14 gennaio 2020
PARCO BASSINI, L’IRA DI SALA
Dopo la lettera a la Repubblica
Alla vigilia di Natale il sindaco Sala ha scritto una lettera a la Repubblica* che mi ha colpito: parlava della sua fede religiosa e del dramma di chi, cattolico, non può accostarsi al Sacramento della Comunione perché divorziato. In questa lettera ha inoltre ribadito i principî ai quali vorrebbe attenersi in quanto osservante.
Che cosa abbia spinto il Sindaco a rivelare ai milanesi questo suo problema personale mi sfugge; lui stesso dice di aborrire l’ostentazione della propria religiosità, una pratica salviniana e allora perché?
Come si suol dire: ”Avrà avuto le sue buone ragioni”.
Tuttavia questa lettera costituisce un suo impegno pubblico a conformarsi a tre principî: l’equità, il rispetto, l’accoglienza verso i più deboli e i più abbandonati.
Mi è venuta in mente questa lettera quando ho sentito l’intervento in Consiglio del Sindaco a proposito della vicenda “Parco Bassini” e la sua reazione al post di Elena Grandi pubblicato sul blog de “Il Fatto Quotidiano”, riportato in nota**. Certo la Grandi, consigliera comunale “verde”, non ci è andata leggera ma i problemi che citano sono tutti all’ordine del giorno, dal consumo di suolo alla politica urbanistica: quello del sindaco è stato certamente un intervento dettato dall’ira, uno dei sette peccati capitali e uno scarso rispetto delle minoranze.
Che senso ha dire, per esempio come ha detto Sala, che i Verdi non raccolgono che il 2% dei consensi elettorali? Forse che Salvini, accreditato del 30%, ha sempre ragione?
Quanto alla vicenda del Bassini e del famoso taglio degli alberi, sulla politica verde del Comune vanno fatte molte considerazioni, lasciando da parte per ora la vicenda del verde in Via dei Ciclamini.
Nel mondo degli alberi non è vero che “uno vale uno”: una pianta vale per la sua posizione – il verde di prossimità – per le dimensioni della sua chioma verde, per il suo rapporto con la popolazione residente e per il suo valore simbolico. Se così non fosse perché tanta cura per la quercia rossa di piazza XXIV Maggio? Per il suo apporto alla purificazione dell’aria, la fotosintesi?
La riforestazione della città è un’operazione seria, come quello della manutenzione del verde esistente ma non si deve fa finta di non sapere che quest’operazione abbia un costo non trascurabile ma soprattutto richiede costante attenzione; sembra che il 60% delle piante messe a dimora negli ultimi anni siano morte perché non sufficientemente irrigate nei periodi caldi. Non so se sia un dato attendibile ma personalmente un ricordo di anni fa, il triste spettacolo delle piante da poco piantate e già morte in Viale Daniele Ranzoni.
Nella classifica delle città lombarde per dimensione del verde Milano, battuta solo da Lecco, brilla per essere tra quelle che ne hanno meno con 12,7 metri quadri per abitante (dato comunale) contro i 24 metri quadri di standard di legge. Dunque il Comune, con quel che fa, sta pagando un debito di verde verso i cittadini di 11,7 metri quadri ad abitante. Pagare i debiti fa solo parte dei doveri di una seria amministrazione, certo compito ingrato per chi si trova una pesante eredità passiva.
A futura memoria guardiamo l’andamento della popolazione residente: oggi 1.395.000, nel 2025 la proiezione del Comune dice 1.462.000 (ipotesi alta ma la più probabile perché il trend è in crescita). I 67.000 residenti in più vogliono dire 1.608.000 metri quadri di verde da trovare. Se poi volessimo sanare il debito pregresso, 11,7 metri quadri per abitante, dovremmo trovare 16.321.000 di nuovo verde. Utopia, tanto per rendere l’idea.
Il caso Bassini è poi particolare ed emblematico. L’Università Statale, nonostante la feroce opposizione del quartiere e di molti docenti, si accinge ad andare a Rho con alcuni Istituti liberando spazi. Possibile che in quegli spazi non potesse andare il Politecnico? Ragioni di urgenza e di comodità? Ognuno deve fare la sua parte di sacrifici se realmente si vuole una politica verde.
Forse Città Studi avrebbe bisogno di un piano strategico e di una concertazione che il Comune non sa fare o non vuole fare. Anche le Università si comportano come i cosiddetti “poteri forti”?
La politica verde, ormai entrata prepotentemente nel panorama mondiale, richiede un coordinamento che comprenda grandi e piccoli interventi, grandi e piccole rinunce personali, cambiamenti di stile di vita: i negozi non lascino le loro porte aperte in tutte le stagioni – ne ho parlato un mese fa – e noi tutti, ma in particolare i giovani , ricordiamoci che l’8% dell’ energia in Europa è consumata dall’ICT (Information and Communications Technology) in particolare smartphone, tablet e internet television, che provocano circa il 2% delle emissioni di CO2 a livello mondiale (paragonabile alle emissioni di CO2 a livello mondiale di aerei o a un quarto delle emissioni di CO2 a livello mondiale dalle auto).
Un post in meno, non tutto il tempo su Facebook o Instagram? Non utilizzare un’app per scegliere il ristorante? Sarebbero benefici per l’ambiente e per la salute (anche mentale) visto che gli italiani sono in testa alla classifica per uso delle reti con 7 ore al giorno di utilizzo (Luca Ricolfi – La società signorile di massa . ed. La nave di Teseo).
L’esempio della sindaca di Barcellona, Ada Colau, che vorrebbe ridurre i voli Barcellona – Madrid, un’ora e 15 minuti in aereo contro le due ore e 30 in treno, per risparmiare inquinamento, è una buona notizia perché dimostra una visione olistica del problema ambientale da parte di un sindaco.
Quanto all’inquinamento dell’aria a Milano, tutti i climatologi ci dicono che la posizione della città costituisce un problema: scarsa o nulla ventilazione naturale. Una condanna. L’antropizzazione ha le sue ricadute, ognuno porta con sé la sua impronta ecologica ambientale. Più la popolazione è densa e più aumenta l’inquinamento per chilometro quadrato.
Che facciamo? Risparmiamo suolo come si vuole? Ci addensiamo o smettiamo di voler aumentare la popolazione milanese? Attrarre più abitanti? È un obiettivo sensato?
Francamente sono disorientato. Qualcuno mi dia una mano! E non solo a me.
Luca Beltrami Gadola
*La Republica 24 dicembre 2019
Caro direttore, sono un uomo fortunato perché la fede è per me qualcosa di irrinunciabile. È un dono fondamentale che apprezzo ancor di più adesso, dopo i sessant’anni, con tanta vita alle spalle. Ho avuto momenti di stanchezza, ho vissuto dubbi e contraddizioni ma non ho mai smesso di ricercare il Signore. Tra tante vicende della vita sento di non potere fare a meno del confronto con il Mistero e, in definitiva, con me stesso.
Ed è proprio da questa esperienza che conosco i miei limiti. Non mi sono mai sentito così profondo da potermi nutrire solo di fede, di farmi “bastare” l’intima relazione con Dio. Penso spesso che la mia fede non reggerebbe senza la pratica, senza la possibilità di entrare in un luogo di culto, senza la Messa della domenica. Ho bisogno della Messa, di sentire la voce, più o meno ispirata, di un pastore e di misurarmi con Gesù e con il suo Vangelo. Pur nella consapevolezza dell’ineluttabilità del confronto che nasce in me e ritorna in me.
La Messa della domenica è un momento di pace e di verità. Mi fa star bene, mi aiuta a sentire la mia umanità, i miei dolori, la mia essenza. La gratitudine e la precarietà. Sono solo a disagio rispetto al momento della comunione, essendo divorziato e in uno stato che non mi consente di accostarmi al Sacramento. Amo stare insieme agli altri, condividere quel senso di solitudine e, allo stesso tempo, di comunione che la Messa ti dà. La liturgia ci insegna l’umiltà di essere come (e peggio) degli altri, di condividere la speranza, di far ammenda delle nostre miserie.
Si deve essere popolo anche fuori dalle porte della Chiesa. Tra tante urla, la ricerca della verità e della giustizia è l’impegno che dà senso alla mia fede, quella fede che mi dà l’energia giorno per giorno per rendere concreto il mio cammino sulla via dell’equità, del rispetto e dell’accoglienza soprattutto verso i più deboli e i più abbandonati. Altrimenti la parola di Dio rischia di rimanere scritta solo nei libri e non nei nostri cuori.
Per tutto ciò amo parlare di religione, ma ne aborro l’ostentazione. Sorrido pensando che ne sto scrivendo, ma è come se stessi parlando a me stesso.
** ELENA GRANDI SU IL FATTO QUOTIDIANO POST
Sono arrivati in una città deserta e stordita dai botti di fine anno. Sono arrivati alle prime luci dell’alba, come fossero topi d’appartamento. Solo che ladri non erano. Tutt’altro, erano lavoratori. C’erano addirittura decine di poliziotti in tenuta anti sommossa per difendere il loro lavoro: tagliare 57 alberi sani del Campus Bassini – una magnifica area verde che non ha mai visto una costruzione – a Città Studi, Milano: la città che fa tendenza e controtendenza (funzionano i mezzi pubblici, la sanità, i servizi, le mostre…), la città campione, la città cool e un po’ smart, qualunque cosa voglia dire a questo punto. Sarà.
Milano, polizia per proteggere l’abbattimento di alberi al campus Bassini. M5s e ambientalisti: “Fine di uno degli ultimi polmoni verdi in città”
Sarà il caso, piuttosto, di riscrivere il racconto: di questa metropoli, di questo Sindaco, di questa giunta, di questa amministrazione (di cui, a volte con orgoglio, faccio parte). Milano oggi è molto fumo e poco arrosto, purtroppo, e il concetto di bene comune assume sfumature opinabili – voglio essere prudente – perché dominano gli affari, gli interessi economici, i business dei costruttori. La lotta in difesa dell’ambiente non è solo una borraccia consegnata nelle mani di bimbi innocenti a beneficio delle telecamere, non è una lunga teoria di proclami roboanti, non sono tre milioni di alberi da piantare entro dieci anni.
La lotta in difesa dell’ambiente è molto altro ancora, e ci vuole poco a capirlo in un clima di onestà intellettuale. Al di là del fatto singolo (piccolo? troppo piccolo? di poco conto?), a Milano si continua a costruire, a consumare suolo, ad abbattere alberi, a sopravvivere in un luogo tra i più inquinati al mondo, a lasciare le periferie nel degrado, a trascurare il tema delle case popolari, degli affitti per i giovani, degli edifici pubblici e privati vuoti e abbandonati.
Non m’importa nulla delle week (ho perso il conto, quante sono? Dieci, cinquanta, cento?), dei Fuorisalone, delle Olimpiadi e del nuovo stadio Meazza. Quella è la facciata. Voglio una città da vivere e non da bere, voglio una città per tutti, giovani e anziani, uomini e donne, lavoratori e pensionati, e bambini. Una città da abitare, una città davvero sostenibile.
E prometto tolleranza zero per chi inquina e attenta all’ambiente, taglia alberi e prende per i fondelli (do you remember, Beppe Sala, la dichiarazione di emergenza climatica e ambientale?), assicurando improbabili compensazioni: che senso ha abbattere per ripiantare? E lo dico in nome della logica come categoria prepolitica, che è accessibile a tutti, a quelli della maggioranza e a quelli dell’opposizione, silenti come non mai, intrappolati nelle loro ridicole parole d’ordine, nei loro trucidi slogan, nel loro esiguo vocabolario: “Vergogna! Prima gli italiani!”.
L’attivista dei Fridays for Future in Aula a Sala: “Il ‘modello Milano’ nuoce gravemente ai cittadini. Più coraggio su qualità aria, parchi e mobilità”
Ecco perché saremo in piazza giovedì 9 gennaio, come Verdi, come Europa Verde, insieme alla gente comune, ai comitati cittadini e ad altre associazioni ambientaliste. Chiederemo che l’area del Campus Bassini non venga edificata, ma rimanga bene comune: e che l’amministrazione milanese vieti la costruzione di nuovi edifici in tutte le aree verdi rimaste! Partiremo alle 17 da via Bassini per raggiungere Palazzo Marino, e lo faremo per fermare il consumo di suolo, per protestare contro un andazzo che in città non conosce sosta.
Quello che è successo a Milano, al Bassini, per garantire il via libera alla devastazione di oltre seimila metri quadrati di suolo mai costruito, succede ovunque in Italia. E dimostra che alcune istituzioni e quasi tutti i partiti politici – e sì, anche quelli del centrosinistra – sono piegati al potere economico e non viceversa, come dovrebbe essere e non è.
Se siamo in emergenza, dobbiamo dare valore e contenuto alle parole. E che emergenza sia, allora, e una volta per tutte, prima che sia troppo tardi. Sala si affacci al balcone di Palazzo Marino e chieda scusa. Se l’ha fatto un Papa, può farlo anche lui.
Elena Grandi
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