse adesso capiscono.

Comunque a rinverdire il progetto ci ha pensato la Città Metropolitana dando finalmente un segnale di esistenza in vita, il che è già qualcosa, candidandosi all’utilizzo del Recovery Fund per una somma di Euro 1.013.000.000. dei quali poco meno delle metà per il progetto della navigabilità nel capoluogo milanese e una pari cifra per la navigabilità nel restante territorio milanese.

Il titolo del progetto suona così: “LA GRANDE MILANO DIVENTA NAVIGABILE: ripartire dall’acqua per raccontare l’identità di 133 comuni e rilanciare economia sostenibile e patrimoni dimenticati approdando al Turismo 4.0.”.

Non voglio utilizzare questo spazio per un esame critico della scheda di progetto e dei suoi contenuti; delle manchevolezze e contraddizioni originarie abbiamo parlato in molti su ArcipelagoMilano ma ora invito i lettori a guardare la scheda di progetto (allegato 2) con l’occhio di un funzionario europeo che dovesse assegnare dei fondi con la logica del Recovery Fund: penso che non lo metterebbe in cima alla lista se conoscesse appena un poco la realtà italiana.

Basta leggere il punto b.5: durata prevista per l’attuazione 3 anni (appalto, costruzione, fine lavori) e il punto d.2 dove si dice: realizzazione entro il 31.12.2026.

Durata e data assolutamente irrealistiche nel nostro Paese che sembrano così scandite: elaborazione del progetto, sua validazione, approvazione da parte degli enti preposti, 3 anni (01.01.2021 – 01.12.2023) e poi dal 1 gennaio 2023 al 31 dicembre 2026 per la cantierizzazione delle opere, il loro collaudo e la consegna.

Nella prima parte dell’operazione ci sarà da fare il vero progetto esecutivo di tutte le opere e la valorizzazione reale delle stesse (oggi aleatoria), l’approvazione da parte dei 333 comuni coinvolti, – augurandoci che non ci siano da riadottare varianti ai singoli strumenti urbanistici -, il coordinamento e il consenso di tutte le autorità che presiedono alla gestione delle acque superficiali, torrenti, canali, rogge (almeno una decina) e varie autorità di bacino.

Fatto questo, o nel suo durante ma a valle del progetto esecutivo e quindi non prima della fine del 2021, l’indizione di tutte le gare d’appalto che, Codice dei Contratti pubblici alla mano, dal progetto esecutivo alla consegna delle aree di cantiere statisticamente non richiede meno di 12 mesi, dunque se tutto va bene, se non ci sono ricorsi o imprevisti, i cantieri apriranno nel 2023 e avranno tre anni per consegnare le opere.

È realistico tutto questo? È il libro dei sogni? La vicenda delle vasche di laminazione del Seveso ha insegnato niente?

Allora pensiamoci bene prima di chieder soldi alla UE e mandiamo progetti credibili perché già ci conoscono per la nostra efficienza: non riusciamo nemmeno a spendere i finanziamenti ricevuti in passato.

Sulla praticabilità dei progetti vorrei dire qualcosa a proposito dei sette tavoli che, cominciati da due giorni, i primi di novembre dovrebbero elaborare delle proposte.

Non sarebbe male che ogni proposta, per essere credibile, sia accompagnata da un cronoprogramma che si confronti con la realtà burocratica del nostro Paese e forse anche allegare ad ogni proposta un diagramma PERT (Program Evaluation Review Technique), una metodologia molto usata in edilizia per individuare il cosiddetto “percorso critico”, ossia quali siano i nodi essenziali da sciogliere e tenere ben monitorati affinché il cronoprogramma non vada a farsi benedire. Vero pane e non brioches.

È chiedere troppo?

È chiedere troppo che le proposte che emergeranno siano almeno divise in due categorie: le proposte che hanno un costo e quelle che non lo hanno ma che concernono leggi, norme, regolamenti, passaggi burocratici? Non serve il Recovery Fund (meglio il Next genaration).

È chiedere troppo a chi interviene a questi tavoli di non raccontarci cose che sentiamo da trent’anni a questa parte senza domandarsi perché in trent’anni siamo ancora al capolinea?

Quando faccio questa domanda ai “decisori”, agli eletti del popolo, mi sento rispondere “… sai la burocrazia …”.

Ma chi diavolo l’ha messa in piedi questa dannata burocrazia? Noi cittadini elettori? Perché nessuno ci mette mano seriamente e quando qualcuno lo fa lo si manda a casa? Una ragione, vera, è che la burocrazia, una sorta di quinto potere (forse il primo), fa comodo a tutti: una grande coperta che copre l’incapacità e la pochezza di chi governa, la giostra dello scarica barile.

Dunque insieme alle idee si deve pensare a come realizzarle; questo vaglio della fattibilità ci eviterebbe illusioni, perdite di tempo e false partenze, sempre che l’obiettivo non sia solo quello di farsi fotografare a tagliar nastri o con una vanga in mano quando le elezioni si avvicinano.

Luca Beltrami Gadola



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