28 luglio 2020
RIFARE LA CITTÀ O RIFARE PRIMA I CITTADINI?
Riflettere su un futuro difficile
28 luglio 2020
Riflettere su un futuro difficile
È da qualche giorno che mi vado facendo questa domanda – prima la città o i cittadini – dopo aver letto sul Corriere Milano l’articolo di Elisabetta de Andreis che illustra i dati di una ricerca fatta dalla Fondazione Exodus di Don Mazzi sul post Covid e i giovani che inizia così: «I giovani quando hanno problemi o corrono rischi non si confidano con gli adulti. Tengono tutto all’interno del loro gruppo. ”No snitch” chi parla è fuori: è il loro motto. Non si fidano né dei genitori, né dei docenti.».
Non voglio dilungarmi a riportare i risultati di questa ricerca, faccio più in fretta a riprodurre la grafica che il Corriere Milano pubblica a corredo dell’articolo.
M’immaginavo che questa indagine meritasse qualche commento da parte di chi ha a cuore il futuro della città, perché ogni due per tre Sindaco e assessori dicono che i giovani sono in cima alle loro preoccupazioni.
Così come in cima alle preoccupazioni di urbanisti celebri e meno celebri sembrano oggi, nel dopo Covid, esserci la creazione di spazi che favoriscano la socialità dei giovani. Poi parleremo degli stessi intellettuali quando si confrontano con lo Smart Working.
Prima che il Covid chiudesse tutto, andando al cinema percorrevo spesso Corso Como al momento dell’happy hour e notavo, non sono il solo a farlo, che i giovani erano tutti chini sullo smartphone, ognuno il suo, anche se erano in coppia. Lo stesso al ristorante, intere famigliole ma tutti con lo smartphone in mano.
Se fossimo dei biechi liberisti che si limitano a dire che va soddisfatta la domanda per quello che è, dovremmo pensare a grandi spazi coperti dotati di comodi divani con ben disposti distributori di bevande e una lieve costante musica di sottofondo. Un paradiso.
L’architetto Carlo Ratti sia sull’edizione nazionale sia su quella milanese di la Repubblica ci ha recentemente parlato, a proposito del dopo Covid, della necessità di questi nuovi spazi sociali, citando gli esempi di altri paesi nord europei ma senza descrivercene le caratteristiche. Come sono? Qual è il meccanismo che facilita la socialità? Anzi la genera? A Milano, tanto per parlare di casa nostra, dove potremmo farli? In una città già costruita?
Non sono certo le operazioni di Urbanistica Tattica del nostro assessore Maran con le sue piazze dipinte a dare una risposta alla socializzazione di Milano orientata ai giovani, un assessore che non ha ancora capito che il “risparmio di suolo” non riguarda solo la cosiddetta “cementificazione” che consiste in sostanza nel sottrarre spazi verdi e colpevolmente impermeabilizzarli (vedi relazione Ispra) ma nel contenere il peso antropico (esseri umani e loro attività per ettaro), che è altra cosa, quella sì veramente importante.
Se si facesse il conto del peso antropico ci accorgeremmo che Milano se la passa malissimo, visti anche i problemi di inquinamento … i soliti. Ma del peso insediativo non si vuol parlare, dobbiamo stare allegri: ”E sempre allegri bisogna stare/che il nostro piangere fa male al re/fa male al ricco e al cardinale/diventan tristi se noi piangiam, …”. Impagabile Jannacci.
Veniamo al sodo: il Covid ha fatto emergere prepotentemente i problemi della società e tra questi il problema della socialità, soprattutto dei giovani ma anche degli adulti. Si parla di egoismo sociale e di isolamento dal mondo e dai suoi problemi e, prima di tutto dalla “politica”.
È possibile ricostruire una società? Certo che sì ma ci vorrà più tempo che per ricostruire il ponte Morandi, anni certamente.
Cominciando da dove? Dalla scuola come sempre ma pare che quest’ultima non se la passi tanto bene. Solo nella scuola si insegna? No, anche con l’esempio. Allora siamo messi peggio.
Ultima ora
Prima di chiudere e caricare sul sito il mio editoriale mi cade l’occhio su un titolo di Repubblica Milano: Sfida tra archistar per reinventare la città del futuro. Ho tremato pensando che fosse vero, che fosse partito un concorso per la Milano del dopo Covid. Per fortuna non è così, almeno per ora.
Si tratta invece di un elenco di aree, ex Scali e così via, sul quale le nostre amate archistar debbono proporre dei progetti e mi domando: sono gli stessi progetti che avrebbero fatto prima del Covid? Sempre avendo a cuore gli interessi degli immobiliaristi che non è detto coincidano con quelli della cittadinanza? Se non sono gli stessi, si inseriscono in una visione della città post Covid? A quale visione si riallaciano? Visto che Sindaco e Giunta non credo ne abbiano ancora elaborata una e che andrebbe discussa in Consiglio Comunale e confrontata con la cittadinanza.
Luca Beltrami Gadola
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