28 novembre 2019

IL DUBBIO DI TOSCA

Un pruriginoso appunto per orecchi attenti


ViolaChe Puccini sia stato uno sciupafemmine ed abbia avuto una vita che può essere definita – per la sua epoca – quella di un libertino, credo che tutti lo sappiano. Ma non credo sia conosciuta da molti la birichinata, comprensibile solo a chi mastica un po’ di musica, da lui maliziosamente introdotta nell’opera che sabato inaugurerà la stagione lirica del Teatro alla Scala. Uno scherzo così gustoso che, nonostante la licenziosità, credo valga la pena di essere raccontato. Spero che i miei lettori vorranno perdonarmi, almeno quelli che sabato prossimo ascolteranno – alla Scala o nei cinema, alla radio, in televisione, al Ma.Mu. – la Tosca della Netrebko e di Chailly. E dunque lo racconto.

Come tutti sanno la vicenda di Tosca ha luogo a Roma nel giugno del 1800, essendo da poco caduta la breve “Repubblica Romana” ed appena restaurato lo Stato Pontificio con il suo duro regime poliziesco. Non mi addentro, ovviamente, nell’arcinoto libretto di Illica e Giacosa, e tanto meno nell’originale dramma di Victorien Sardou, mi basta ricordare come, nel secondo atto dell’opera, Tosca si rechi coraggiosamente a Palazzo Farnese presso l’ufficio del barone Scarpia, capo della truce polizia pontificia e di lei grande ammiratore (e forse anche sinceramente innamorato), per chiedergli di salvare la vita dell’amato, il pittore Mario Cavaradossi, sospettato di tradimento, arrestato e in procinto di essere giustiziato. Nel lungo incontro fra i due Scarpia dichiara a Tosca il suo amore e cerca in tutti i modi di sedurla e di farla cedere; di fronte alla evidente fermezza di lei, alla fine, non esita a ricattarla nel più bieco dei modi: se si concederà alle sue voglie il prigioniero sarà salvo, altrimenti l’indomani mattina all’alba verrà impiccato. E per rendere più verosimile la minaccia (“al tuo Mario, per tuo voler, non resta che un’ora di vita”), per fiaccarne la resistenza, ricorre ai più crudeli metodi da sbirro, fino a farle sentire le urla dell’amato sotto tortura.

La sventurata non sa più come difendersi, prega (“vissi d’arte, vissi d’amore …”) ed implora l’aguzzino il quale, dopo l’ultimo appello e l’ultima minaccia – ma soprattutto dopo un lungo accordo dei fiati (fagotto, clarinetto, flauto ed ottavino) ed una ancor più lunga e calcolata pausa – rivolto a lei sussurra lentamente “Ebbene …?” Ed ecco che a questo punto, nel silenzio totale, in una lancinante tensione, sopra un accordo in pianissimo delle sole prime parti degli archi (due violini, viola e violoncello), Tosca si accascia e – così vuole la partitura – “col capo accenna di sì poi, piangendo dalla vergogna, affonda la testa fra i cuscini del canapè”.

Nel drammatico silenzio dell’orchestra e nello scontato sconcerto del pubblico tornano i fiati che all’unisono (l’agogica dice “Lento Doloroso”, la dinamica vuole non più il pianissimo ma solo il piano) scandiscono due semplice note ascendenti: … la … do …?

Sappiamo come va a finire: la trattativa sui tempi della fuga, il salvacondotto, l’ordine finto della liberazione, “Tosca, finalmente mia”, il provvidenziale coltello sul tavolo da pranzo, “Questo è il bacio di Tosca” e finalmente il beffardo “Davanti a lui tremava tutta Roma”. Ma quanto sarebbe piaciuto al toscanaccio Puccini che quelle due note poste all’apice del dramma potessero essere recepite dal pubblico per ciò ch’egli intendeva, una sonora dissacrazione del patetico e il gusto del gioco portato ai limiti della decenza … .

Sabato provate ad ascoltarle, quelle due note, e poi ditemi se – oltre ad essere una mascalzonata – sono o no un capolavoro di ironia e di leggerezza!

Paolo Viola



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  1. valentino ballabioci mancava che aggiungesse un ... si bemolle!
    7 dicembre 2019 • 11:15Rispondi
  2. Gregorio PraderioL'aneddoto su Puccini - un po' una triste goliardia da adolescente invecchiato - mostra bene il tormento contraddittorio di questo autore, diviso fra un certo cinismo manipolatore dei sentimenti del grande pubblico (ma che gli garantiva il successo) e la malinconia di chi in cuor suo aspirerebbe a qualcosa di meglio. Questa tensione fra menzogna e sentimento si esprime bene nelle parole finali di Tosca: "È una commedia, lo so... Ma questa angoscia, che mi assale...": quell'angoscia è vera.
    18 dicembre 2019 • 08:29Rispondi
  3. LucaCome Mozart nell'aria delle 'corna' nelle Nozze di Figaro, "Aprite un po' quegli occhi, uomini incauti e sciocchi". Alle parole "Il resto no 'l dico, già ognuno lo sa." una bella fanfara di.... corni.
    8 febbraio 2020 • 17:09Rispondi
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