22 marzo 2019

THOMAS MANN E LA MUSICA TEDESCA

Il personaggio di Faust e l'anima di un popolo


Il 6 giugno del 1945, neanche un mese dopo la resa della Germania e la fine della seconda guerra mondiale, Thomas Mann (Lubecca 1875 – Zurigo 1955), che già da cinque anni viveva negli States, viene invitato a tenere una “lectio” alla Library of Congress di Washington per spiegare come sia stato possibile che il civilissimo popolo tedesco si fosse lasciato trascinare nell’abominio del nazifascismo. Questa straordinaria conferenza – che è pubblicata da una piccola casa editrice bolognese dal curioso nome “Ogni uomo è tutti gli uomini” con la traduzione di Lavinia Mazzucchetti e una dotta introduzione di David Bidussa – contiene alcune osservazioni sulla musica tedesca che ho trovato tanto interessanti e singolari da volerle proporre ai miei musicofili lettori.

Mann esamina il carattere del popolo germanico e ne individua i tratti essenziali nel Faust di Goethe, poema tedesco per antonomasia, in cui, dice, “l’orgoglio dell’intelletto si accoppia all’arcaismo dell’anima e alla costrizione” tanto da far intervenire quella “figura tedeschissima” del diavolo non solo invocata da Faust ma presente ossessivamente anche in Lutero. La dimestichezza con il demoniaco, secondo Mann, è strettamente legata alla natura della musica ed è elemento costitutivo dell’animo e della cultura tedesca a partire dal ‘500 di Lutero fino a permeare il Romanticismo ottocentesco.

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Dice ancora Mann “È grave deficienza della leggenda e del poema non mettere Faust in rapporto con la musica. Egli dovrebbe essere musica e musicista. La musica è sfera demoniaca … la musica è arte cristiana col segno negativo, è a un tempo calcolatissimo ordine e antiragione germinatrice del caos, ricca di gesti incantatori e di scongiuri, di magie e di cifre, è l’arte più remota dalla realtà, la più appassionata, mistica e astratta a un tempo. Perché Faust sia il rappresentante dell’anima tedesca dovrebbe esser musicale, giacché il rapporto del tedesco col mondo è astratto e mistico, vale a dire musicale” e riconosce la musicalità dell’anima tedesca “in ciò che si chiama la sua interiorità e cioè nella scissione fra l’elemento speculativo e quello politico-sociale dell’energia umana, e nella piena prevalenza del primo sul secondo. L’Europa lo ha sempre sentito e ne ha anche avvertito l’aspetto mostruoso ed infelice”.

La particolare circostanza di quella conferenza obbligava Mann a vedere tutto in chiave politico-sociale, ma le osservazioni sulla musica tedesca – da parte di un non-musicista come lui – sono incredibilmente precise: “i tedeschi sono in prevalenza musicisti della verticale e non dell’orizzontale (sic!), son più grandi maestri dell’armonia … che non della melodia, sono più strumentisti che esaltatori della voce umana, molto più rivolti all’aspetto dotto e spirituale della musica che non a quello canoro che dà gioia al popolo.” Poi curiosamente aggiunge “i tedeschi hanno dato all’Occidente non voglio dire la sua musica più bella e più socialmente affratellante, ma la sua musica più profonda e più significativa, ricevendone in cambio gratitudine e gloria. L’Occidente ha intanto intuito – e intuisce oggi più forte che mai – come simile musicalità debba essere pagata a caro prezzo in altra sfera. In quella politica, nella sfera della convivenza umana” intendendo ovviamente dire che, ancorché l’Occidente ne abbia subito tragiche conseguenze, quel prezzo viene pagato in primis dai tedeschi stessi.

Mi limito a citare queste poche righe, rimandando il lettore al testo originario, poiché mi sembrano sufficienti a leggervi il potente intreccio che Mann vede fra la musica tedesca e il sentimento del demoniaco, come questo intreccio sia presente sia nel messaggio tardo-medievale o prerinascimentale del grande Riformatore, sia nella stagione del Romanticismo che, tre secoli dopo, poneva la musica tedesca all’avanguardia di quella europea quantomeno sul piano sinfonico, cameristico e in particolare liederistico. E a proposito di quella stagione – e dell’animo tedesco in generale – Mann aggiunge “…la dote forse più celebre dei tedeschi è quella che si indica con una parola difficilmente traducibile «Innerlichkeit», interiorità, cioè delicatezza, profondità del cuore, singolarità sognante, culto della natura, purissima austerità di pensiero e di coscienza … in essa si confondono tutti gli elementi della lirica sublime; e quel che il mondo deve a tale interiorità tedesca non può esser dimenticato neppur oggi, poiché ne sono stati frutto la metafisica tedesca, la musica tedesca e particolarmente il miracolo del «Lied» tedesco, qualcosa di nazionalmente irripetibile e incomparabile”. E poco più avanti insiste “I tedeschi sono il popolo della controrivoluzione romantica dopo l’intellettualismo e il razionalismo illuministico: di una rivolta della musica contro la letteratura, della mistica contro la chiarezza”.

Questa lezione di Thomas Mann ci fa ripensare sia alla relazione fra Bach e Lutero, sia a quella di Schumann e Mendelssohn con Goethe; ma anche al fatto che tutte queste vicende si sono svolte – nei quattro secoli trascorsi fra il sorgere del protestantesimo e la fine del romanticismo – fra Eisleben, Eisenach e Weimar, in quella Turingia immersa nella mitica foresta e dominata dalla cupa e potente fortezza della Wartburg. Con l’inquietante presenza del demonio che lascia presagire i tempi orrendi del successivo secolo breve.

Chissà che questa lectio non faccia ricredere i tanti che non amano il popolo e la cultura tedesca – e magari fanno confusione fra tedeschi e austriaci – ma amano profondamente la musica che di quella cultura è la massima espressione; e chissà che, grazie a quelle parole, riescano anche a farsi una ragione delle contraddizioni che hanno dominato – ed ancora in parte dominano – la nazione più musicale d’Europa.

Paolo Viola



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