29 gennaio 2019

ZINGARETTI A MILANO

Una vigilia congressuale: i "Cioè?" ma anche gli "E allora?"


Non sono un iscritto al Pd ma ne seguo le vicende da sempre con apprensione: nel bene e nel male è in Italia il primo partito di sinistra, la mia area di riferimento. A suo tempo ho letto con attenzione le 5 mozioni con le quali il Pd si avvia al suo congresso. Mi sono soffermato particolarmente sulle prime tre: Zingaretti, Martina e Giachetti, – quasi duecento pagine tra tutto – ossia le mozioni dei candidati che avevano le maggiori possibilità di raccogliere consensi importanti: così è stato.

190129_EditorialeZingaretti a Milano ha raccolto il 43% delle preferenze, dunque qui si è avvicinato alla fatidica soglia del 51%. Quali criteri abbiano guidato le scelte dei sostenitori del Pd milanese non mi è chiaro, probabilmente il peso dei circoli è stato determinante e probabilmente la personalità e l’immagine pubblica di Zingaretti hanno avuto la meglio sui contenuti della mozione. Con qualche malignità, credo che la lettura delle mozioni non sia stata molta tra gli iscritti.

Volendo dare un giudizio su quest’ultima mozione, direi che la prima parte, quella intitolata Un congresso per riaccendere le speranze è un elenco di buoni propositi, di buone volontà, tutte affermazioni rispetto alle quali viene spontanea una domanda: “Cioè?”. Una analoga domanda ce la si può fare rispetto alle critiche al passato del Pd, non poche durissime, ossia: ”E allora?”. Di soli buoni propositi e di buone volontà è lastricata la strada per la sconfitta elettorale.

La mozione di Zingaretti contiene però anche proposte concrete, come la richiesta di identico trattamento salariale e retributivo tra uomini e donne, – ottimo argomento elettorale – tuttavia forse le altre proposte che l’accompagnano, se raccolte in un nuovo documento non bastano ad identificare un programma che, per mia deformazione culturale, vorrei veder calare nella realtà elettorale urbana per il prossimo rinnovo di Sindaco e Consiglio comunale.

Come si calano? Certo non basta dire che si deve “andare in mezzo alla “gente”, parola quest’ultima ormai dal significato ambiguo, ancora di più da che Baricco su la Repubblica ha avviato un dibattito parlando di élite, dibattito diventato stucchevole e un po’ noioso.

Andare in mezzo a chi? Banalmente si potrebbe dire ” in mezzo agli altri”, che sono tutti salvo noi e i nostri amici, tutti salvo i nostri piccoli e grandi cerchi magici ma anche e soprattutto tutti quelli che non hanno la nostra età, più giovani e più vecchi e , inutile dirlo, senza pensare che oggi i “tutti” siano compresi solo nella e-generation.

Il risultato delle prossime elezioni per il Parlamento Europeo ci diranno solamente se il sovranismo, la pulsione al male, avrà la meglio e se il futuro sarà ancora più fosco del presente che già non scherza ma il problema degli “altri” e di come parlar loro e di che dire, resta lì per le prossime comunali milanesi.

Gi “altri” sono l’uomo della strada e la casalinga di Voghera, oggi spesso sposi e sempre più numerosi, come ci mostrano le statistiche sulla distribuzione della ricchezza, che stanno aspettando di capire con parole semplici chi rimetterà in moto l’ascensore sociale e reddituale, con quali provvedimenti concreti e possibili, senza farsi troppe domande sull’universo o su chi ha guadagnato da questa globalizzazione senza regole. Loro no di certo.

Stanno aspettando di sapere se i loro figli saranno più poveri di loro oppure no, se avranno la dignità di un lavoro o l’umiliazione di un sussidio.

Ma sanno anche, perché sono tutt’altro che stupidi, che non ce n’è per tutti, pure se qualcuno lo fa credere, e vogliono sapere a chi si toglie per dare a chi con trasparenza e onestà intellettuale: si può aspettare il proprio turno ma non che qualcuno salti la coda.

Questo e altro vorranno sapere. Quante pagine sono necessarie? Non saprei dire, comunque il meno possibile.

Luca Beltrami Gadola



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  1. Miro CapitaneoAnche in questo articolo si parla delle diseguaglianze economiche che vanno crescendo. Ebbene per mettere mano a questo problema bisogna guardare alle socialdemocrazie scandinave. Laddove la fiscalita' corregge veramente le disparita' ed inoltre i servizi pubblici e pure le ammende sono modulate in base al reddito.
    30 gennaio 2019 • 07:57Rispondi
  2. silvanoIo, invece, sono iscritto al PD e ho votato Giachetti, cosa che rifarò il 3 marzo. Se non per altro, stante che L. Beltrami Gadola ha bene evocato il "grigiore" (posso dirlo?) della sua mozione, non avrei mai votato Zingaretti perché a mio avviso ha commesso due imperdonabili errori: 1) l'abiura di quanto fatto dai nostri governi; 2) la prospettiva di un ritorno nel PD dei fuorusciti. Per non parlare, poi, delle dichiarazioni del suo "vice" Smeriglio e delle ripetute "aperture" ai 5s, dai quali ha spesso una "manina" in consiglio regionale perché, contrariamente a quello che molti pensano, Zingaretti nel Lazio è un "non vincente" e in consiglio NON ha la maggioranza! Personalmente credo che con lui proprio non se ne esca, una sua vittoria provocherebbe un esodo biblico dal PD e a quel punto la prospettiva che Renzi lanci un proprio soggetto politico si farebbe più che concreta, reale. Martina lo avverto "impalpabile" e il fatto che abbia raccolto tanti voti è indicativa, a mio avviso, della condizione "confusa" di molti iscritti al partito. Devo dire che il mio gradimento per Giachetti ha trovato una motivazione in più ascoltando il suo intervento alla Convenzione Nazionale. Il suo sì che si chiama parlar chiaro!
    4 febbraio 2019 • 16:33Rispondi
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