28 marzo 2019

UN NUOVO MAGNIFICO QUARTETTO

Nuovi interpreti al Conservatorio


Specialmente nel campo della musica da camera, capita di ritrovarsi ad ascoltare anno dopo anno sempre gli stessi interpreti; ogni istituzione musicale tende a stringere rapporti forti e personali con i musicisti con cui si è trovata bene e a ri-invitarli ad ogni stagione. Il pubblico ama riascoltarli regolarmente, si compiace di raggiugere con loro una certa dimestichezza, talvolta ne segue e ne apprezza la crescita e la maturazione, e da loro si fa anche portare volentieri per mano alla scoperta di nuovi autori o di nuove opere.

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Per questo siamo rimasti sorpresi, l’altra sera, essendoci trovati al Conservatorio di fronte a una formazione quartettistica a noi del tutto sconosciuta, ancorché nota per aver vinto molti importanti premi, invitata per la prima volta dalla Società del Quartetto insieme ad un pianista anch’egli non grande frequentatore della nostra città. Il Quartetto francese – di Lione – che porta il nome di Hermès (sarà dovuto a una sponsorizzazione?) ha presentato insieme al pianista torinese Gabriele Carcano un programma inusuale e di particolare interesse per la sua impaginazione: due Quintetti con il pianoforte – il numero 1 di Gabriel Fauré, in re minore opera 89, e l’unico Quintetto di Brahms, in fa minore opera 34 – che incorniciavano un raro Quartetto per archi di Haydn, in mi bemolle maggiore opera 33 numero 2.

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Un programma che non è passato inosservato, sia perché il Quintetto di Fauré è tanto poco frequentato quanto invece lo è il celeberrimo Quintetto di Brahms (e il confronto fra i due è risultato particolarmente interessante), sia per lo strano disordine cronologico fra le tre opere (Fauré 1906, Haydn 1772 e Brahms 1862/64), sia infine perché quell’Haydn messo fra loro sembrava una provocazione e invece si è rivelato un colpo di genio.

Andiamo con ordine. Il Quintetto di Fauré è di una densità e di una profondità tali da doverlo considerare assolutamente estraneo all’humus cui ci hanno abituato i compositori dell’ottocento e del primissimo novecento. Il pianoforte e gli archi non dialogano e non si rimpallano i temi fra loro ma si integrano simbioticamente per scavare insieme il senso di ogni nota e per creare un’aura tanto suggestiva quanto oserei dire metafisica; una partitura destrutturata, magmatica, sotterranea, che non permette all’ascoltatore la minima distrazione. Se ne esce felicemente esausti per la tensione e per l’attenzione richiesta dall’ascolto. Al suo confronto il Quintetto di Brahms – che pure siamo abituati a considerare il compositore della intimità meditata e sofferta – diventa una composizione solare e rasserenante. Nata come Quintetto con due violoncelli (stracciato dall’autore), trasformata in Sonata per due pianoforti (rimasta con il numero d’opera 34b) e infine riscritta – grazie alle pressioni di Clara Schumann e di Hermann Levi – come Quintetto per pianoforte ed archi, quest’opera è un miracolo perché, nonostante le riscritture, è riuscito a non perdere minimamente la freschezza e l’ispirazione originaria. Sembra scritto di getto e ogni volta che lo si ascolta se ne resta inebriati.

Quanto agli interpreti, la magnifica fusione del pianoforte con gli archi – grande e raro merito di tutti ma soprattutto del Carcano e della sua capacità di allineare i diversissimi piani sonori – ha fatto sì che queste due esecuzioni si siano rivelate di qualità ed intensità ragguardevoli e che abbiano raccolto grande consenso da parte di un pubblico che purtroppo (come spesso accade quando gli interpreti non gli siano già noti!) non ha riempito la sala Verdi come ci si sarebbe potuto e dovuto attendere. Un vero peccato.

La grande maturità del Quartetto Hermés – composto da Omer Bouchez ed Elise Liu (violini), Yung-Hsin Chang (viola) ed Anthony Kondo (violoncello), giovani ma non più giovanissimi – si è rivelata quando, fra un Quintetto e l’altro, ha affrontato il curiosissimo Quartetto di Haydn, contraddistinto da una ironia tanto profonda da farlo apparire un divertente gioco musicale, così divertente da meritarsi il titolo “Lo Scherzo” datogli dal suo stesso autore. (Creusa Suardi, autrice del programma di sala, osserva come Haydn ironizzi sulla sua stessa musica, scrivendo una musica sulla sua musica e commentandola!). Solo alla fine del concerto, dopo aver maturato e soppesato il confronto fra i due monumentali Quintetti romantici, si è capita l’intelligenza di aver introdotto questo divertissement haydniano, come per sottolineare da una parte il peso specifico dei due capolavori, dall’altro la leggerezza e la leggiadria di cui era capace il grande padre settecentesco del quartetto e delle sue derivazioni.

Sarebbe magnifico che, seguendo la tradizione cui ho accennato all’inizio, la Società del Quartetto potesse farci riascoltare nei prossimi anni l’Hermès e l’ottima compagine creatasi con il Carcano, affinché possano sorprenderci ancora con programmi non meno interessanti.



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  1. Vittoria MoloneCondivido il commento di Paolo Viola a questo concerto straodinario sia per la scelta dei brani che per la qualità dei musicisti. Sempre bravo il nostro amico per i suoi giudizi e per il suo stile
    5 aprile 2019 • 15:20Rispondi
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