5 dicembre 2019

KISSIN E BEETHOVEN

Un omaggio ad Antonio Mormone


viola

Credo di non avere mai visto la sala Verdi del Conservatorio gremita come mercoledì scorso per il recital che Evgeny Kissin ha dedicato ad Antonio Mormone, il mitico fondatore e patron della Società dei Concerti scomparso due anni fa: sold out totale. Con una nobile iniziativa la Società dei Concerti (la cui stagione si svolge tutti i mercoledì al Conservatorio) e la Società del Quartetto (che invece impegna la stessa sala tutti i martedì) per la prima volta hanno gestito insieme la promozione di un concerto dimostrando, se ce ne fosse bisogno, come l’unione faccia la forza. Per far accorrere tanta gente, però, anche il programma ci ha messo del suo: erano previste le tre Sonate più celebri di Beethoven – la Patetica opera 13, la Tempesta opera 31 numero 2 e l’Aurora (o Waldstein) opera 53 – con l’aggiunta delle poco frequentate “15 Variazioni e Fuga” opera 35 su un tema da “Die Geshöpfe des Prometheus” (dette anche “Variazioni Eroica” per la ripresa di quel tema nella terza Sinfonia opera 55); un programma fin troppo appetitoso.

E’ molto difficile esprimere un’opinione calibrata sulla prestazione di Kissin di fronte al successo strepitoso che ha ottenuto da parte del pubblico di sala Verdi: una vera e propria standng ovation e la richiesta di tre bis (due Bagatelle e le 6 Variazioni su un tema da “Le rovine di Atene”, sempre di Beethoven). Si sa che il pubblico milanese è molto generoso e scarsamente critico, specialmente nei confronti di artisti che hanno raggiunto una certa celebrità, ma un successo tanto esplosivo travolge e stravolge inevitabilmente le riflessioni maturate durante l’esecuzione di musiche così importanti.

Kissin è sicuramente un pianista di elevato livello, ha una padronanza invidiabile dello strumento, una tecnica impeccabile, una forte intensità emotiva che riesce a trasmettere agli ascoltatori. Insomma non gli manca il talento e non si limita a esibire il suo indiscutibile virtuosismo, e neppure si sforza più di tanto di compiacere il pubblico e di strappargli gli applausi. Eppure… eppure non è convincente e cercherò di analizzare il perché.

Più che mai nel caso di Beethoven, una composizione musicale ha – come un romanzo, come un quadro, come una scultura – una struttura che per quanto articolata e complessa possa apparire è sempre unitaria e sostanzialmente monolitica. Ha una “personalità” le cui possibili contraddizioni, o momenti di palesi contrapposizioni interne, sono comunque sempre riconducibili a una qualche forma di unità. Compito principale dell’interprete è proprio quello di ricercare, attraverso l’esecuzione, l’unità della composizione; in altre parole ciò che distingue l’interprete dal mero esecutore è anche la capacità di ricomporre l’opera a unità. Come mai soffriamo quando ci fanno ascoltare – come nel caso del programma radiofonico “Radio Classica” – un solo movimento di una sonata o di una sinfonia? Perché è una violenza sull’opera e sull’ascoltatore, è come costringerlo a osservare solo un pezzo del quadro o a leggere un solo capitolo del romanzo.

Ebbene io credo che Kissin questa idea dell’unità dell’opera non l’abbia intimamente e completamente assimilata; ascoltandolo si ha non solo la sensazione che ogni movimento di Sonata o ogni Variazione sia un’opera a sé stante, ma che all’interno dello stesso movimento ogni idea musicale, ogni episodio melodico, viva di vita propria a prescindere dal suo contesto. Bisogna riconoscere che in questo modo riesce ad ottenere la massima valorizzazione di ogni momento musicale, ma è come se scolpisse una Venere con uno splendido volto, con braccia meravigliose ed altrettanto meravigliose gambe, senza però trovare l’armonia fra le diverse parti della figura. Ne risulterebbe una Venere senz’anima.

L’equilibrio fra le parti di una stessa Sonata, non solo sul piano dei tempi e dei volumi sonori ma ancor più sul piano dell’espressione, è ciò che è mancato al Beethoven dell’altra sera. E’ mancato il racconto – la narrazione si direbbe oggi – che ci aspettiamo ci venga disvelato dall’interprete. Un racconto, peraltro, che è solo apparentemente sempre uguale a se stesso e che invece ogni volta deve adeguarsi, nel linguaggio e nell’espressione, alla sensibilità dell’ascoltatore che evolve nel tempo. Nel tempo cambia la nostra percezione di un’opera d’arte, sia essa un quadro o una poesia, e per la musica è la stessa cosa. La modernità, insieme alla chiarezza e alla poeticità del racconto, è il valore aggiunto di ogni esecuzione, cui non basta essere tecnicamente perfetta.

Kissin ha fatto propria la brutta abitudine – ne abbiamo parlato tante volte in questa rubrica – di accelerare i tempi veloci e di rallentare i tempi lenti; è così che gli Adagio o gli Andante dei movimenti centrali delle Sonate beethoveniane non legano con gli Allegro o i Presto dei movimenti esterni (ad esempio l’«Allegro con brio» con cui si conclude l’Aurora è ben lungi dall’essere il «Prestissimo» che ha eseguito Kissin). Le tre parti della Sonata diventano tre Sonatine autonome, indipendenti una dall’altra, e viene a mancare quell’unità che è uno dei caratteri fondamentali dell’opera. Ed è un peccato perché questo bravissimo pianista moscovita ha momenti di grande poesia che si perdono in un ambaradan di idee musicali in cui è impossibile riconoscere l’individualità e la personalità di ciascuna opera. Emerge con chiarezza la personalità dell’interprete, questo sì, ma a noi ascoltatori piacerebbe percepire soprattutto quella dell’Autore.

Paolo viola

 

Non si può chiudere questa rubrica senza dir nulla di Tosca. E, sia per la mancanza di spazio, ma soprattutto per rispetto di chi il mestiere di critico lo sa fare sul serio, rimando i lettori alla perfetta recensione che ne ha fatto Stefano Jacini sul “Giornale della Musica”. La si può leggere cliccando su https://www.giornaledellamusica.it/recensioni/tosca-come-la-voleva-puccini.



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