19 settembre 2019

BEETHOVEN E IL CUORE DELLE DONNE

Il primo concerto della “Heart Week” all’Auditorium di Largo Mahler


Il Centro Cardiologico Monzino organizza ogni anno la “Heart Week” e quest’anno l’ha dedicata espressamente al cuore delle donne. Un pensiero delicatissimo e in sintonia con il sentire comune di quest’epoca, piena di femminicidi e di violenze sulle donne. La “settimana del cuore” si è inaugurata sabato scorso all’Auditorium di Largo Mahler con ciò che, ovviamente, non poteva chiamarsi che “Concerto per il cuore delle donne”. Il programma era molto particolare, tutto incentrato su Beethoven e su due sue opere agli antipodi una dell’altra: il “Triplo Concerto per violino violoncello, pianoforte e orchestra” in do maggiore opera 56, eseguito molto raramente, e la coeva (1803/1804) – e invece fin troppo eseguita – “Quinta Sinfonia” in do minore opera 67.

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Il “Triplo” non è fra i capolavori di Beethoven, anzi è un’opera che in duecento e passa anni ha raccolto ben pochi consensi, ma è interessante per il fatto di essere un’evoluzione del modello della “Sinfonia concertante” (lo stesso Beethoven lo pubblicò nel 1807 con il titolo di “Grande Concerto Concertante”!) ed anche per aver avuto come pendant il ben più famoso “Doppio Concerto per violino, violoncello e orchestra” in la minore opera 102 di Brahms, arrivato ottant’anni dopo (1887) ed annoverato fra i suoi capolavori. Tutte e due queste opere sono abbastanza singolari nel panorama della musica sinfonica classica, ed hanno bisogno di essere affidate ad esecutori – solisti e direttori – molto affiatati; cosa che accade di rado perché i solisti (lo dice la parola stessa) non sono avvezzi a suonare con altri (salvo a diventare cameristi e a suonare in duo, trio, quartetto, eccetera, ma si tratta di specializzazioni e di prassi esecutive assai diverse dal concerto con orchestra) e perché anche i direttori faticano ad intendersi con più solisti insieme.

Ebbene l’altra sera, proprio perché il concerto era dedicato al cuore delle donne, le soliste erano tre ragazze (mi permetto di chiamarle così visto che insieme non hanno ancora raggiunto i cent’anni di vita) che non solo erano perfettamente affiatate fra loro, ma lo erano anche con il direttore che, dall’alto dei suoi cinquant’anni, giocava un ruolo paterno e rassicurante nei passaggi più complessi. Francesca Dego al violino, Miriam Prandi al violoncello e Francesca Leonardi al pianoforte hanno condiviso l’impegno della prima parte del concerto con il direttore Massimo Spadano che, nella seconda parte, si è concentrato nella Quinta.

L’esecuzione del “Triplo” è stata più che decorosa, ma il soffio vitale e l’impronta interpretativa è arrivata principalmente dalla potente presenza della violoncellista e dal suo evidente e debordante temperamento musicale. La stessa orchestra Verdi – lucida e a ranghi ridotti come vuole la partitura beethoveniana, che nella successiva Sinfonia a ranghi rinforzati è parsa appannata – era visibilmente sedotta dal trio delle soliste ed in particolare nei dialoghi fra orchestra e violoncello. L’egemonia di questo strumento è già peraltro nella partitura, tanto che Beethoven pare fosse sul punto di trasformarla in un “concerto per violoncello e orchestra” (che però non ha mai scritto) e dunque la Prandi, non sottraendosi al ruolo, ha giustamente dominato la scena dall’inizio alla fine. Mentre la brava e collaudata Dego aveva uno strumento magnifico ma con poco volume, il cui suono soccombeva davanti a quello del violoncello, la Leonardi – abituale partner della Dego – era alle prese con una parte poco interessante (quasi di contorno ai due archi, fu scritta per l’arciduca Rodolfo, allievo amato ma non molto abile di Beethoven) e dunque non ha potuto emozionare il pubblico più di tanto.

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Del direttore abbiamo detto: ha portato l’orchestra a un corretto – e vorrei dire quasi affettuoso – lavoro di sostegno alle tre soliste, ed è riuscito a dare al Triplo Concerto un’amabilità e un fascino che non sempre si sono rivelati nelle poche esecuzioni che ci è stato dato di ascoltare. Non altrettanto bene, però, si può dire della Quinta. La Sinfonia in do minore di Beethoven è uno di quei capolavori che non bisognerebbe mai affrontare se non si è nella certezza assoluta di poterne rigenerare il senso ed eguagliare o superare le più famose storiche interpretazioni. E’ troppo facile cadere nella banalità e nell’irrilevanza, e così è accaduto l’altra sera.

Già il fatto di dover sfogliare la partitura, per un’opera tanto celebre e tanto ascoltata, denota una certa insicurezza da parte del direttore d’orchestra (checché ne dica Isotta che qualche giorno fa ha asserito non essere stato Abbado un grande direttore perché … dirigeva a memoria!). Ma ciò che è parso evidente era l’assenza di quel respiro di cui la musica ha bisogno come qualsiasi altra modalità espressiva – parlare, cantare, urlare, non importa come e perché – e deve prender fiato fra una frase e l’altra; non è un caso che si chiami fraseggio “la messa in particolare rilievo degli elementi espressivi del discorso musicale i quali costituiscono un periodo in sé conclusivo, cioè una frase musicale” (Treccani). Recentemente su questo foglio ho tessuto le lodi di Currentzis e di Petrenko, due direttori diversissimi fra loro ma dotati entrambi della capacità di “far parlare” la musica, di renderla convincente e trascinante. Spadano è un violinista e dunque, grazie al complesso gioco delle arcate sullo strumento, conosce assai bene l’arte del “prender fiato”. Perché ha esasperato il rigore del ritmo a discapito dell’espressione? In questo caso non si può chiamare in causa l’orchestra, tutto nasce dal podio del direttore, ed è stato un vero peccato.

Paolo Viola



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  1. Eduardo SzegoIsotta non perde occasione per spararle grosse! quest'ultima per mia fortuna non la sapevo ossia che Abbado non era un grande Direttore perchè dirigeva a memoria!!!! E a questo proposito voglio ricordare cosa rispose proprio Abbado ad un intervistatore che gli chiedeva come e perchè dirigesse tutto a memoria mentre gli altri Direttori dirigevano con lo spartito sott'occhio. Rispose: dirigono con lo spartito forse perchè non hanno studiato abbastanza ! Fu solo una battuta? può darsi ma qualcosa di vero c'è. Abbado ha raggiunto livelli di esecuzione forse irraggiungibili (la terza sinfonia di Mahler a Lucerna, poco tempo prima di morire, solo un esempio) e certamente non comprensibili da Isotta. Comunque l'importante per godere di un'esecuzione e non rovinarvene il ricordo, non leggere la critica di Isotta.
    25 settembre 2019 • 12:16Rispondi
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