5 maggio 2020

UNA RIPARTENZA PER AUMENTARE LA DIGNITÀ DELL’UOMO

“Nessuno deve restare indietro” Il motto della ripartenza


La ripartenza non deve lasciare indietro nessuno ma è la grande occasione per riorganizzare la società correggendo gli errori del passato che ci hanno portato alla situazione odierna

longhi

Dal 1972, anno della Conferenza di Stoccolma sull’ambiente, in cui furono presentati due studi fondamentali per la gestione consapevole delle risorse, “I limiti dello sviluppo” e “I limiti della povertà”, siamo stati inondati da rapporti scientifici che hanno segnalato eventi dirompenti per la condizione umana: dai rapporti IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) sul cambiamento climatico e Human Development sulle risorse umane (dal 1990), fino a “Planet Boundaries” (2007) che illustra gli effetti di una gestione dell’economia che ha portato al superamento della capacità di carico ambientale del pianeta.

In questa narrazione, cui hanno contribuito molteplici autorevoli parti scientifiche, gli elementi sono sempre gli stessi: crescita esponenziale della popolazione e delle ineguaglianze, depauperamento degli ecosistemi e loro irresponsabile invasione da parte dell’uomo. Una situazione che Paul Ehrilch, autore nel 1968 di “Population Bomb”, descrive oggi come la premessa della sesta grande estinzione di massa. In quest’ambiente, in questi giorni, prolifera il corona virus, frutto di politiche aggressive accompagnate da evidenti carenze nelle politiche sanitarie, ambientali e sociali. E da questa evidenza dovrebbe iniziare la ripartenza della “Fase 2”, che con drammatica incoscienza politici e rappresentanti del mondo dell’economia vorrebbero rapida e ‘as usual’, per riprendere così una forsennata corsa verso scenari di terrore, viste le ricadute verificatesi a Hong Kong, Singapore e Corea.

Il corteo dei rinoceronti

Non si può ignorare come alla retorica delle dichiarazioni sia seguito un impegno reale da parte della comunità internazionale che è ottimistico definire modesto.

L’impegno operativo da parte dell’ONU a diminuire la pressione ambientale e, nello stesso tempo, avviare processi economici ‘non carbon’ e più equi, si è manifestato a livello organizzativo con le Agende per lo sviluppo sostenibile (Conferenza di Rio 1992) che si sono evolute con l’Agenda Millennium (2000) e poi con l’Agenda Sustainable Development Goals 2030. A queste avrebbe dovuto seguire l’impegno operativo dei singoli paesi.

Ma un bilancio a settembre 2019 evidenzia come solo 33 paesi hanno approvato l’Agenda 2030-SDG e solo 18 di essi la menzionano nei documenti del bilancio centrale. Per dare un’idea nella classifica del Sustainable Development Index l’Italia è al 30° posto, gli USA al 35°, la Bulgaria al 36°.

Sarà la giovane svedese Greta Thunberg con una serie di argomentazioni largamente note sulla gravità della situazione ambientale e sull’insufficienza dell’azione politica a raccogliere l’entusiasmo dei ‘millenials’ e, guarda un po’, anche dei politici e delle parti sociali che avrebbero dovuto intervenire ma non hanno fatto nulla. Anche nel nostro paese, alla fine dello scorso anno, si scatena una rappresentazione che ricorda la commedia “Il rinoceronte” di Jonesco: a tutti i responsabili della politica, dell’economia, della cultura, spunta in fronte l’unicorno della difesa ambientale e si origina un grande corteo di rinoceronti in cui non manca nessuno: ci sono i sindaci che hanno derogato alle prassi ambientali in nome dell’urgenza dei grandi eventi, i tecnici che hanno elaborato i regolamenti edilizi ma hanno dimenticato la sostenibilità, i ministri che da sempre non inviano report ambientali agli organismi preposti, i progettisti che dimenticano il computo dei consumi energetici nei loro progetti, gli imprenditori che maledicono le valutazioni d’impatto ambientale. Insomma, non manca proprio nessuno degli attori irresponsabili che, come ha dimostrato in modo inequivocabile la parte più responsabile del mondo scientifico, ci stava conducendo a rotta di collo verso le fauci del pipistrello e del pangolino.

Verso la sesta grande estinzione

Negli Stati Uniti, in occasione della giornata della terra (2019), si è assistito a un altro spettacolo: un imponente corteo composto dai rappresentanti di tutte le categorie del sapere si è dispiegato a ferro di cavallo davanti alla Casa Bianca ed ha invocato l’attenzione dei politici verso i documenti scientifici fondamentali sullo stato dell’ambiente, la cui disattenzione ci sta conducendo verso “la sesta grande estinzione”.

Infatti, siamo di fronte ad un ecosistema gestionale della politica, della cultura e dell’economia al collasso, fra le cause significative di tale situazione si possono ricordare:

  • il mancato contributo ai programmi di riduzione dell’impatto delle attività umane sulla terra promossi dalle Nazioni Unite, da parte delle nazioni che più contribuiscono al ‘carico ambientale’: gli USA e le grandi potenze con alto saggio di popolazione (India e Cina);

  • il fallimento, da parte delle economie avanzate, del passaggio dai processi economici basati sul ‘fossile’ a processi biocompatibili;

  • i livelli crescenti dell’iniquità economica;

  • il peso dell’innovazione con scopi militari che ha distolto risorse dall’evoluzione sociale (vedi la traiettoria dalla smart city alla surveillance city);

  • le irresponsabili campagne per la crescita demografica, che continuano ad alimentare la “population bomb”;

  • l’accelerazione dei processi di invasione degli ecosistemi da parte dell’uomo, ben documentata dal rapporto WWF “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi”.

Con l’arrivo della pandemia l’ecosistema sanitario-sociale metropolitano lombardo collassa, coinvolgendo più di otto milioni di cittadini, così come a New York non basterà il transatlantico con mille posti letto inviato dal Dipartimento della Difesa nella baia dell’Hudson a contenere il danno.

E in queste condizioni si riparte ‘as usual’ per la fase due?

Fase 2: oltre la sopravvivenza la rigenerazione del sistema

Premesso che i contenuti della Fase 2 devono essere subordinati a obiettivi di tipo sanitario, perché se non riuscissimo a contenere stabilmente il virus potremmo non avere nulla di normale cui tornare. Per quanto riguarda le riaperture in Italia non possiamo permetterci che esse siano la semplice riconferma dello stato esistente prima del virus, ossia la ripartenza di un sistema economico a bassa produttività, con una parte pubblica debole, assente nel sostenere i processi internazionali di avanzamento verso la sostenibilità.

In sostanza non possiamo permetterci che la massa finanziaria legata a Covid-19 supporti un futuro non sostenibile; pur nella consapevolezza della forza esercitata nel nostro paese e a scala internazionale dalle ‘lobby del carbonio’, non possiamo permettere che alla pandemia sanitaria si aggiunga quella economica.

Quindi la fase (o le fasi) delle riaperture sono condizionate a un sistema olistico di politiche tese a:

  • garantire alle persone un salario di sussistenza per il periodo di interruzione del lavoro;

  • proiettare in avanti la visione delle aziende, agevolando il loro inserimento nei programmi di evoluzione sostenibile delle stesse. Questo genererebbe, oltre che benefici sociali e ambientali, anche il rafforzamento delle imprese, in quanto agevolerebbe politiche collaborative e in rete;

  • individuare i nuovi settori trainanti, quindi programmare l’evoluzione della struttura produttiva verso la produzione di beni non rivali (fondati sullo sfruttamento dell’intelligenza) e sull’aumento della biodiversità, per recuperare la passata perdita e per rivalutare una specificità italiana: siamo il paese con il più alto tasso di biodiversità.

Queste politiche implicano un’amministrazione pubblica efficace, reattiva e capace di sviluppare le soluzioni in modo resiliente per affrontare tempestivamente i cambiamenti improvvisi.

Penso che ‘ancorare’ la ripartenza agli obiettivi dell’Agenda 2030 permetta rapidamente al nostro paese di ancorarsi a una strategia di rigenerazione di cui è in attesa dalla caduta del muro di Berlino (1989). Sarebbe inoltre un modo efficace per inserire in un quadro ‘progettuale’ sindacati dei lavoratori e delle imprese, in evidente crisi di propositività. Sarebbe infine una brillante dimostrazione della capacità del nostro settore pubblico di praticare politiche glo-local, grazie a una governance condivisa a scala internazionale ma adattata a scala locale, quindi contestuale e resiliente.

Come suggerisce l’ONU, l’applicazione degli obiettivi SDG 2030 dovrebbe avvenire in modo semplificato, date le urgenze, e guidata dai principi di “Nessuno deve restare indietro”, dello Sviluppo Circolare e del Decoupling (ossia gli aumenti di produttività devono essere raggiunti riducendo il consumo delle risorse naturali). La ripartenza sarebbe così accompagnata dalle seguenti trasformazioni prioritarie:

1. Istruzione, per aumentare le capacità delle risorse umane, e ridurre le diseguaglianze di genere ed economiche;

2. Salute, per allungare e rafforzare la filiera della cura pubblica;

3. Decarbonizzazione energetica e sviluppo delle ‘smart grid’, per diminuire il carico ambientale dello sviluppo;

4. Sviluppo sostenibile della filiera del cibo, in sinergia con la riqualificazione delle risorse naturali e l’inventario della biocapacità del territorio;

5. Adozione dei parametri di sostenibilità, sottoscritti nelle Convenzioni internazionali sull’ambiente, per lo sviluppo di città, industria e comunità;

6. Priorità al potenziamento delle risorse umane nelle applicazioni della rivoluzione digitale.

La ripartenza è così l’occasione per avviare uno sviluppo basato non solo sulla crescita del Prodotto Lordo, ma sulla reale crescita della dignità dell’uomo, in base a una serie di fattibili alternative. Si svilupperebbe così un modello il cui motore è ambientalmente non invasivo, in quanto fondato su sapere e cultura, e teso alla convivenza con il patrimonio naturale, quindi capace di coniugare le nuove tecnologie con la bellezza del nostro ambiente.

Giuseppe Longhi

Prima pubblicazione: Mondohonline del 22.04.2020



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  1. Fiorello CortianaCondivido assolutamente la lucida chiarezza del quadro problematico, delle iniziative internazionali, delle ipocrisie trasversali nostrane, degli indirizzi per una politica dell'innovazione qualitativa. Credo che sia tempo di scendere da un Aventino quanto mai affollato, per chi condivide uno sguardo paradigmatico per la sostenibilità dell'azione della specie umana su questa Piccola Terra.
    11 maggio 2020 • 08:01Rispondi
    • Giuseppe Longhipenso che, con estrema urgenza, occorra proporre un'agenda civica per la resilienza metropolitana. ciao
      13 maggio 2020 • 16:31
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