11 giugno 2019
I FATTI DEL LICEO PARINI
Non solo costume politico ma c’è dell'altro nella scuola
11 giugno 2019
Non solo costume politico ma c’è dell'altro nella scuola
Quel che è successo al Liceo Parini è l’immagine dell’Italia di oggi, l’immagine di un Paese che continua a fare i conti con gli aspetti peggiori della sua storia: fascismo, antisemitismo, più o meno larvato consenso alle violenze delle frange oltranziste della politica. Anche il famoso “modello Milano” deve fare i conti con questa realtà ed essere com’è sempre stata: “laboratorio” politico.
Inutile fare l’ennesima storia dalla nascita del fascismo a Milano in Piazza San Sepolcro, alla borghesia milanese benpensante (o quasi) che vide poi senza batter ciglio i suoi figli rossi e neri agitare le piazze. Oggi non c’è politico che, come Veltroni lunedì scorso dalla Gruber, non faccia appello alla storia per capire, risolvere e dare soluzione ai problemi di oggi, ma la storia è studio, è scuola, è il molto complesso mondo dell’istruzione e delle sue vicende.
La scuola è il luogo dell’istruzione che è un “diritto” sancito all’articolo 4 della Costituzione: «L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Oggi la scuola è obbligatoria fino a 16 anni. Come nella maggior parte dei Paesi UE.
E fin qui abbiamo parlato dei diritti. E i doveri? Questo è un argomento spinoso perché riguarda tutto il mondo della scuola: docenti, allievi, personale non docente. Perché questi doveri sono tutti racchiusi nell’articolo 4 della Costituzione: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
Diritto al lavoro (questione aperta!) certo ma anche dovere di concorrere al progresso materiale o spirituale della società: cosi dice la Costituzione e dunque “dovere” allo studio, l’unica via personale al progresso materiale e sociale. Dunque i giovani “devono” studiare e il farlo – possibilmente con buon profitto – è un dovere. Forse bisognerebbe spiegarglielo proprio perché siamo in un periodo nel quale la rivendicazione dei diritti prevale in tutte le forme sulla consapevolezza dei doveri.
Il problema della scuola non è tutto racchiuso nel dibattito tra diritti e doveri. Galli della Loggia in un suo recente libro – L’aula vuota (Marsilio) – commentato da Antonio Polito il Corriere della Sera del 6 giugno scorso, è intervenuto sul problema con maggior completezza e profondità di quello che possa fare io ora, tuttavia vorrei sottolineare qualcosa.
Alcune notizie mi hanno colpito.
Pare che l’operazione “quota 100” rischi di svuotare i ranghi degli insegnanti accelerando esodi del personale più anziano e c’è addirittura chi tra gli insegnanti ha dichiarato che lascerà perché ritiene che il suo lavoro e la sua dignità personale e professionale siano messi drasticamente in discussione.
Durante il mio percorso di studente, dal 1943 al 1961, si diceva che gli insegnanti erano malpagati, in genere molto al di sotto delle loro competenze ma la contropartita era un ruolo sociale importante: in alcune piccole città e paesi erano considerati un punto di riferimento della società civile, importanti e ascoltati servitori dello Stato. Oggi certamente non è più così ma è inutile e patetico parlare del “buon tempo andato”. Mentre ancora studiavo e la scuola cominciava finalmente a essere sempre di più scuola di massa, di fronte ai modesti risultati di molti allievi si disse: ”non esistono cattivi allievi ma solo insegnanti incapaci”. Uno slogan che fece presa ma che secondo me diede inizio alla crisi della scuola e dei rapporti genitori-scuola.
Ci ricordiamo il 18 e il 30, voti politici, e l’esame di gruppo degli anni ’70? Il 30 dato immeritatamente per facilitare l’accesso alle borse di studio? Abbiamo presente i ricorsi al TAR dei genitori insoddisfatti dei voti ai propri figli? I professori picchiati della cronaca recente? L’insegnante sospesa per aver stimolato la libertà di pensiero dei suoi allievi?
Ci ricordiamo che, per pareggiare i conti dello Stato, il ventre molle del Paese sono sempre l’istruzione, la ricerca e la tutela del territorio che, se anche non vengono prima, sono i compagni di strada del lavoro?
Pensiamo che il precariato sia un buon scenario per avere un corpo docente dedito e appassionato a quella che, almeno in parte, dovrebbe essere una missione? Quando smetteranno di esser spostati come pacchi postali? Quando, nei limiti del possibile, resteranno a lungo in una città, magari la loro, per essere parte importante di quella collettività?
Torniamo al Liceo Parini. Pare che a compiere gli sfregi e i danni di qualche giorno fà siano stati dei cosiddetti “infiltrati”, perché la festa di fine anno si svolgeva altrove e dunque il liceo era “incustodito”. Venerdì prossimo gli studenti sembra abbiano deciso di manifestare il loro dissenso ripulendo le scritte. Mi auguro siano molti, magari accompagnati dai genitori, almeno non da quelli che li vanno a prendere col SUV parcheggiato sui marciapiedi o in seconda fila: un’occasione per dare un buon esempio.
Ma quando parleremo seriamente di scuola? Anche senza aspettare il periodo elettorale? Come per il lavoro.
Luca Beltrami Gadola
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